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Esasperato oltre ogni limite di sopportazione, Ungari sbottò: — Keller, lo prenda in consegna!

Mentre l'uomo si avvicinava a passi pesanti, Miles abbassò una mano sul pulsante d'allarme della consolle. Poi fece ruotare la sua poltroncina, saltando giù dall'altra parte, e le mani dell'altro mancarono la presa. La porta della cabina si spalancò con un sibilo d'aria compressa, e Chodak e i due mercenari di guardia balzarono dentro, seguiti da Elena. Keller fu investito dai raggi degli storditori intanto che toglieva di mezzo la poltroncina, e si abbatté pesantemente al suolo. Miles si scostò per non esserne travolto. Ungari, che s'era alzato con un'imprecazione, non poté far altro che guardare le canne dei quattro storditori puntati su di lui. Miles avrebbe quasi voluto piangere, e se fosse servito a qualcosa lo avrebbe fatto. Ma ormai era inutile. Cercò di controllare la voce:

— Sergente Chodak, trasferisca questi due nel reparto detenzione della Triumph. Fra la cella di Oser e quella di Metzov c'è ancora posto, credo.

— Sì, ammiraglio.

Ungari fece la sua uscita in dignitoso silenzio, come si conveniva a un ufficiale catturato da forze nemiche superiori, anche se quando si voltò per gettargli un ultimo sguardo non poté trattenersi dal ringhiare qualcosa, paonazzo in volto per la furia.

E non posso neanche interrogarlo chimicamente, pensò Miles con un sospiro. Un agente del livello di Ungari aveva certo un impianto allergico al penta-rapido, e sarebbe bastata una dose per produrre in lui uno shock anafilattico o addirittura la morte. Poco dopo altri due Dendarii entrarono con una barella e portarono via il corpo inerte di Keller.

Quando la porta si chiuse dietro di loro, Elena chiese: — E va bene. Che diavolo è successo?

Lui ebbe un gesto d'impotenza. — Quello è il mio diretto superiore, il capitano Ungari. Sfortunatamente non era dell'umore adatto per ascoltarmi.

Elena inarcò un sopracciglio, con un sorriso acre. — Santo cielo, Miles. Metzov, poi Oser, e ora Ungari… non sei certo tenero con i tuoi ufficiali superiori. Che pensi di fare quando verrà il giorno di tirarli fuori di là?

Lui scosse la testa, cupamente. — Non lo so.

La Flotta abbandonò la Stazione Aslund un'ora dopo, mantenendo un completo silenzio radio. Gli aslundiani, com'era prevedibile, furono colti da un'agitazione prossima al panico. Seduto nel centro comunicazioni della Triumph, Miles si limitò ad ascoltare le loro chiamate frenetiche, deciso a non interferire con il corso più semplice degli eventi a meno che gli aslundiani non avessero aperto il fuoco. Finché Gregor non fosse stato alla sua portata intendeva presentare a Cavilo una situazione facilmente interpretabile. Che pensasse pure di aver avuto qualcosa di molto simile a ciò che voleva, o che comunque le faceva comodo.

In effetti, il corso degli eventi prometteva di avere conseguenze meno semplici di quelle che Miles avrebbe forse ottenuto usando diplomazia, tempo e persuasione. Dai messaggi sparsi nell'etere dedusse che gli aslundiani avevano ben tre diverse teorie: i mercenari stavano fuggendo dal Mozzo dopo aver avuto segretamente notizia di un qualche attacco imminente; i mercenari avevano cambiato bandiera e si stavano unendo a uno o più dei loro nemici; i mercenari (e questa era la peggiore) stavano per attaccare i suddetti nemici, follia che avrebbe esposto Aslund all'immediata reazione di questi ultimi. Le forze armate di Aslund erano già in stato di allarme. La stazione stava chiamando tutte le navi sparse nell'estensione del Mozzo per coprire la falla difensiva lasciata dalla criminosa e inaspettata defezione dei mercenari.

Per Miles fu un sollievo quando la Flotta dei Dendarii uscì dallo spazio territoriale di Aslund, accelerando attraverso il sistema. Grazie alla disorganizzazione che si lasciavano alle spalle, nessuna forza aslundiana avrebbe potuto inseguirli finché non avessero cominciato a decelerare verso il corridoio di transito vervano. E una volta là, dopo l'arrivo della flotta d'invasione, non sarebbe stato difficile persuadere gli aslundiani a ridefinire se stessi non più datori di lavoro bensì riserve dei Dendarii.

