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— Ah. Oh, sì, naturalmente, signore. Lei ha senza dubbio una base sicura. È nelle vicinanze?

— E… mmh, la sua non va bene?

Il giovanotto biondo sorrise e annuì. — Finché le autorità della stazione non indagheranno troppo sui miei documenti.

Ethan lo invitò a fargli strada con un gesto, e Cee si avviò. "Base sicura" decise Ethan dopo un po’, doveva essere un termine usato dagli agenti segreti per indicare il posto in cui si nascondevano, perché il giovanotto lo accompagnò fino a un albergo molto economico dove alloggiavano i lavoratori stranieri che si fermavano alla stazione con un permesso di soggiorno, in attesa di trovare una sistemazione migliore. Nell’atrio c’era un certo traffico di clienti, in genere operai e fattorini, o al più impiegati e tecnici le cui funzioni Ethan non poteva neppure immaginare, come ad esempio le due femmine dai vestiti coloratissimi e con facce coperte da un makeup innaturale quasi-cetagandiano, che dapprima accostarono lui e Cee con fare cordiale e poi sbuffarono insulti incomprensibili in tono sprezzante allorché loro si affrettarono ad allontanarsi.

L’alloggio di Cee era praticamente il gemello della Camera Turistica Economica di Ethan, poco pulito e così stretto che in due ci si muoveva a stento. Non senza una certa preoccupazione lui s’era chiesto se il fuggiasco cetagandano stesse leggendo la sua mente… in apparenza non era così, visto che non aveva dato segno d’intuire in anticipo le sue risposte né d’accorgersi dell’errore che faceva affidandosi a lui.

— Se ho capito bene — disse Ethan, — i suoi poteri mentali sono intermittenti.

— È così, infatti — rispose Cee. — Se la mia fuga in direzione di Athos fosse andata come avevo programmato all’inizio, non ne avrei fatto uso mai più. Suppongo che ora il vostro governo domanderà di avere i miei servizi, come pagamento per la protezione che mi date.

— Questo non saprei dirglielo. Vedremo — rispose onestamente Ethan. — Ma se lei possiede davvero un talento psi sarebbe un peccato non farne più uso. Voglio dire, potrebbe avere delle applicazioni in molti campi socialmente utili.

— Anche inutili, mi creda — mormorò aspramente Cee.

— Pensi alla medicina pediatrica… che aiuto sarebbe nella diagnosi su pazienti pre-verbali! I neonati non possono rispondere a domande tipo: dove ti fa male? Cosa ti senti? O per le vittime di colpi apoplettici, o per quelli rimasti paralizzati dopo incidenti che li hanno resi incapaci di comunicare, prigionieri dei loro corpi! Nel nome di Dio il Padre… — L’entusiasmo di Ethan si stava scaldando. — Lei potrebbe diventare un benefattore dell’umanità!

Terrence Cee sedette pesantemente sullo sportello dell’armadio, che abbassato si trasformava in una sedia. Nei suoi occhi c’era una luce di stupore e incomprensione; poi strinse le palpebre, insospettito. — È molto più facile che gli altri mi vedano come una minaccia. Nessuno di quelli che conoscono il mio segreto mi ha mai proposto di usarlo altro che nel campo dello spionaggio.

— Be’… queste persone erano spie, o militari?

— Ora che ci penso, sì. Per la maggior parte.

— Mi sembra ovvio, allora. Quella gente non pensava a sfruttare il suo talento in modo davvero pratico, ma soltanto nel ristretto campo di loro competenza.

Cee gli diede un’occhiata scrutatrice e la sua bocca si curvò in un sorrisetto. — Spero che lei abbia ragione, signore. — Il suo atteggiamento si fece meno rigido, un po’ della tensione che gli bloccava la muscolatura si sciolse, ma i suoi occhi azzurri restarono fermi e attenti su di lui. — Dottor Urquhart, lei si rende conto che io non sono un essere umano? Io sono una costruzione genetica artificiale, un composito proveniente da una dozzina di sorgenti, con l’aggiunta di un organo di senso che nessun uomo ha mai avuto, un organo incuneato nel mio cranio come un granchio in una buca. — E curvò le dita di una mano a imitare la forma di un mollusco.

— Be’, mmh… i biologi che hanno fabbricato il suo corpo, se vogliamo usare questo termine, dove hanno preso i geni? Da altri uomini, voglio supporre — domandò Ethan.

— Oh, sì. Esseri umani selezionati con cura. — Gli occhi di Cee si persero in qualche visione del passato, non molto piacevole a giudicare dalla sua smorfia ostile.

