— In quanto al danno da lei fatto alla Stazione Nove… — esitò, poi ebbe un sorrisetto simile a una crepa nel granito, la sua voce si fece più decisa, e Miles avrebbe quasi giurato di vedergli brillare una luce rossa in fondo alle pupille. — Lei sovrintenderà ai servizi di routine per una settimana. Quattro ore al giorno. Questo in aggiunta al suo normale incarico. A rapporto dal sergente Neuve, alla manutenzione, ogni mattina alle cinque.
Dalla soglia, dove il caporale indugiava, provenne una specie di ansito appena udibile che Miles non riuscì a interpretare. Divertimento? Orrore?
Ma… è ingiusto! E avrebbe perso una buona fetta del tempo in cui poteva ancora approfittare dell'esperienza di Ahn… — Il danno che ho fatto alla Stazione Nove non è stato uno sciocco incidente come quello con la motopulce, signore! Era necessario per la mia sopravvivenza.
Il generale Metzov lo gratificò di un'occhiata gelida. — Farà sei ore di manutenzione al giorno, alfiere Vorkosigan.
Fra i denti, come tirandosi fuori le parole con le pinze, Miles disse: — Non avrei il privilegio d'essere qui a colloquio con lei se mi fossi lasciato congelare, signore.
Un lungo silenzio, pesante, e uno sguardo che avrebbe potuto essere rivolto ai resti di un animale disseccati dal sole estivo su una strada.
— Può andare, alfiere — disse infine il generale Metzov. I suoi occhi erano fessure scintillanti.
Miles salutò, fece dietrofront e marciò fuori dall'ufficio, rigido e impettito come a una parata. Il sangue gli pulsava negli orecchi. A testa alta oltrepassò il caporale, che fingeva di dedicare la sua attenzione al funzionamento di una fotocopiatrice; chiuse la porta con la massima cura e poi fece risuonare i suoi passi nel corridoio al pianterreno dell'edificio dell'amministrazione.
Quando fu all'esterno imprecò dentro di sé, poi a voce alta. Una cosa era certa: doveva imparare a coltivare atteggiamenti più rispettosi verso gli ufficiali anziani. Alla radice del problema c'era, lo sapeva, l'ambiente in cui era stato allevato; troppi anni fra branchi di generali, ammiragli e diplomatici a Casa Vorkosigan, a tutte le ore, a pranzo e a cena. Troppi anni seduto in silenzio come un topolino, quasi invisibile, ad ascoltare i loro discorsi su questioni straordinariamente complesse o argomenti del tutto casuali e irrilevanti. Li vedeva come loro si vedevano l'un l'altro, forse. Quando un comune alfiere guardava il suo comandante era normale se in lui vedeva un semidio, non un… futuro subordinato. Gli alfieri di fresca nomina avrebbero dovuto essere quasi dei subumani per gli alti ufficiali, comunque.
E tuttavia… Cosa c'è che non va in questo Metzov? Lui aveva conosciuto militari d'ogni genere e con le più diverse tendenze politiche. Per la maggior parte erano ottimi ufficiali, finché gli si dava la possibilità di tener separato il dovere dalla politica. Come partito, i militari legati ai conservatori di destra erano pian piano usciti di scena dopo l'eliminazione — fucilazione, in qualche caso — degli ufficiali responsabili della disastrosa invasione di Escobar, vent'anni addietro. Ma il pericolo di una rivoluzione di destra — la classica giunta di ufficiali per «salvare» l'Imperatore dagli errori di un governo «debole» — continuava ad essere reale agli occhi di suo padre, come Miles sapeva.
Dunque era stato qualche sottile odore politico emanato da Metzov a fargli rizzare il pelo? No, si disse, questo no. Un uomo dotato di un minimo di sottigliezza politica avrebbe cercato di usarlo, non di schiacciarlo. O a irritarmi è stato questo provvedimento disciplinare umiliante, i servizi di manutenzione? Non era necessario essere un estremista politico per cedere alla tentazione, se capitava di poter mettere un Vor a cambiare i filtri delle latrine. O magari Metzov aveva qualche vecchia ferita lasciatagli da un arrogante Lord Vor. La politica, i rapporti sociali, la discendenza… le possibilità erano infinite.