Il fattore tempo era ormai, se non vitale, molto importante. C'era da supporre che Cavilo non avesse ancora mandato il suo segnale in codice ai cetagandani. L'improvvisa partenza della Flotta dei Dendarii, unita e concorde, poteva essere interpretata da lei come un fallimento del complotto programmato. In tal caso, decise Miles, meglio così. Non era da escludere che Cavilo avesse l'intelligenza di fermare l'invasione cetagandana prima che fosse sparato un sol colpo. Un perfetto esempio di «guerra di manovre» l'avrebbe definito l'ammiraglio Aral Vorkosigan. Ovviamente, come risultato politico, io mi troverò con la faccia piena di uova marce e una folla inferocita alle spalle. Ma mio padre capirà. Spero. Da quel punto di vista, il suo unico obiettivo doveva essere di restare in vita e salvare Gregor, cosa che dati gli ultimi sviluppi sembrava perfino troppo semplice… salvo il caso che Gregor non volesse essere salvato.

Innumerevoli e più sottili tronchi della strategia ramificata attendevano di spezzarsi sotto il suo peso, stabilì blandamente Miles. Andò in camera e si gettò sul letto di Oser per quelle che contava fossero almeno dodici ore di sonno profondo.

A svegliarlo fu l'ufficiale alle comunicazioni della Triumph, la cui morbida voce femminile lo chiamò dal video. In maglia e mutande Miles si alzò, andò alla consolle e sedette sulla poltroncina girevole. — Sì, tenente?

— Lei ha chiesto d'essere aggiornato sui messaggi in arrivo da Stazione Vervain, signore.

— Sì, grazie. — Miles si schiarì gli occhi con due dita inumidite di saliva e cercò di distinguere l'orologio. Dodici ore di volo al tempo stimato di arrivo. — Segni di attività insolita a Stazione Vervain o al loro corridoio di transito?

— Non ancora, signore.

— Bene. Continuate il monitoraggio. Seguite la rotta di ogni nave in transito e registrate i segnali. Qual è lo scarto di tempo fra noi e loro, in questo momento?

— Il messaggio appena pervenuto è partito trentasei minuti fa, signore.

— Bene. Me lo mandi su un monitor. — Sbadigliando appoggiò i gomiti sulla consolle e guardò lo schermo. — Un ufficiale vervano d'alto rango apparve e domandò spiegazioni sull'attività e sulle intenzioni della Flotta Oserana/Dendarii. Il suo tono non era diverso da quello degli aslundiani. Nessun accenno a Cavilo. Miles chiamò di nuovo l'ufficialessa addetta alle comunicazioni. — Tenente, risponda che il loro importante messaggio è stato rovinato dalle interferenze statiche e da un malfunzionamento nel nostro decodificatore. Chieda con urgenza una ripetizione, accurata e amplificata.

— Sì, signore.

Nei settanta minuti di scarto che seguirono Miles fece una doccia, si vestì con un'uniforme a sua misura (completa di stivali) che il sarto della nave gli aveva nel frattempo preparato e si gustò una colazione equilibrata. Arrivò nella sala-plancia della Triumph giusto in tempo per l'arrivo del secondo messaggio. Stavolta, con sua soddisfazione, a fianco dell'alto ufficiale vervano c'era la comandante Cavilo, a braccia conserte. L'uomo ripeté le stesse cose di prima, ad alta voce e scandendo le parole, con volume al massimo. Quando ebbe finito, Cavilo aggiunse: — Date subito spiegazioni, o riterremo ostile il vostro atteggiamento e saranno prese adeguate contromisure.

Quella era la qualità di trasmissione che Miles voleva. Andò a sedersi alla consolle delle comunicazioni e si specchiò in uno schermo per controllare l'uniforme. Poi inclinò la telecamera in modo che i suoi gradi di ammiraglio fossero bene in mostra. Annuì verso la donna in uniforme che attendeva accanto a lui. — Pronto a trasmettere, tenente — disse, e atteggiò il volto in un'espressione franca, seria e contegnosa.

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