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— È il meno che possiamo fare — disse il comandante della stazione di balzo. — Non so dirle come mi sia sentito sollevare lo spirito quando le navi dei Dendarii si sono materializzate nel nostro spazio, per combattere e scacciare gli invasori cetagandani.

— I Dendarii non avrebbero potuto riuscirci da soli — precisò modestamente Miles. — Tutto ciò che abbiamo fatto è stato di affiancarvi in attesa che la vera forza d'urto entrasse in campo.

— Ma se non aveste tenuto le posizioni, l'Alleanza del Mozzo Hegen, la «vera forza d'urto» come dice lei, non avrebbe potuto fare il balzo nello spazio locale.

— Non senza gravi perdite, è vero — concesse lui.

Il comandante della stazione guardò l'orologio. — Be', il mio pianeta esprimerà fra poco la sua opinione sull'argomento in modo più tangibile. Posso accompagnarla alla cerimonia, ammiraglio? È quasi l'ora.

— Sì, grazie. — Miles si alzò e lo precedette fuori dall'ufficio, palpando il ringraziamento più tangibile che aveva in tasca. Medaglie, uh-hu. Non è con le medaglie che si pagano i conti dei cantieri navali.

Davanti a una finestra panoramica si fermò un istante, non tanto per guardare lo spazio all'esterno della stazione quanto la sua immagine riflessa nel cristallo. L'accoppiamento bianco/grigio dei Dendarii non mancava di stile, riconobbe. La giacca dell'uniforme aveva bordi in velluto grigio scuro, messi in risalto dalle strisce bianche lungo le cuciture e intorno ai gradi. I morbidi stivaloni di pelle, anch'essi grigi, aggiungevano alcuni preziosi centimetri alla sua statura. I bottoni e le fibbie d'argento gli conferivano, senza eccedere, un'eleganza marziale. Forse avrebbe potuto riportare lo stesso disegno su qualche abito civile.

Nel vuoto esterno fluttuavano sparse numerose astronavi di Dendarii, Rangers, vervani e dell'Alleanza. Il Principe Serg non era fra esse. Si trovava nell'orbita di Vervain e ospitava continue riunioni ad alto livello, in cui venivano perfezionati i particolari di diversi accordi: traffici commerciali e turistici, rapporti economici, comportamenti diplomatici, tariffe doganali, alleanza militare di mutua protezione, programmi di scambio culturale e altri ancora fra Barrayar, Vervain, Aslund e Pol. Gregor, così Miles aveva sentito dire, si stava distinguendo sia nelle relazioni sociali, come protagonista dei notiziari televisivi, che nell'oscuro lavoro degli affari politici. Meglio tu che io, ragazzo. Il cantiere della stazione vervana aveva lasciato da parte altre riparazioni per dare la precedenza alle astronavi dendarii. Baz era indaffarato da qualche parte, fra le centinaia di lucciole che si spostavano lente intorno agli scafi. Miles si distolse da quella vista e seguì il comandante della stazione.

Nel corridoio fuori dal vasto auditorium dove si teneva la cerimonia furono fermati dal personale che stava organizzando la sala. Evidentemente i vervani (o i registi dei loro notiziari) desideravano che i protagonisti facessero il loro ingresso secondo una coreografia precisa. Il comandante entrò a controllare l'ambiente. Non era un grosso auditorium, ma i vervani avevano fatto in modo di riempirlo con un pubblico scelto e rappresentativo. Miles aveva contribuito con un plotone di Dendarii convalescenti. Nel suo discorsetto, decise, avrebbe sottolineato che poteva accettare ogni merito solo a nome dei mercenari, come loro rappresentante.

Mentre aspettava fuori vide arrivare la comandante Cavilo con la scorta in alta uniforme fornitale da Barrayar. A quanto ne sapeva lui, ai vervani non era stato detto che quella guardia d'onore aveva in realtà l'ordine di sparare alla bionda mercenaria, se solo avesse fatto tanto di fuggire. Due ausiliarie barrayarane dall'aria dura provvedevano a sorvegliare ogni momento delle sue giornate. Cavilo le precedeva con andatura flessuosa, ignorando altezzosamente la loro esistenza.

Indossava una delle sue versioni sexy dell'uniforme dei Randall Rangers, nera e ocra, coi gradi applicati ai lati di una scollatura vertiginosa. La vampira morde, ricordò Miles a se stesso. Cavilo sorrise e deviò nella sua direzione. Emanava il profumo aspro, muschioso, a cui lui era allergico, intenso come se ci avesse fatto il bagno dentro.