— Tuttavia — gli fece notare Ethan, — se lei risale all’indietro di, mi lasci fare il conto, quattro generazioni, ogni essere umano è un composito di sedici diverse sorgenti. Che li chiami antenati o con qualsiasi altro nome, sono sempre la stessa cosa. Il suo miscuglio di geni è stato meno casuale, tutto qui. Ora, io conosco la genetica. Se lasciamo da parte quel nuovo organo che ha menzionato, io posso garantirle che la sua mescolanza genetica per quanto peculiare non può essere anormale. Non è questo il test della sua umanità.

— E allora qual è il test dell’umanità di un individuo?

— Be’… lei ha il libero arbitrio, questo è ovvio, altrimenti non si sarebbe opposto ai suoi creatori. Ne consegue che lei non è un robot di carne, bensì un figlio di Dio il Padre, destinato a vivere finché Lui vorrà per poi rispondere a Lui dei suoi peccati — gli fece il predicozzo Ethan.

Se avesse spalancato un paio d’ali e preso il volo davanti a lui, Terrence Cee non avrebbe potuto guardarlo con uno sbalordimento maggiore. Sembrava proprio che quei fatti, così palesi e ovvii, non gli si fossero mai presentati alla mente.

Si piegò in avanti, protendendosi verso Ethan. — Cosa sono io per lei, allora, se non sono un mostro?

Lui si passò una mano sul mento e rifletté qualche istante. — Tutti noi restiamo Suoi figli agli occhi del Padre, per quanto possiamo credere d’essere orfani. Lei è mio fratello, naturalmente.

— Naturalmente, dice? — mormorò Cee. Si strinse le braccia al petto e chinò la testa, scosso da un tremito. Quando sbatté le palpebre, più volte, fu per schiarirsi la vista offuscata dalle lacrime che gli avevano improvvisamente riempito gli occhi. Se le asciugò con un polsino della blusa, quasi rabbiosamente, e il suo volto avvampò di vergogna. — Dannazione — mugolò, — l’arma segreta dei militari, la super-spia, l’uomo sopravvissuto a tutti i suoi simili e sfuggito a quelli che gli davano la caccia. Com’è riuscito a farmi piangere? Non mi succedeva da molti anni. — Strinse i pugni e aggiunse, con voce rauca: — Se dovessi scoprire che lei mi ha mentito, giuro che la uccido!

Dette da un altro uomo avrebbero potuto essere soltanto parole, ma la luce fredda che ci fu negli occhi azzurri di Cee fece capire a Ethan che stava dicendo la semplice verità. — Senta, adesso lei è molto stanco — disse per placarlo, allarmato da quell’atteggiamento così emotivo. Per Cee non fu facile ritrovare l’autocontrollo, tuttavia ci provò, lavorando sulla respirazione come uno yogi. Ethan vide che sul minuscolo comodino da notte c’era un fazzoletto e glielo diede perché si asciugasse la faccia. — Credo che guardare il mondo attraverso gli occhi di Millisor, se è questo che lei ha fatto ultimamente, abbia avuto un brutto effetto psicologico su di lei.

— Vedo che lei ha capito questa situazione — mormorò Cee annuendo. — Io sono andato dentro e fuori dalla sua mente fin da quando questa cosa — e allargò ancora le dita di una mano a imitare la forma di un granchio, — si è sviluppata del tutto dentro la mia testa, all’età di tredici anni.

— Un’esperienza spiacevole, già — disse Ethan. senza pensarci. — Come annusare della spazzatura.

Sorpreso, Cee si lasciò sfuggire una risata che per ritrovare la padronanza di sé gli servì meglio della respirazione. — Come ha fatto a saperlo?

— Io non so niente su come funziona la sua telepatia, ma conosco quell’individuo — Ethan si mordicchiò pensosamente le labbra. — Lei è giovane. Quanti anni ha? — domandò all’improvviso.

— Diciannove anni standard.

Non c’era alcuna sfida adolescenziale in quella risposta. Cee stava soltanto esponendo un fatto, come se la sua giovinezza non fosse mai stata un periodo in cui s’era sentito contrapposto agli adulti. La consapevolezza della sua diversità raggelò un momento Ethan, come la vista della cima di un iceberg. — Ah-ehm… spero che non le dispiaccia raccontarmi qualcosa di lei, adesso. Parlando nelle mie vesti di Ufficiale addetto all’Immigrazione, se posso dire così.

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