Литмир - Электронная Библиотека
A
A

«Tu non comprendi,» disse.

«No, credo di no.»

«Non comprendi,» insistette lui, in tono patetico, «che non è importante il corpo in cui mi trovo? Sono sempre io.»

«Bene, mettiti in un corpo groshing e ti sposerò immediatamente,» dissi esasperata. «È una promessa.»

«No, no, no,» gemette Hatta. «Oh, senti, ooma. Ti voglio… voglio te. Sei stata cento corpi diversi: ti ho voluta come sei adesso, com’eri con quei capelli d’argento e le antenne com’eri tanti vrek fa con la pelle sfumata di celeste e gli occhi d’oro. Ti ho voluta quand’eri maschio. Ti ho voluta anche quando, l’ultima volta, eri pallida e magra, una ragazza da niente. Tu non puoi fare altrettanto? Non è il corpo che conta: l’aspetto fisico è un scherzo, a Quattro BEE e BAA e BOO. Non ha importanza. È come volere qualcuno solo perché porta anelli rossi alle dita dei piedi. Oh, ooma, non riesci a capire?»

E quasi lo capii. Davvero. Ma non sopportavo l’idea di fare l’amore con lui così com’era adesso.

«Vattene, Hatta,» scattai.

E lui se ne andò.

3.

E quella sera Quattro BEE fu sconvolta, stordita, abbagliata, sbalordita e sorpresa dalla notizia della Grande Spedizione Archeologica.

Le comunicazioni si incrociarono lampeggiando attraverso la città. Un «sintomo dei tempi,» dicevano: un «desiderio generale di uscire e di fare qualcosa!» Io conoscevo molto bene quella sensazione.

A quanto sembrava quell’uomo, un maschio anziano di BEE, aveva individuato quelle che secondo lui potevano essere antiche rovine, nel deserto tra BEE e BOO, ma molto lontano dalla rotta delle navi delle sabbie. Era molto probabile, perché ormai nessuno si addentrava nel deserto, se non per precipitarsi verso un’altra città, preferibilmente senza guardarsi intorno. Ma quel maschio — sembrava proprio un tipo eccentrico, eccitante — c’era proprio andato con il suo speciale avioplano privato… con i finestrini trasparenti! Aveva fatto non so che studi sulla storia pre-città, sulle guerre e sulle saghe e non so su che altro, e sulle civiltà che ne erano nate, come fenici sgargianti, nomadi e insediate nel deserto e così via.

Io rimasi affascinata, quando le notizie continuarono, a lungo. Finivano dicendo che questo supermaschio cercava volontari. Per poco non diventai zaradann. Chiamai il Centro Comunicazioni, e chiesi dove potevo trovarlo. Non stetti a pensare. Mi sentivo di nuovo follemente eccitata. Il mio povero cervello ammaccato si chiudeva a tutte le brutte esperienze recenti e tendeva freneticamente i tentacoli verso la Spedizione.

I robot del Centro Comunicazioni furono molto premurosi. Mi misero in contatto diretto con quell’uomo, nella sua strana villa dalle lunghe colonne e dai tappeti di falso crine. Veniva chiamato Glar Assule, e il glar, presumibilmente, se lo era concesso da solo. Era bello, ma di una bellezza molto strana. Si era scelto un corpo che sembrava piuttosto invecchiato. Voglio dire che aveva rughe e grinze, e i capelli nerissimi partivano da una fronte molto stempiata. Si era reso simile a un vero glar di tutte quelle ere geologiche addietro. Indossava una tunica nera e portava un unico ornamento d’acciaio, appeso ad una catena. Venni a sapere che l’ornamento era ispirato a un modello che egli affermava di aver trovato nel deserto, durante uno dei viaggi precedenti.

«Buonasera, Glar.» Lo capii al volo e irradiai entusiasmo, ma lui non reagì. Mi scrutò aggrottando la fronte.

«In cosa posso aiutarti?» chiese, come se il pensiero di aiutarmi lo gelasse dalla testa ai piedi.

