Liga si leccò il voluminoso labbro inferiore. — Noi facciamo un largo uso di distruttori neuronici.
In un impianto minerario, eh? Sicuro. — Ho una disponibilità limitata di neuroscudi. Primo arrivato, primo servito.
— E il prezzo?
Miles gli fece una cifra, in dollari betani.
— Ma è assurdo! — Seduto davanti al visore Liga si agitò, scuotendo la testa energicamente.
Miles si strinse nelle spalle. — Ci sono degli ingranaggi da ungere. Ma lei consideri le possibilità: questo equipaggiamento può dare un vantaggio determinante alla sua… azienda, in fatto di misure difensive. Suppongo che lei possa ben immaginarlo.
— Dovrò… rifletterci sopra. Mmh… potrei avere questo disco, per mostrarlo al mio, uh, sovrintendente?
Miles si accigliò. — Non se lo faccia trovare addosso.
— Non c'è pericolo. — Liga fece ripassare il video un'altra volta e osservò come affascinato la figura avvolta nel neuroscudo, poi intascò il minidisco.
Fatto. L'esca era ben salda sull'amo, e la lenza affondava in acque torbide. Sarebbe stato interessante vedere se avrebbe tirato in superficie un pesciolino o un mostruoso leviatano. Liga comunque, giudicò Miles, apparteneva a una sottoclasse che nuotava in acque basse. Be', da qualche parte doveva pur cominciare.
Tornati in strada, Miles gettò uno sguardo preoccupato a Keller. — Sono stato convincente? — domandò, sottovoce.
— Molto convincente, signore — lo tranquillizzò lui.
Be', forse. Spiattellare il copione e i sorrisetti untuosi provati davanti allo specchio era stato divertente. S'era quasi sentito sommergere nell'obliqua personalità di Victor Rotha.
All'ora di pranzo Miles condusse Keller in un bar-ristorante che aveva i tavolini in strada, fra lunghi vasi di felci nane, il posto migliore per farsi osservare come voleva Ungari. Ordinò un sandwich di carne proteica artificiale e lasciò rilassare i nervi. Mangiare non richiedeva falsi atteggiamenti, né era sovreccitante come…
— Ammiraglio Naismith!
Per poco Miles non si strangolò con il boccone, girandosi di scatto per vedere da dove veniva quell'esclamazione stupefatta. Keller era già sul chi vive e stava faticando per impedirsi di tirar fuori il suo storditore.
Due uomini s'erano fermati oltre il divisorio di felci. Quello di sinistra non gli parve di averlo mai visto. L'altro… dannazione! Conosceva quella faccia. Mascella quadrata, pelle bruna, un volto giovane ma già troppo duro per non essere quello di un soldato malgrado gli abiti civili polani. Il suo nome, il suo nome…! Uno dei commandos di Tung, un caposquadra delle navette da sbarco. L'ultima volta che Miles l'aveva visto si stavano vestendo insieme nell'armeria della Triumph, in previsione di una battaglia a bordo. Clive Chodak, ecco come si chiamava.
— Mi spiace, lei si sbaglia — fu tutto quello che seppe dirgli, per puro riflesso nervoso. — Il mio nome è Rotha. Victor Rotha.
Chodak sbatté le palpebre. — Cosa? Oh, allora scusi. È che… lei somiglia a una persona che conosco. — Considerò l'aspetto di Keller, poi nei suoi occhi apparve una luce ansiosa. — Senta, uh, Rotha, che ne dice se ci uniamo a voi?
— No! — lo fermò subito Miles, spaventato. Ma, un momento: non aveva senso rinunciare a un possibile contatto. Quella era una complicazione a cui avrebbe dovuto prepararsi meglio. Anche se attivare Naismith prematuramente, senza il permesso di Ungari… — Non qui, comunque — si corresse in fretta.
— Ah… capisco, signore. — Dopo un breve cenno del capo Chodak riprese immediatamente il cammino, facendosi capire a colpi di gomito dal suo riluttante compagno. Riuscì a gettare un'occhiata dietro di sé una volta sola. Miles represse un'imprecazione e si nascose la faccia col sandwich. I due uomini s'allontanarono fra la gente. Dai loro gesti era chiaro che stavano discutendo animatamente.
— Stavolta è andata liscia? — domandò a mezza bocca.
Keller aveva l'aria scontenta. — Non molto — borbottò accigliato, continuando a guardare nella direzione in cui Chodak e l'altro erano scomparsi.
