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Mentre Keller apriva le manette il tenente esitò. — Pensa di, uh, essere al sicuro, signore?

— Presumo di esserlo — rispose seccamente l'uomo.

Già, e io? si domandò Miles. I due militari uscirono e lui restò abbandonato lì, letteralmente, in piedi sul tappeto. Sporco, con la barba lunga, le mani incrostate di gel e addosso la tuta nera da fatica dentro cui aveva dormito… quanto, una sola notte? Niente stivali; i suoi piedi erano racchiusi nelle forme di plastica a presa rapida che gli avevano messo in infermeria dopo averli curati, e li sentiva ciancicare in una sostanza acquosa. Durante le due ore di viaggio era riuscito a sonnecchiare un po', ma non si sentiva più riposato di prima. Aveva la gola irritata, le mucose nasali farcite di aghi, e quando respirava a fondo sentiva una fitta ai polmoni.

Simon Illyan, Capo della Sicurezza Imperiale di Barrayar, incrociò le braccia e lo osservò lentamente da capo a piedi, due volte. Quel lungo sguardo diede a Miles uno sgradevole senso di déja vu.

Praticamente tutti gli abitanti di Barrayar temevano il nome di quell'uomo, anche se pochi conoscevano la sua faccia. Era una fama che Illyan coltivava accuratamente, e che si doveva in parte — ma solo in parte — al suo formidabile predecessore, il leggendario Capo della Sicurezza Negri. Quest'ultimo, e in seguito Illyan, avevano vegliato sulla vita del padre di Miles nei vent'anni della sua carriera politica, fallendo una sola volta, la notte dell'infame attacco a base di soltoxina. Per contro non c'era nessuno al mondo che Illyan temesse, con l'unica notevole eccezione della madre di Miles. Una volta lui aveva chiesto a suo padre se ciò era dovuto a un senso di colpa, nato dopo quell'attentato, e la risposta del Conte Vorkosigan era stata che no, la cosa era un effetto residuo della prima vivida impressione. Miles aveva chiamato Illyan «zio Simon» per tutta la vita, fin quando era entrato nel Servizio, e «signore» da quel giorno in poi.

Guardando la faccia di Illyan, Miles pensò che ora stava finalmente afferrando la vera differenza fra essere molto seccato ed essere esasperato.

L'uomo mise termine alla sua ispezione, scosse il capo e grugnì: — Meraviglioso. Davvero meraviglioso.

Miles si schiarì la gola. — Sono… devo sul serio considerarmi in arresto, signore?

— È ciò che determineremo con questo colloquio — sospirò Illyan, appoggiandosi allo schienale. — Sono in piedi dalle due di mattina a causa tua. Ci sono voci che corrono già dappertutto, per non parlare di quello che i notiziari hanno detto e stanno continuando a dire da tutti gli schermi. I fatti accertati cambiano ogni mezzora, come colture di bacilli. Quello che mi chiedo è: già che c'eri, non potevi trovare un metodo ancora più efficace per autodistruggerti? Cercare di assassinare l'Imperatore con un temperino durante la Parata del Compleanno, ad esempio. O avere rapporti sessuali con una capra in Piazza Grande nell'ora del passeggio elegante. — Il sarcasmo lasciò il posto a una sofferenza genuina. — Lui aveva riposto tante speranze in te. Come hai potuto tradirlo così?

Non c'era bisogno di chiedere chi fosse «lui». Il Vorkosigan.

— Io… non penso di averlo fatto, signore. Non lo so.

Una luce lampeggiò sulla consolle. Illyan ebbe una smorfia, gettò un'occhiata fosca a Miles e toccò un interruttore. La seconda porta dell'ufficio, mimetizzata nella parete a destra della scrivania, scivolò di lato, ed entrarono due uomini in uniforme verde.