«Ecco,» mormorai, rispettosa, «ho appena saputo della tua grosh… meravigliosa spedizione, e della tua richiesta di volontari.»

«Davvero,» fece lui.

Restammo seduti, a guardare l’uno l’immagine tridimensionale dell’altra.

«Bene,» dissi io, alla fine. «Mi offro volontaria.»

«Capisco.»

Oh, floopy farathoom, era proprio come chiaccherare con un Q-R.

«Senti,» dissi poi, dopo quella lunga pausa abominevole, «se hai bisogno di volontari, questo non è il sistema migliore per procurarteli, direi.»

«In effetti,» rispose in tono grandioso il Glar Assule, «il tipo di volontario che speravo di trovare non era certo uno dei Jang.»

Risi. No, risi davvero. La risata mi uscì spontaneamente dalla gola, come se avesse le ali. Lo detestavo, veramente. Dicendo questo, mi ributtava in faccia tutti i fallimenti dell’ultimo vrek.

«Non vuoi i Jang,» latrai. Lui sobbalzò. Quando mi ci metto, so essere davvero sconvolgente. «Perché no?»

«Non credo di essere tenuto a spiegarlo,» disse lui.

«Oh, sì che sei tenuto. Per normale educazione, oppure non l’hai mai sentita nominare?»

Lui diventò tutto impettito e pomposo, e annunciò:

«I Jang sono troppo irresponsabili, purtroppo, per lo studio serio che ho in mente.»

«Beh,» ribattei, «probabilmente non troverai altro che Jang. Siamo tutti molto droad,» adesso non mi importava di usare lo slang con lui, l’aveva meritato, «e a quanto pare abbiamo questo groshing entusiasmo giovanile che va sprecato. Personalmente, non riesco a pensare a niente di più simpatico che studiare un’antica rovina, in mezzo a quelle montagne nere così derisann; ma se tu parlassi con i miei fattori, ti riderebbero in faccia.» Poi gli feci un segno Jang molto carogna, e premetti l’interuttore.

Beh, tanto non mi avrebbe mai accettata, quindi non c’era niente di male, ragionai, non appena la soddisfazione si dileguò e incominciai a rimproverare me stessa.

Ma poi ebbi una vera sorpresa. Parecchi millenni dopo, quando non sapevo se chiamare o no Thinta, per andare ad annegare i miei dolori da qualche parte in sua compagnia, provando a vedere se il bestiolino era disposto a starmi sulle spalle (non era disposto), si accese la spia della chiamata, e lì c’era di nuovo il Glar Assule, molto a disagio e rosso in faccia.

«Credo,» azzardò, «che la tua bruschezza giovanile indichi uno spirito energico, e dopotutto potrei assegnarti un posto nel mio gruppo.»

Ma io mi sentivo sadica.

«Oh, sì,» ribattei, «e quant’è grande il gruppo?»

Lui lanciò borbottii ed esclamazioni, ma finalmente arrivammo al dunque. C’erano altri tre. A quanto pareva, Assule aveva inviato messaggi personali per millenni, senza fortuna, e la comunicazione ufficiale gli aveva procurato solo quelle tre persone che lo facevano, notai più tardi, solo per un malinteso senso di cultura. Non erano Jang, ma erano inutili. Il vecchio Glar aveva capito che forse mi interessava davvero ascoltarlo mentre esponeva le sue teorie e così via, e frugare tra le scure montagne rombanti del nostro mondo perduto e dimenticato.

Comunque, doveva essere uno scocciatore. Mi avrebbe accettata, disse, purché mi scusassi.

«Chiedo scusa,» dissi subito. Non m’importava affatto. Ma non potei resistere alla tentazione, di fare di nuovo quel segno, non appena la sua immagine scomparve, e di sibilare:

«No, non mi scuso affatto. Penso davvero ogni sillaba di quello che ho detto.»

Puerile, ma abbastanza soddisfacente.

24
{"b":"121646","o":1}