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Dopo un intervallo a suo avviso sufficiente come punizione, Helda invertì il flusso dell’aria. La porta si aprì con un pop udibile, e l’aria del corridoio sibilò dentro. Millisor e Rau vacillarono fuori, col naso che buttava sangue e agitando la mandibola nello sforzo di ristabilire la pressione dell’aria nell’orecchio interno.

— Helda non ha neanche dato a questi bastardi la possibilità di far uscire il loro ostaggio — borbottò Quinn. — Fin troppo efficiente…

Millisor ritrovò finalmente il fiato. — Ma siete impazziti? — gridò in faccia ai tre funzionari della stazione. Si rivolse all’agente della Sicurezza: — Io godo di immunità diplomatica! Mi rivolgerò a…

L’agente gli indicò Helda con un pollice. — Qui comanda il Pronto Intervento dei Bio-controllo. Parli con la sorvegliante.

— Come si permette di calpestare così i miei diritti? — gridò Millisor, imbestialito. — Questi locali sono stati legalmente affittati e pagati, e inoltre io ho un passaporto diplomatico di Classe IV. Lei non ha l’autorità di ostacolare la mia libertà personale in nessun caso, salvo che io non venga accusato di reati contro la persona o le proprietà altrui!

Ethan non avrebbe potuto dire se quell’indignazione fosse vera o recitata, e se a parlare fosse il Ghem-colonnello Millisor o l’onesto commerciante Harman Dal.

— I diritti che lei cita riguardano la Sicurezza della Stazione — ribatté Helda, nello stesso tono. — L’emergenza del Bio-controllo li abroga tutti. Ora salite sulla vettura isolante, prego. Senza discutere.

Ethan non poteva più rimanere voltato, perché lui e Quinn dovevano ora fingere d’essere spettatori casuali. Com’era inevitabile, lo sguardo di Rau finì per spostarsi su di loro; subito una mano dell’individuo toccò un braccio del superiore, interrompendo le sue verbose proteste. Millisor girò la testa, e la sua bocca si chiuse di colpo. Ethan trovò qualcosa di orribile in quell’istantanea capacità di controllare la rabbia. Non placata, bensì spinta giù sotto la superficie, conservata per qualche momento futuro. Negli occhi del cetagandano ribollirono turbini di pensieri.

— Ehi — disse l’agente della Sicurezza, mettendo la testa nella stanza appena evacuata. — Qui c’è una terza persona. Un giovanotto legato a una sedia… nudo come un verme.

— Me lo aspettavo, da questi depravati. Siete disgustosi — disse Helda, fulminando Millisor con lo sguardo.

Lo sguardo rimbalzò innocuo come una brezza su quello di Millisor, che continuava a macinare furibondi sospetti fissando Ethan. Rau si agitò nervosamente. La sua mano destra fece per entrare sotto il bordo della giacca, ma sia Millisor che Quinn scossero il capo in un silenzioso non provarci, ciascuno dalla sua diversa prospettiva.

— Quest’uomo non è una faccia nuova. Perde sangue — disse l’agente della Sicurezza entrando nella stanza. Subito però si volse a controllare Millisor e Rau con uno sguardo insospettito, e portò una mano alla fondina dello storditore.

— È il naso — disse Helda da fuori. — È normale, quando si abbassa la pressione atmosferica. Anche se uno sembra uscito da un mattatoio, nessuno è mai morto per un po’ di sangue dal naso.

— Senta, lei, il mio amico è un medico — disse a voce alta Quinn, dirigendosi verso di loro con entusiasmo. — Possiamo essere d’aiuto, se c’è un ferito?

— Sì, può darsi — disse l’agente dalla soglia, con sollievo. — Lei è un medico?

Quinn si voltò a prendere Ethan per mano e poi lo spinse nella stanza, senza smettere di sorridere a Millisor e a Rau. Aveva in pugno il suo storditore, ma lo teneva in modo che soltanto i due cetagandani lo vedessero. L’agente della Sicurezza la ringraziò con un cenno del capo. Helda s’infilò un paio di guanti di plastica con aria in grugnita e quindi entrò nell’alloggio, per vedere coi suoi occhi quella scena scandalosa.

