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Miles si distese a terra, aprì la visiera del casco, e appoggiò la testa sul pavimento. Poco dopo gli pervenne una serie di leggeri colpi che pareva provenire da destra. — Spostati più verso poppa — gli comunicò.

— Ci provo, Milord. Ma non è facile arrivare al soffitto con tutte queste condutture. — Altri respiri pesanti. — Ecco. Mi sente più vicino adesso?

Questa volta i colpi sembravano provenire proprio sotto di lui. — Sì, ci siamo, Roic.

— Bene, Milord. Stia attento a dove taglio. Lady Vorkosigan sarebbe molto seccata se le affettassi qualche pezzo.

Sorridendo per la battuta, Miles si alzò, sollevò il tappeto antiscivolo, e si allontanò di qualche metro.

Le piastre del pavimento divennero gialle per il calore, poi bianche. Una sottile linea di taglio crebbe ondeggiando in cerchio fino a tornare al punto di partenza. Poi la mano guantata di Roic diede un colpo e rivoltò sul pavimento il cerchio di metallo che aveva tagliato.

Subito dopo apparve il viso preoccupato di Roic che lo guardò attraverso la visiera della sua tuta. Il buco che aveva praticato era troppo piccolo perché potesse passarci la sua possente figura, ma attraverso quella botola l’armiere riuscì a far scorrere la tuta a pressione che aveva preso per Miles.

— Ottimo, Roic — disse Miles. — Aspetta lì. Ti raggiungo.

— Milord?

Miles si strappò di dosso l’ormai inutile tuta anticontaminazione e indossò quella a pressione a tempo di record. Viste le piccole dimensioni, era inevitabile che il sistema di evacuazione dei rifiuti fosse per donne, perciò lo lasciò staccato. D’altro canto non credeva che sarebbe rimasto a lungo chiuso in quella tuta. Non stava molto bene; sentiva crescere in tutto il corpo brividi di caldo e di freddo. Si chiese se fosse l’infezione che avanzava o semplici nervi a fior di pelle.

Come aveva fatto Roic, anche lui appese all’interno del casco il suo comunicatore, poi sigillò la tuta e cominciò a respirare un’aria che nessuno al di fuori di lui poteva controllare. Quindi regolò i circuiti interni sulla temperatura più fredda.

Una volta a posto si avvicinò alla botola e scivolò dentro il buco. — Aiutami a scendere, Roic. Non stringere troppo…

— Bene, Milord.

— Lord Ispettore Vorkosigan — giunse in quel momento la voce inquieta di Vorpatril. — Cosa sta facendo?

— Ricognizione.

Roic lo calò con delicatezza esagerata sul ponte sottostante. Miles si guardò attorno poi disse: — Lì c’è l’ufficio di sorveglianza di Solian. Se c’è una consolle di controllo su questa maledetta nave che possa sorvegliare senza essere a sua volta sorvegliata, sarà lì.

Si avviarono con circospezione, ma nonostante la precauzione, il ponte scricchiolava sotto il peso di Roic.

Giunti davanti alla porta, Miles compose il codice ormai familiare che l’apriva, quindi entrò e si sedette alla consolle del tenente Solian. Prese un respiro e si chinò sui tasti.

Sì, da lì poteva intercettare dai monitor le immagini di ogni camera stagna della nave, se voleva anche contemporaneamente. Chissà se poteva ottenere una inquadratura del ponte di comando per spiare in segreto le mosse del ba?

Roic chiese, preoccupato: — Cosa sta pensando di fare, Milord?

— Sto pensando che non è possibile un attacco a sorpresa, ma dobbiamo arrivarci comunque. Non mi resta molto tempo. — Strizzò gli occhi, poi pensò al diavolo e aprì la visiera per strofinarseli. L’immagine video divenne più chiara, ma sembrava ancora vacillare ai margini. Miles non pensò neppure che il problema dipendesse dalla piastra video. Il suo mal di testa, che era cominciato con un dolore lancinante tra gli occhi, sembrava essersi esteso alle tempie, che gli pulsavano. Aveva i brividi. Sospirò e richiuse la visiera.

— Quella bio schifezza… l’ammiraglio ha detto che lei si è preso lo stesso virus dell’erm. Quella merda che ha sciolto gli amici di Gupta.

— Quand’è che hai parlato con Vorpatril?