Miles la salutò con un cenno del capo, s'infilò una mano in tasca e ne estrasse due filtri nasali. Con lenta ostentazione se li mise uno dopo l'altro nelle narici, e quindi aspirò l'aria per controllarne l'efficacia. Funzionavano bene. Avrebbero filtrato anche numerosi batteri oltre alle molecole organiche di quel dannato profumo.

Alla vista della sua esibizione Cavilo s'irrigidì, fulminandolo con uno sguardo furioso. — Maledetto imbecille! — sibilò fra i denti.

Lui si strinse nelle spalle, come per dire: «E cosa dovrei fare, secondo te?» — Siete già pronti per partire, tu e i Rangers?

— Ce ne andremo subito dopo questa stupida mascherata. Ho dovuto vendere come rottami sei navi che non possono più fare il balzo.

— Buona idea. Se i vervani non hanno ancora mangiato la foglia, potrebbero essere i cetagandani a fornire loro qualche sgradevole informazione. Ti consiglio di non indugiare da queste parti.

— Non intendo farlo. Se il Mozzo Hegen sparisse dalla galassia stai cerio che non sentirei la sua mancanza. E questo vale ancor di più per te, piccolo rettile mutante. Se non fosse stato per te… — Scosse il capo, a denti stretti.

— Spero che ti rallegrerà sapere che i Dendarii sono stati pagati tre volte per questa operazione — disse Miles. — Una volta da Aslund, secondo il contratto originale, una volta da Barrayar, e una volta dai vervani grati e commossi. Sottratte le spese, questo ci lascia un discreto utile netto.

— Prega piuttosto di non incontrarmi mai più sviila tua strada! — ringhiò lei.

— Terrò caro questo augurio.

Il personale li fece entrare in sala, e furono indirizzati verso la scaletta a destra del palco. Miles si chiese se fosse possibile che Cavilo avesse la sfacciataggine di accettare un'onorificenza a nome dei Rangers, dopo aver complottato per distruggere chi gliela stava dando. Era possibile, come risultò subito dopo.

La prima medaglia che ho meritato, pensò, mentre il comandante della stazione gliela appuntava sul petto e si voltava verso le telecamere per motivarne la concessione, con imbarazzanti parole di elogio. E non posso neanche portarla in patria. La medaglia, l'uniforme e lo stesso ammiraglio Naismith erano destinati a essere messi in naftalina. Per sempre? Il futuro dell'alfiere Vorkosigan non era molto attraente, al confronto. E tuttavia… la vita di un militare era all'incirca la stessa ovunque. Se fra lui e Cavilo c'era una differenza, stava in quello che ciascuno aveva scelto di servire. E nel modo di farlo. Non tutte le strade, ma una sola strada…

Quando Miles tornò su Barrayar in licenza, qualche settimana più tardi, Gregor lo invitò a pranzo al Palazzo Imperiale. Andarono a sedersi a un vecchio tavolo d'acciaio nel Giardino Settentrionale, noto per esser stato disegnato e curato dall'Imperatore Ezar, nonno di Gregor. D'estate il tavolo sarebbe stato immerso in un'ombra fresca e profonda; quel mattino, sprazzi di sole filtravano fra le tenere foglie di una primavera alquanto precoce. Le guardie erano di sentinella al di là delle piante; i servi si tenevano fuori portata d'orecchio, pronti a scattare se nell'aria si fossero sparse le note argentine del campanello. Dopo tre portate, sazio, Miles sorseggiò il caffè e progettò un assalto al secondo vassoio di paste, che sull'altro lato del tavolo attendevano coraggiosamente il loro destino trincerate dietro i resti dilaniati delle bistecche. O era troppo per le capacità d'attacco dei suoi succhi gastrici? I soli avanzi di quel pranzo avrebbero dato dei punti alle razioni vervane dei lavoratori a contratto, per non parlare delle specialità canine servite nelle celle di Cavilo. Anche Gregor sembrava osservare quel panorama culinario con occhi nuovi. — Le stazioni spaziali sono posti noiosi, dopotutto, non trovi? Tutti quei corridoi così stretti — disse, contemplando una fontana da cui un ruscello serpeggiava via fra le aiuole. — Avevo smesso di vedere la bellezza di Barrayar, trovandomela sotto gli occhi ogni giorno. Per ricordare ho dovuto dimenticare. Strano.

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