Ne fui inorridita. Povero Danor.
«Senza dubbio,» risposi, nascondendo abbastanza bene il disappunto, credo, «è perché sei prevalentemente femmina, come me. Forse ancora di più. L’ultima volta che sono stata maschio e Kley era femmina, è andato tutto splendidamente. Ma tu ormai sei maschio da tanto tempo. Credo che tu abbia bisogno d’un cambiamento.»
«Purtroppo,» disse Danor, «è altrettanto inutile. È solo più facile fingere, quando sono donna.»
Cercai di pensare qualche frase intelligente e incoraggiante, non ne trovai nessuna.
Danor si avvicinò a una parete della nuvola e attivò la pressione, facendo apparire una grande finestra ovale. Guardò Quattro BEE che scintillava laggiù, nel crepuscolo.
«Addio,» disse. E si buttò, precipitò per centinaia di metri verso la città. La scena mi sbalordì. Sembrava che avesse fatto sul serio, sebbene fosse un atto senza scopo, dato che si sarebbero limitati a infilarlo in un corpo nuovo dieci split dopo che aveva toccato terra. Mi prese una sensazione stranissima, come quando incontri il drago in sogno — però diverso, perché quello è un terrore piacevole, e questo non lo era — e mi sforzai per non permettere che quel sentimento mi invadesse. E all’improvviso ricordai che eravamo sposati per un intero mid-vrek, e che adesso avrei dovuto pagare l’annullamento, l’indomani. Perciò sopravvenne una collera calda, rassicurante. Un annullamento non si può rubare, e non si può sposare un altro, neppure per mezz’ora, a meno che prima l’abbia pagato.
Mi agitai inquieta per il fluttuante, tutta la notte. Presi a pugno quelle stupide nuvole e gridai quando servirono quel pasto groshing che non volevo.
Affrontai l’alba tutta scomposta: non volevo restare lassù e non mi andava di pensare a tutti i ringraziamenti che avrei dovuto fare alla Cupola d’Avorio, con il quasi-robot che probabilmente avrebbe avuto l’aria di disapprovare che il matrimonio fosse durato così poco.
«Attlevey, ooma,» disse una voce, e vidi che la luce delle comunicazioni s’era accesa, e nella stanza con me c’era l’immagine tridimensionale di una bellissima ragazza, con un corpo molto simile al mio, a parte i capelli neri come il giaietto e con i riflessi color zaffiro.
«Sono io, Danor,» disse la ragazza.
«Groshing,«dissi io. Qualcosa di freddo mi tintinnò nella mente, ma ne avevo fino ai miei denti di perla, no? E subito dimenticai.
«Pensavo ti avrebbe fatto piacere saperlo,» disse con calma Danor. «Vado subito alla Cupola d’Avorio, a pagare l’annullamento.»
«Grazie!» gridai, e feci scattare l’interruttore.
Mi aggirai tutto il giorno per Quattro BEE, e poi mi sentii un po’ strana e ricordai che non avevo mangiato, e mi feci un’iniezione nutriente.
Incontrai Thinta nei pressi del Museo della Robotica. A lei piace davvero visitarlo. In un primo momento non la riconobbi, con quel suo nuovo corpo, ma in pratica era sempre la stessa, sotto il soffice pelame grigio; e gli occhi, sebbene adesso non avessero più sclerotica, avevano il solito colore verde chiaro.
«È stato nelle Stanze del Sogno,» spiegò Thinta mentre bevevamo neve-in-oro in un ristorante subacqueo. «Sogno sempre di essere una specie di gatto. Volevo che mi facessero un corpo di felino, ma si sono rifiutati. Il pelo, in realtà, è solo un compromesso.» Cominciò a brontolare contro la Commissione che non le aveva permesso di farsi innestare un meccanismo per far le fusa, e io me ne andai appena potei.
Sinceramente, avrei voluto escludere dal mio circolo tutti i miei amici: all’improvviso ero così droad di tutti loro. Ma alla fine esclusi ufficialmente me stessa, il che era molto più semplice, e poi mi sedetti sui gradini della Torre di Giada, sotto i ruggiti e gli spruzzi del drago, e piansi.