Ethan s’avvicinò ansiosamente alla preda di Millisor e cercò di capire in che condizioni fosse. L’agente della Sicurezza si chinò invece accanto alla sedia e toccò con un brontolio di stupore il nudo fil di ferro che era stato usato per legare le caviglie di Teki. L’avevano attorcigliato con un paio di pinze, facendogli sanguinare la pelle. I vestiti e gli oggetti personali del giovanotto erano sul letto, disposti come Ethan ricordava di aver visto i suoi dopo che erano stati esaminati in cerca di microspie. Anche i suoi polsi erano assicurati ai braccioli con un giro di filo di ferro, stretto altrettanto spietatamente. Il sangue gli era colato dal naso fin sul petto e sull’inguine. La testa di Teki ciondolava stupidamente, ma il giovanotto aveva gli occhi spalancati e sorrideva con innaturale allegria. Ridacchiò, quando l’agente della Sicurezza gli toccò le caviglie. L’uomo indietreggiò stupito, quindi scosse minacciosamente il capo e tirò fuori il minicomp. agitandolo verso di lui come fosse un’arma. — Questa storia non mi piace, amico. Qui c’è qualcosa di molto, molto strano. Come ti chiami?

Helda, sbucando alle spalle di Ethan, si fermò di colpo. — Signore Iddio che mi proteggi… Teki! Io l’ho sempre saputo che eri uno scriteriato capace di tutto, ma questo oltrepassa ogni…

— Io sono fuori servizio — le comunicò Teki con voce impastata ma dignitosa. — E non ho intenzione di lasciarmi offendere da te fuori dell’orario di lavoro. Anzi, andrò subito via. — Il giovanotto si agitò lottando contro i legami, e altre gocce di sangue gli colarono sui piedi.

La sorvegliante biologica restò ammutolita quando poté vedere meglio ciò che aveva davanti, ma il suo silenzio non durò a lungo. — Che diavolo significa tutto questo?

— È drogato, dottore? — domandò l’agente della Sicurezza a Ethan, inginocchiato accanto a Teki. — Con cosa? Secondo lei si tratta di una faccenda privata di questa gente che gli è sfuggita di mano, o di qualcosa per cui devono essere incriminati? — Le sue grosse dita attendevano speranzose sulla tastiera del minicomp.

— È evidente che lo hanno drogato e torturato, agente — dichiarò Ethan senza mezzi termini, aprendo il medikit di Quinn. — Inoltre ci troviamo di fronte a un sequestro di persona. — Nella scatola c’era un bisturi a vibrolama; un tocco, e i fili di ferro alle caviglie tintinnarono al suolo. — Quest’uomo è stato rapito.

— A scopo di libidine?

— Ne dubito.

Il suono della voce di Ethan distrasse Helda, che si girò di scatto a guardarlo. — Tu non sei un medico — si sbalordì la femmina. — Tu sei quel filibustiere dei Moli e Portelli. Che diavolo stai facendo qui? Il mio ufficio si aspetta ancora delle spiegazioni da te!

Teki esplose in una risata stridula a quelle parole, facendo cadere la spugnetta sterile con cui Ethan gli disinfettava una caviglia. — Povera Helda, quanto poco sai degli esseri umani che sfiorano la tua grigia vita! Lui è davvero un dottore! — esclamò. Si piegò verso Ethan, rischiando di rovesciare la sedia, e in tono da cospiratore sussurrò: — Non lasciarle mai capire, per nessuna ragione, che tu sei un athosiano, o le scoppierà un’arteria e quello sarà il suo ultimo attacco di bile. Helda odia Athos. — Annuì con enfasi teatrale e poi, esausto, lasciò ciondolare di lato la testa.

Helda rimuginò quelle parole. — Un athosiano? Cos’è, una specie di scherzo? — Guardò Ethan in attesa di una risposta.

Assorbito nel suo lavoro lui accennò col capo a Teki. — Lo domandi a lui. In questo momento è pieno di siero della verità. — Il cugino di Quinn aveva le pulsazioni accelerate, e le mani e i piedi freddi, ma non era in stato di shotk. Gli liberò anche i polsi. Era pronto a sostenerlo, però il giovanotto non cadde in avanti, anzi si alzò in piedi con le sue forze. — Comunque, signora, per sua informazione io sono il dottor Ethan Urquhart di Athos. Ambasciatore dottor Urquhart, in missione per conto del Consiglio della Popolazione del mio pianeta.

Non si era aspettato di impressionare molto quell’indisponente femmina, ma con sua sorpresa Helda si fece indietro e sbarrò gli occhi, pallida in viso. — Ah, sì? — disse con voce piatta.

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