A Chodak bastò un'ora per rintracciare Miles, a bordo della nave betana ormeggiata al Molo 6-A. Ungari era ancora fuori.
— Ha detto che vuole parlarle — ruminò Keller. Gli indicò l'immagine sul monitor del portello, fuori del quale Chodak si stava guardando attorno con aria impaziente. — Secondo lei cosa cerca, in realtà?
— Probabilmente fare due chiacchiere e basta — rispose Miles. — Ma il fatto è che anch'io gli voglio parlare.
— Lo conosce bene? — domandò Keller, sospettosamente, studiando la faccia e il vestito di Chodak.
— Bene no — ammise lui. — Era un graduato di una certa competenza; conosceva le attrezzature, teneva i suoi uomini in movimento, sapeva come comportarsi sotto il fuoco. — A dire il vero non aveva avuto che brevissimi contatti con quell'uomo, tutti nel corso di altre faccende… ma un paio di volte era stato in momenti critici, nella selvaggia incertezza di un combattimento a bordo della nave. Le sue sensazioni viscerali erano una garanzia adeguata per un uomo che dopotutto non vedeva da quasi quattro anni? — Guarda che sia pulito, sì. Ma fallo entrare e sentiamo cos'ha da dire.
— Se è questo che ordina, signore — bofonchiò Keller.
— È questo.
Chodak non fu offeso dal detector con cui la guardia del corpo gli spazzolò il vestito. Aveva solo uno storditore con regolare porto d'armi, benché fosse, come Miles ricordava, un esperto nel combattimento a mani nude, armi queste che nessuno gli poteva confiscare. Keller lo scortò nella piccola mensa/soggiorno della nave, che i betani avrebbero chiamato spazio-ricreazione.
— Signor Rotha. — Chodak annuì. — Speravo che, uhm… potessimo parlare in privato. — Guardò Keller, incerto. — O ha sostituito il sergente Bothari?
— Nessuno potrebbe sostituirlo. — Miles accennò a Keller di seguirlo in corridoio, e prima di parlare aspettò che la porta si richiudesse. — Credo che la sua presenza disturberebbe, sergente. Non le importa di aspettare fuori? — Non specificò chi era ad esserne disturbato. — Può controllare sul monitor, naturalmente.
— Non è una buona idea. — Keller si accigliò. — E se quello le salta addosso?
Lui tamburellò nervosamente con le dita sulla cucitura dei pantaloni. — È una possibilità. Ma siamo diretti ad Aslund, dove Ungari dice che sono di stanza i Dendarii. Potrei riuscire ad avere qualche informazione utile.
— Solo se quello le dice la verità.
— Anche le menzogne possono essere rivelatrici. — Con quella dubbia affermazione Miles rientrò nel soggiorno/mensa, lasciando fuori Keller.
Rivolse un allegro cenno di saluto al visitatore, che s'era seduto al tavolo centrale. — Ehilà, caporale Chodak!
Lui s'illuminò in viso. — Allora si ricorda.
— Potrei dimenticare? Be'… ah, sei ancora con i Dendarii?
— Sì, signore. Sono sergente, adesso.
— Ottimo. Non ne sono sorpreso.
— E, uh… i Mercenari Oserani.
— Già, l'ho saputo. Se sia un miglioramento o no, resta da vedere.
— Chi stava fingendo d'essere, signore?
— Victor Rotha è un commerciante d'armi.
— Buona copertura — annuì Chodak, con serietà.
Miles cercò di mettere una maschera di casualità sulla sua domanda, mentre serviva due caffè, — Allora, che stai facendo di bello su Pol Sei? Mi sembrava che i Den… che la flotta fosse stata ingaggiata su Aslund.
— A Stazione Aslund, qui sul Mozzo — lo corresse Chodak. — Sono solo un paio di giorni di volo, attraverso il sistema. Se sistema si può chiamare. Contratto governativo.
— Ordini come grandine e paghe ridotte all'osso?
— L'ha detto, signore. — Chodak accettò il caffè senza esitazioni e prese la tazzina con entrambe le mani, assaggiandone subito un sorso. — Non posso trattenermi molto. — Rigirò la tazza fra le dita e la depose sul tavolo. — Sa, non vorrei averle fatto uno sgambetto, prima. Sono rimasto di sasso nel vederla seduto li, e… comunque volevo… metterla sull'avviso, suppongo. Lei sta tornando alla flotta?