CAPITOLO DICIOTTESIMO
— Non siamo ancora arrivati? — biascicò Miles, ancora intontito.
Batté le palpebre che, stranamente, non sentì appiccicose e dolenti. Il soffitto non vacillava, né ondeggiava, sembrava invece un miraggio visto attraverso l’aria cocente del deserto. Il respiro attraversava le sue narici frementi fresco e senza intoppi. Niente catarro. Niente tubi. Niente tubi?
Quell’ambiente non gli era familiare. Frugò nella memoria. Nebbia. Angeli e diavoli in biocontenimento, che lo tormentavano; qualcuno che pretendeva che orinasse. Umiliazioni mediche, ora misericordiosamente vaghe. Cercare di parlare, dare ordini, finché un’iposiringa di oscurità l’aveva messo a tacere.
E prima ancora: disperazione quasi totale. Spedire messaggi frenetici come avanguardie davanti al suo piccolo convoglio. Il flusso di ritorno di notizie vecchie di giorni di gallerie di transito bloccate; stranieri internati da entrambe le parti; beni sequestrati, concentrazione di navi, che raccontavano la loro storia alla mente di Miles, resa ancora peggiore dai dettagli.
Conosceva troppo bene i maledetti dettagli. Non possiamo fare una guerra adesso, stupidi! Non sapete che qui ci sono delle creature quasi nate? Il suo braccio sinistro si mosse di scatto, senza incontrare altra resistenza che una morbida trapunta sotto le sue dita contratte. — … ancora arrivati?
L’incantevole viso di Ekaterin si chinò su di lui. Non dietro alle apparecchiature protettive. Per un momento temette che fosse solo una proiezione olografica, o un’allucinazione, ma il bacio caldo e reale delle sue labbra, sulle ali di una breve risata, lo rassicurò della sua concreta presenza prima ancora che la sua mano esitante potesse toccarle la guancia.
— Dov’è la tua mascherina? — le chiese con voce stanca. Si sollevò su un gomito, lottando contro un’ondata di nausea.
Di certo non era nell’affollata, spartana infermeria della nave militare barrayarana in cui era stato trasferito dalla Idris. Il suo letto si trovava in una camera piccola, ma elegantemente arredata, la cui estetica cetagandana era chiaramente proclamata dalla quantità di piante, dalla luce serena, dal panorama oltre la finestra di una spiaggia tranquilla. Le onde spumeggiavano dolcemente sulla riva di sabbia bianca, che s’intravedeva dietro alberi alieni che gettavano delicate dita d’ombra. Quasi certamente una videoproiezione, dato che i segnali subliminali dell’atmosfera e dei suoni della stanza gli mormoravano anche Cabina di astronave.
Indossava un ampio indumento serico, in sfumature delicate di grigio, la cui natura di runica da ospedale era tradita solo dalle strane aperture. Sopra la testiera del letto, un pannello discreto riportava dati medici.
— Cosa succede? Abbiamo scongiurato la guerra? Quei replicatori che hanno trovato erano un trucco, vero?
Il disastro finale: la sua nave in corsa aveva intercettato notizie inviate a fascia stretta da Barrayar di negoziati diplomatici interrotti dalla scoperta, in un magazzino vicino a Vorbarr Sultana, di mille replicatori vuoti all’apparenza rubati dal Nido Celeste, privi dei loro occupanti. Presunti occupanti? Neppure Miles era stato sicuro. Un incubo di implicazioni. Il governo barrayarano naturalmente aveva negato vigorosamente di sapere come i replicatori fossero arrivati lì, o dove si trovasse il loro contenuto. E non era stato creduto…
— Il ba, Gupta, ho promesso… tutti quegli embrioni haut… Devo…
— Devi stare buono e fermo. — Una mano risoluta sul petto lo spinse giù. — Le questioni più urgenti sono state concluse.
— Da chi?
Ekaterin arrossì leggermente. — Be’… da me, più che altro. Vorpatril probabilmente non avrebbe dovuto lasciarmi passare sopra di lui, tecnicamente, ma ho deciso di non farglielo notare. Hai un influsso malefico su di me, amore.
— Cosa? Come?