Miles scrollò via quelle scariche elettrostatiche dalla mente; andò a mettersi la tuta da fatica e poi cercò il reparto ingegneria della Base. Per il momento, volente o nolente, era in acque più profonde della sua motopulce. Ma doveva soltanto limitarsi a evitare il più possibile Metzov. E se Ahn era stato capace di farlo per quindici anni, non vedeva perché lui non avrebbe potuto riuscirci per sei mesi.
Il tenente Bonn stava preparando la sonda per localizzare la motopulce. Era un giovanotto snello, sui ventotto-trenta, con una faccia lentigginosa arrossata dal freddo e capelli color paglia. Le altre sue caratteristiche erano occhi freddi e calcolatori, mani abili e un atteggiamento sarcastico che — Miles l'aveva intuito subito — sembrava essere congenito e non diretto contro di lui in particolare. Bonn e Miles s'erano addentrati nella depressione fangosa, mentre altri due tecnici in tuta isolante sedevano sul pianale del loro pesante automezzo a cuscino d'aria, parcheggiato al sicuro sulla più vicina spianata di roccia. Il sole era pallido; dal mare spirava il solito vento umido e freddo.
— Provi qui, signore — suggerì Miles, cercando di stimare angoli e distanze che aveva visto solo nella penombra crepuscolare. Gli indicò il punto. — Credo che dovrà andare giù almeno un paio di metri.
Il tenente Bonn lo guardò senza alcun entusiasmo, mise in verticale il lungo palo metallico e cominciò a spingerlo nella fanghiglia. La punta si bloccò quasi subito contro un ostacolo. Miles corrugò le sopracciglia, perplesso. Sicuramente la motopulce non poteva essere risalita quasi a galla…
Tutt'altro che stupito, Bonn si appoggiò con tutto il suo peso e diede alcune torsioni a destra e a sinistra. L'attrezzo cominciò a sprofondare.
— Cosa pensa che sia, signore? — domandò Miles.
— Ghiaccio — grugnì Bonn. — Spesso tre o quattro centimetri, direi. Qui stiamo sopra uno strato di ghiaccio, proprio come su un lago congelato, salvo che si tratta di un dannatissimo lago di fango… roccia vulcanica polverizzata.
Miles saggiò la consistenza del terreno con un tacco. Umido, ma solido. Più o meno come quando ci si era accampato sopra.
Bonn, che lo osservava, aggiunse: — Lo spessore del ghiaccio varia con la stagione, da pochi centimetri a qualche metro. D'inverno qui sopra potrebbe atterrare una navetta; in estate è molto più sottile. Questo materiale può diventare da solido a liquido in poche ore se qualcosa ne alza la temperatura, e col buio congelare di nuovo.
— Sì… me ne sono accorto.
— Mi dia una mano — ordinò laconicamente Bonn, e Miles afferrò l'asta appoggiandovisi con tutto il suo peso. Poté sentire lo scricchiolio con cui oltrepassò lo strato di ghiaccio. Se la temperatura si fosse abbassata più in fretta mentre lui era sepolto là sotto, e il fango avesse cominciato a congelarsi, sarebbe mai riuscito a sfondare quel sigillo di ghiaccio? Al pensiero ebbe un brivido, e tirò su la cerniera del parka che indossava sulla tuta nera.
— Freddo? — chiese Bonn.
— Faccio finta di non sentirlo.
— Bene. Ci si abitui. — Bonn premette un pulsante e lo scandaglio sonico in cima all'asta si accese con ronzio così acuto da far vibrare i denti. Sul display apparve una figura rossa a forma di goccia, qualche metro più a sinistra. — Eccola qui. — Bonn lesse le cifre del display. — È affondata di un bel pezzo, eh? Dovrei ordinarle di scavarla fuori con un cucchiaino da tè, alfiere, ma suppongo che ci metterebbe tutto l'inverno prima di arrivare a quella profondità. — Inarcò un sopracciglio, fissandolo come se immaginasse la scena.
Anche Miles non aveva difficoltà a immaginarla, dopo aver conosciuto Metzov. — Sì, signore — disse, rispettosamente.
Tirarono fuori la sonda, sporcandosi i guanti di melma mista a schegge di ghiaccio. Bonn segnò il punto e fece un cenno ai tecnici. — È qui, ragazzi! — I due annuirono, rientrarono in cabina e azionarono il cuscino d'aria. Mentre il pesante veicolo scivolava avanti, Bonn e Miles si tolsero di mezzo e risalirono sul pendio roccioso, dalla parte della stazione meteorologica.