Литмир - Электронная Библиотека
A
A

Cirocco passava il tempo a sognare a occhi aperti, immaginando le difficoltà che avrebbero incontrato all’interno del mozzo. Ma erano fantasticherie inutili, dato che non possedeva nessun elemento concreto.

Alla fine, si decise a cantare, cogliendo gli altri di sorpresa. Nessuno sapeva che possedesse una bella voce e un’ottima educazione musicale, in quanto aveva preso lezioni di piano e di canto per una decina d’anni, avendo fra i suoi programmi la carriera di cantante finché non aveva prevalso l’amore per lo spazio. Bill e Gaby restarono sbalorditi; ma cantare assieme li avvicinò ancora di più. Era bravissima in particolare con le vecchie canzoni folk, le ballate, e le canzoni di Judy Garland.

Bill costruì un liuto da un guscio di noce, pezzi di paracadute e la pelle di un sorrisone, e imparò a suonarlo. Gaby si dedicò a una batteria ottenuta anch’essa da un guscio di noce. E cantavano e suonavano tutti assieme. Gaby era un passabile soprano, e Bill una specie di tenore.

Una canzone in particolare diventò il loro inno preferito: parlava di una strada di mattoni gialli e del meraviglioso mago di Oz. La urlavano ogni mattino quando ripartivano, in risposta ai suoni della foresta.

Passarono diverse settimane prima che raggiungessero l’Ofione. In tutto quel tempo, si verificarono soltanto due incidenti.

Il primo avvenne il terzo giorno di viaggio, quando un occhio appeso a un lungo penducolo emerse dall’acqua a non più di cinque metri dal Titanic. Era un occhio, senza dubbio, formato da un bulbo di venti centimetri di diametro inserito in un’orbita verde, flessibile, che a prima vista sembrava una mano con le dita arrotolate attorno all’occhio da dietro. Il bulbo era di un verde più chiaro, con una membrana mobile.

Raggiunsero immediatamente la riva. L’occhio guardava proprio loro, senza tradire né interesse né emozioni; era solo uno sguardo fisso. Non diede importanza alla loro fuga precipitosa. Restò a guardarli per un paio di minuti, poi scomparve con tutta calma.

Una volta a riva discussero dell’accaduto e stabilirono che c’era ben poco che potessero fare in casi del genere. La creatura non aveva compiuto atti ostili nei loro confronti, anche se non potevano avere alcuna certezza sulla sua futura condotta. Comunque, decisero che non potevano interrompere la navigazione solo perché nel fiume c’erano pesci giganteschi. Col passare del tempo ne videro molti altri, e si abituarono. Quegli occhi somigliavano talmente a periscopi che Bill soprannominò quei pesci U-boat.

Il secondo incidente li trovò più preparati, perché era già successo. Era il vento foltissimo che Calvin aveva chiamato Lamento di Gea.

Fecero in tempo a portare a riva l’imbarcazione e a nascondersi sotto il baccello. Cirocco non volle andare a ripararsi sotto gli alberi, perché ricordava bene quel grosso ramo che le era caduto accanto spaventandola moltissimo.

Le condizioni di osservazione non erano ideali, ma Cirocco riuscì a dare un’occhiata. La tempesta si addensò dal cielo sopra Oceano. Le nubi scesero dal grande raggio sopra il mare ghiacciato come il fiato gelido di un dio. I venti colpirono lo strato di ghiaccio e lì si spezzarono, dando origine a uragani che da quella distanza sembravano minuscoli ma dovevano essere enormi.

Attraverso le nubi che avanzavano rapidamente verso Iperione, Cirocco riuscì a vedere i cavi di supporto inclinati che si protendevano al di sopra di Oceano. Da quella distanza non riusciva a capire bene, ma l’impressione era che rimanessero praticamente immobili, anche se era possibile che avessero qualche lieve ondeggiamento. Dai cavi usciva una nebbia fine, grigia, che cadeva a terra. Data la distanza, le particelle che la componevano dovevano essere grandi quanto alberi. Poi le nubi oscurarono la visuale, e cominciò a cadere la neve. Le acque del fiume si agitarono e si alzarono sin quasi a raggiungere il Titanic. A Cirocco sembrò di sentire il terreno tremare.

Ovviamente, tutto quello era opera di una parte del sistema di aerazione di Gea. Cirocco si chiese come facesse l’aria a entrare nei raggi, e quali meccanismi la spingessero di nuovo fuori. E si chiese anche perché il processo dovesse essere così violento.