— Ho continuato semplicemente a ripetere i tuoi messaggi, e richiedere che fossero trasmessi all’haut Pel e al generale ghem Benin. Benin è stato magnifico. Una volta in possesso dei tuoi primi dispacci, ha scoperto che i replicatori trovati a Vorbarr Sultana erano semplici esche, trafugate dal ba un po’ alla volta dal Nido Celeste più di un anno fa, per prepararsi a questa operazione. — Aggrottò la fronte. — A quanto pare è stata una trappola premeditata del ba, intesa a provocare proprio questo genere di depistaggio. Un piano di riserva, casomai qualcuno si rendesse conto che non tutti erano morti sulla nave dei feti, e ne seguisse le tracce fino a Komarr. Ha quasi funzionato. Avrebbe potuto funzionare, se Benin non fosse stato tanto scrupoloso ed equilibrato. Da quel che ho capito, le circostanze politiche connesse a questa indagine erano diventate molto difficili. Ha davvero messo in gioco la sua reputazione.
Forse anche la sua vita, se Miles leggeva correttamente fra le righe. — Onore al merito, allora.
— Le forze militari, le loro e le nostre, sono finalmente uscite dallo stato di allerta e ora stanno rompendo le righe. I cetagandani l’hanno dichiarato un affare interno.
Miles si rilassò sui cuscini, enormemente sollevato. — Ah.
— Non credo che avrei potuto arrivare a loro senza il nome dell’haut Pel. — Esitò. — E il tuo.
— Il nostro.
A queste parole le sue labbra s’incurvarono in un sorriso.
— Effettivamente Lady Vorkosigan sembrava una formula magica. Faceva esitare entrambe le parti, mentre continuavo a gridare la verità. Ma non avrei potuto farcela senza il nome.
— Posso suggerire che solo il mio nome non avrebbe potuto farcela senza di te? — La sua mano libera si strinse intorno a quella di Ekaterin, sulla trapunta. Lei rispose alla stretta.
Cercò di nuovo di alzarsi. — Aspetta, non dovresti essere in tuta anticontaminazione?
— Non più. Stai giù, maledizione. Qual è l’ultima cosa che ti ricordi?
— Ero su una nave barrayarana a circa quattro giorni dallo Spazio Quad. E il freddo… — I suoi occhi si fecero scuri al ricordo, — era freddo davvero. I filtri del sangue non ce la facevano più, nemmeno usandone quattro alla volta.
— Sì — confermò Ekaterin… — Vedevamo letteralmente la vita scorrerti via dal corpo; il tuo metabolismo non ce la faceva, non poteva rigenerare le risorse che venivano risucchiate, nemmeno con le endovenose e i tubi di siero nutriente a pieno regime, e trasfusioni multiple. Il capitano Clogston non è riuscito a escogitare altro modo per sopprimere i parassiti, che mettere te, Bel, e i parassiti in stasi. Ibernazione fredda. Il gradino successivo sarebbe stato il congeLamento criogenico.
— Oh, no. Non di nuovo!
— Era l’ultima spiaggia, ma non ce n’è stato bisogno, grazie al cielo. Quando tu e Bel siete stati raffreddati abbastanza, i parassiti hanno smesso di moltiplicarsi. I capitani e gli equipaggi del nostro piccolo convoglio hanno fatto l’impossibile per farci viaggiare alla massima velocità compatibile con la sicurezza, e anche un po’ di più. Oh, sì, siamo arrivati; siamo entrati in orbita intorno a Rho Ceta… ieri, credo.
Era riuscita a dormire da allora? Non molto, sospettava Miles. Il suo viso, benché allegro, era contratto dalla fatica. Tese di nuovo una mano verso di lei, per toccare delicatamente le sue labbra con due dita come faceva di solito con la sua immagine olografica.
— Mi ricordo che non hai voluto che ti dicessi addio come si deve — si lamentò Miles.
— Mi sono detta che ti avrebbe dato una motivazione in più per lottare. Se non altro per avere l’ultima parola.
Miles sbottò in una risata e lasciò ricadere la mano sulla trapunta. Probabilmente la gravità artificiale non era veramente impostata su due G in quella camera, anche se il suo braccio sembrava legato a pesi di piombo. Doveva ammetterlo, non si sentiva esattamente… in forma. — E allora, sono libero da quei parassiti infernali?