— Subito prima di parlare con lei.

— Ah.

— Avrei dovuto essere io a usare quei controlli a distanza. Non lei. — Commentò Roic.

— No, dovevo farlo io. Conoscevo le apparecchiature.

Miles cominciò a scrutare nel monitor di sorveglianza. Okay, se Solian poteva vedere in ogni cabina, sicuramente poteva anche aver accesso al ponte di comando.

— Adesso non è il caso di recriminare, Roic. Le cose sono andate così, e comunque ci saranno per tutti molte occasioni per mostrare il nostro eroismo.

— Non intendevo questo — disse Roic, offeso.

Miles sorrise. — Lo so.

Un leggero segnale del comunicatore lo informò che Ekaterin lo stava ascoltando, senza intervenire.

La voce di Vorpatril risuonò improvvisa, dissipando la sua concentrazione.

L’ammiraglio stava farfugliando: — Quei farabutti smidollati! Quei bastardi quadrumani! Milord, quei maledetti stanno dando a quell’untore asessuato cetagandano un pilota iperspaziale!

— Cosa? — Lo stomaco di Miles si contrasse. — Hanno trovato un volontario? È un quad, o un terricolo? — Non poteva esserci una gran rosa di candidati tra cui scegliere. I controlli neurali dei piloti, installati chirurgicamente, dovevano corrispondere alle navi che guidavano attraverso i salti iperspaziali. Per quanto numerosi potessero essere i piloti iperspaziali in quel momento acquartierati, o intrappolati, sulla Stazione Graf, la maggior parte di loro non avrebbe potuto interfacciarsi con i sistemi di Barrayar. E allora, era il pilota ufficiale, o quello di riserva della Idris, oppure quello di una delle navi gemelle komarrane…?

— Cosa le fa pensare che sia un volontario? — ringhiò Vorpatril. — Chiunque sia non posso credere che lo stiano mettendo in mano di quel pazzo.

— Forse i quad hanno un piano. Loro cosa dicono?

Vorpatril esitò un attimo, poi rispose: — Watts mi ha escluso dalle comunicazioni pochi minuti fa. Stavamo discutendo se mandare la nostra squadra d’attacco oppure quella della milizia dei quad, e agli ordini di chi. Tutte e due allo stesso tempo e senza coordinazione mi sembrava un’idea stupida.

— Infatti — confermò Miles. — Non è difficile immaginare i rischi.

Comunque in quel momento non era quello il problema. Prima di tutto si doveva pensare alle armi biologiche del ba. La nascente commiserazione che Miles provava per il cetagandano morì con l’annebbiarsi della sua vista. — Dopotutto siamo a casa loro… — rispose all’ammiraglio — ma aspetti un attimo. Sembra che stia succedendo qualcosa in una delle camere stagne esterne.

Miles ingrandì l’immagine del monitor che si era improvvisamente attivata. Le luci che illuminavano la porta esterna eseguirono un ciclo di controlli e autorizzazioni. Il ba, si disse, stava probabilmente guardando la stessa scena.

Trattenne il fiato. Che i quad, con il pretesto di consegnare il pilota richiesto, stessero tentando di introdurre la propria forza d’attacco?

La porta della camera stagna scivolò di lato, offrendo una breve visione dell’interno dove stazionava un minuscolo baccello per una persona. Un uomo nudo, con i circoletti argentati dei contatti dell’impianto neurale da pilota iperspaziale che gli luccicavano in mezzo alla fronte e sulle tempie, entrò nella camera stagna. Era Dmitri Corbeau, alto, scuro di capelli, di bell’aspetto se non fosse stato per le sottili cicatrici rosa che si snodavano su tutto il corpo in una fascia serpeggiante. Il suo viso era pallido e deciso.

— Il pilota iperspaziale è appena arrivato — disse a Vorpatril.

— Maledizione. Umano o quad?

Vorpatril aveva davvero bisogno di perfezionare il suo vocabolario diplomatico… — Terricolo — rispose Miles, evitando un commento più incisivo. Esitò, poi aggiunse — È il tenente Corbeau.

Seguì un silenzio stordito, poi Vorpatril sibilò: — Figlio di puttana!

— Silenzio! Il ba si fa sentire. — Miles regolò il volume e aprì di nuovo la visiera perché potesse sentire anche Vorpatril.

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