Voglio dire, è educazione piangere quando si è esclusi dal circolo di qualcuno, anche se è il tuo. Ma il pianto continuò. Non riuscivo a smettere.
Piansi tutta notte, credo.
PARTE SECONDA
1.
Tornai a casa verso mattina, e scoprii che i miei fattori erano in procinto di dividersi.
«La casa è tua,» mi dissero gentilmente. «Noi ci siamo già sistemati.» Gli Anziani sono capaci di fare cose del genere… Prendono su e si lasciano per andarsene con qualcun altro, quando vogliono. Erano ancora maschi, tutti e due.
I robot stavano portando via la loro roba. Mi fece un effetto strano, vederli andar via così: non che fossimo mai stati molto vicini o cose simili. Non stai mai veramente insieme ai tuoi fattori, anche se loro restano nello stesso posto insieme a te, dopo che è finita l’ipnoscuola.
«Non preoccuparti per il pagamento della casa alla Commissione, ogni terzo vrek,» aggiunsero. «Sappiamo che detesti pagare, perciò abbiamo preso accordi per pagare noi per te, alternativamente. Ci sembra giusto, dopo tanto tempo.»
Ero quasi contenta, quando finalmente se ne andarono. Era una faccenda così strana.
E la casa, ecco, era come se… echeggiasse. Non so.
Hatta mi chiamò secoli dopo; o magari non era passato davvero tanto tempo, ma parevano secoli. La sua voce invase la mia intimità, ma senza immagini… il che probabilmente era meglio, conoscendo Hatta.
«Attlevey, Hatta,» sospirai.
«Cos’è questa storia?» domandò lui. «Ti sei esclusa dal tuo circolo? Non puoi. Non è… beh… non è morale.»
«Oh,» feci io.
«No,» disse Hatta. «Ti senti giù per via di quell’annullamento con Danor?»
«No,» dissi io. Non ne ero sicura.
«Hai bisogno di tirarti un po’ su,» mi disse Hatta. «Ti porterò fuori per un pasto.»
«No grazie.»
«Bene, allora il Palazzo dell’Avventura? C’è una nuova sinfonia dell’Orecchio Superiore nel Quarto Settore. O a cavalcare il fuoco?»
«Davvero, Hatta. Sinceramente non me la sento…»
«Ascolta, ooma, dico sul serio,» disse Hatta in tono grave. Lo maledissi, ma piuttosto fiaccamente. «Mi piacerebbe tanto sposarti. Solo per il pomeriggio.»
«Fatti vedere,» dissi io, freddamente.
«Beh, ecco,» fece Hatta.
«La tua immagine,» insistetti. «Subito.»
«I comandi non funzionano troppo bene. Sembra che non riesca a trasmetterti l’immagine…»
«I comandi non hanno mai niente,» dissi io. Era vero. Hatta borbottò. E poi, eccolo lì.
«Oh, Hatta!» gridai. «Che thalldrap! Che floop! Oh, vattene!»
Era enorme, bluastro, lucido, claudicante, ma furono le due teste a smontarmi completamente.
«Ma, ooma…»
«No. Nononononono! Se ci tieni tanto a me, procurati un corpo sopportabile.» Lui restò lì librato a mezz’aria, indeciso, e così drumdik da farmi quasi perdere la ragione. Gli lanciai contro una scultura di pietra astratta a colori mobili, e premetti l’interruttore più vicino.
Comunque, mi sentii meglio, dopo aver tirato la scultura contro Hatta. Suppongo che sia il mio caratteraccio. La bestiola arrivò di corsa dal giardino e mi morse, e io l’inseguii per tutta la casa, cercando di centrarla con un grosso cuscino peloso, mentre le macchine scattavano e ticchettavano intorno a noi in toni di disapprovazione, e tentavano di rimettere in ordine. Fu abbastanza divertente.
Alla fine il bestiolino si raggomitolò guardingo su un pavimento volante sospeso, fuori dalla mia portata, e si addormentò, tenendo aperto un occhio arancione e una zanna delicatamente scoperta, tanto per rinfrescarmi la memoria, credo.
Mangiai un pasto e cominciai a pensare.
Ero stanca di essere Jang.