Il Primo Ministro, l'ammiraglio Conte Aral Vorkosigan, indossava la divisa come un animale indossa il suo pelame. Era un uomo di altezza media, robusto, dai capelli color cenere, con un volto segnato e i due occhi più penetranti che Miles avesse mai visto, grigi, con una strana sfumatura azzurrina. Era affiancato dal suo aiutante, un tenente alto e biondo di nome Jole, che Miles aveva conosciuto durante la sua ultima licenza a casa. Il giovanotto era un perfetto ufficiale-gentiluomo, coraggioso e brillante: aveva servito nello spazio, ed era stato decorato per un atto di valore durante un orribile incidente di bordo; poi, ancora convalescente, aveva fatto un periodo di servizio al Quartier Generale, dov'era stato pescato al volo dal Primo Ministro, che aveva l'occhio clinico per i nuovi talenti. Il suo aspetto fisico aveva già ispirato il reparto che produceva i video pubblicitari per il reclutamento. Miles sospirava di malinconica invidia ogni volta che se lo trovava davanti. Jole era ancora peggio di Ivan, che con tutta la sua bruna avvenenza non era mai stato accusato d'essere anche intelligente.

— Grazie, Jole — disse il Conte Vorkosigan, con lo sguardo fisso su Miles. — Ci vediamo dopo, in ufficio.

— Sì, signore. — Il giovanotto aveva preso atto delle condizioni di Miles; guardò il suo superiore con aria preoccupata e uscì. La porta si chiuse con un sibilo alle sue spalle.

Illyan aveva ancora la mano sui pulsanti della sua scrivania.

— Sei qui ufficialmente? — chiese al Conte Vorkosigan.

— No.

Illyan disattivò qualcosa; le registrazioni audio-video, comprese Miles. — Bene — disse, con voce piatta.

Miles salutò militarmente suo padre. Suo padre ignorò il saluto e lo abbracciò, in silenzio e con espressione grave; poi sedette sull'altra poltrona della stanza, accavallò le gambe e disse: — Continua pure, Simon.

Illyan, che secondo l'impressione di Miles era stato interrotto prima di passare alla lavata di capo che si stava preparando a fargli da quel mattino alle due, emise un grugnito scontento. — A parte le voci — disse, — si può sapere cos'è successo realmente stanotte su quella dannata isola?

Nei termini quanto possibile più brevi e obiettivi, Miles descrisse i fatti accaduti, cominciando dall'incidente di lavoro nel bunker del fetaine e finendo col suo arresto/detenzione/prelevamento ad opera della Sicurezza Imperiale. Suo padre non disse una parola durante l'intero rapporto, limitandosi a rigirare macchinalmente fra le dita una sottile penna, e ogni tanto battendosela su un ginocchio.

Quand'ebbe finito ci fu una lunga pausa di silenzio. I movimenti della penna stavano distraendo Miles. Avrebbe desiderato che suo padre la smettesse di agitare quel dannato oggetto o lo buttasse via, o qualunque altra cosa.

L'uomo rimise la penna in tasca, come Dio volle, e si appoggiò all'indietro. Poi alzò un dito, accigliandosi. — Vediamo se ho capito bene. Tu dici che Metzov ha incaricato il suo sergente di formare un plotone di esecuzione con delle reclute?

— Dieci di loro, provenienti dagli alloggi delle reclute. Non so se fossero volontari o no, ad essere sincero.

— Reclute. — Il Conte Vorkosigan era scuro in faccia. — Ragazzi.

— Ha detto qualcosa sull'esercito che poteva esser convinto a sparare alla marina, sulla Vecchia Terra.

— Ah, sì? — mormorò Illyan.

— Non credo che Metzov fosse mentalmente stabile quando è stato esiliato sull'isola Kyril dopo i suoi guai nella Rivolta di Komarr, e ruminarci sopra per quindici anni non ha migliorato le cose. — Miles esitò. — Il generale Metzov è stato… uh, interrogato a fondo su quell'episodio, signore?

— Il generale Metzov, per tua informazione — disse l'ammiraglio Vorkosigan, — guidò un plotone di diciottenni in un'azione che fu praticamente una specie di massacro, con molti casi di tortura.

Miles annuì, ripensando all'atteggiamento del generale. La sua malsana propensione alla battuta, all'umorismo, in quello che poteva essere il preambolo di una tragedia, ora si spiegava.

Il Conte Vorkosigan s'era scurito in faccia. — Per questa protervia non troverà un buco abbastanza profondo dove nascondersi, stavolta. D'accordo, mi occuperò io di Metzov.

— E per Miles e gli altri ammutinati? — domandò Illyan.

— Temo che, necessariamente, dovremo trattarla come una questione a parte.

— O due questioni a parte — suggerì Illyan.

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