Stando all’orologio di Calvin, erano trascorsi diciassette giorni dall’ultimo lamento. Sperò che ne mancassero altrettanti al successivo.

Come la volta precedente, il freddo non durò più di sei o sette ore, e la neve si sciolse subito. Gli abiti servirono egregiamente da protezione, quasi come giacche a vento.

Il trentesimo giorno dal risveglio su Gea fu contraddistinto da due cose: una che accadde, e una che non accadde.

La cosa che accadde fu il loro arrivo alla confluenza di Clio con Ofione. Ormai si trovavano nella zona sud di Iperione, equidistanti dal cavo verticale e da quello a sud. Tutti e due incombevano su di loro.

L’Ofione era verde-blu, più largo e più veloce del Clio. Il Titanic venne attratto al centro del fiume dove, dopo un certo periodo di tensione e di sondaggi con i remi, decisero che era meglio restare. Per dimensioni e velocità di corrente, il fiume ricordava il Mississippi; però le sue rive erano ricchissime di vegetazione, come in una giungla.

Cirocco era molto preoccupata della cosa che non accadde, dato che l’aspettava già da un paio di giorni. Le sue mestruazioni avevano sempre avuto un ciclo regolarissimo di ventotto giorni, e le sembrava allarmante saltare un ciclo.

— Lo sai che sono già passati trenta giorni? — disse a Gaby quella sera.

— Di già? Non ci avevo proprio pensato. — E si strinse nelle spalle.

— Già. E io sono più che in ritardo. Al massimo sono arrivata a ventinove giorni; più spesso prima, ma mai dopo.

— Sai, anch’io sono in ritardo.

— Lo temevo.

— Cristo, ma questo non ha senso.

— Mi stavo chiedendo che tipo di accorgimenti usavi sul Ringmaster. Te ne sei forse dimenticata?

— Ci pensava Calvin.

Cirocco sospirò. — Ho sempre temuto che le pillole che prendevo prima o poi mi avrebbero piantata in asso. Già mi ingrossavano. Ho usato anche uno di quei diaframmi. Ce l’avevo quando siamo arrivate qui… e non ho più pensato a controllare se c’era ancora fino a dopo aver incontrato Bill e Agosto, e ormai era troppo tardi. — Esitava un poco a discutere di quell’argomento con Gaby. Non era un segreto per nessuno che lei e Bill avevano fatto all’amore e che non c’era né il tempo né lo spazio per farlo di nuovo lì sul Titanic con Gaby sempre attorno.

— Comunque, non c’è più. Dev’essere stato ingoiato dalla stessa cosa che s’è divorata i nostri capelli. E che ha reso la mia pelle repellente, per di più.

Gaby ebbe un tremito.

— Per questo penso che sia stato Bill. — Si alzarono e s’avviarono verso di lui, che dormiva sdraiato a terra. Lo scossero e attesero che fosse ben sveglio.

Bill non era sveglio come s’aspettavano. Sbatté gli occhi per la sorpresa, poi aggrottò le sopracciglia.

— Be’, non guardate me. Io non c’entro. E l’ultima volta che sono stato con Gaby è stato poco dopo aver lasciato la Terra. E poi, mi sono fatto vasectomizzare.

— Buono a sapersi — mormorò Cirocco. Con Gaby, eh? Non ne sapeva proprio nulla, e sì che pensava di essere al corrente di tutto quanto accadeva a bordo del Ringmaster. - Questo significa che qualcosa di molto strano ci sta accadendo. Qualcuno o qualcosa ci ha fatto un bello scherzo, ma io non mi sto proprio divertendo.

Calvin tenne fede alla promessa. Due giorni dopo che Cirocco ebbe trasmesso il suo messaggio a un aerostato di passaggio, Finefischio spuntò sopra di loro. Calvin e Agosto, col solito paracadute blu, atterrarono sulla riva del fiume.

Cirocco dovette ammettere che Calvin aveva un ottimo aspetto. Sorrideva, appariva allegro. Salutò tutti calorosamente, per niente infastidito dal fatto di essere stato chiamato lì. Aveva una gran voglia di parlare dei suoi viaggi, ma Cirocco era troppo ansiosa di sentire cosa ne pensava della nuova situazione. Lui ascoltò tutto, diventando sempre più serio.

24
{"b":"119648","o":1}