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Roic, che incombeva alle sue spalle, annusò l’aria. Nel corridoio si diffondeva un odore speziato: un ristorante maliziosamente riversava gli aromi dei suoi forni all’esterno. Questo fu sufficiente per ricordare e Miles che aveva il dovere di dar da mangiare ai suoi uomini. Al suo soldato, quanto meno. L’accigliata guardia quad poteva anche cavarsela da sola, decise Miles.

Il posto era piccolo, pulito e intimo, il genere di locale modesto dove mangia la gente che lavora nei dintorni. Era evidentemente passata l’ora di colazione e non ancora il momento del pranzo, perché era occupato solo da due giovani con le gambe che sembravano commessi, e un quad in un flottante che, a giudicare dagli strumenti sulla cintura, era un elettricista in un momento di pausa.

Guardarono i barrayarani di sottecchi, più Roic per la sua altezza e la sua uniforme marrone e argento, che il basso Miles nei suoi anonimi abiti civili grigi. La guardia quad che li accompagnava si allontanò, come a sottolineare di non essere uno di loro, e ordinò un bulbo di caffè.

La cuoca, una donna con le gambe che fungeva anche da cameriera, sistemava il cibo sui piatti con l’abilità acquisita in una lunga pratica. I pani speziati, a quanto pareva una specialità del posto, sembravano fatti in casa, le fette di proteine di vasca non avevano nulla di cui lamentarsi, e la frutta fresca era sorprendentemente squisita.

Miles scelse una grossa pera con la pelle appena rosata, la cui polpa, dopo il taglio, risultò succosa e profumata. Se avessero avuto tempo avrebbe suggerito a Ekaterin di studiare l’agricoltura locale: qualunque matrice aveva fatto crescere quel frutto, doveva essere stata geneticamente modificata per dare il suo meglio in assenza di gravità. Alle stazioni spaziali dell’Impero avrebbe fatto comodo sfruttare una pianta del genere… ammesso che i mercanti komarrani non l’avessero già scoperta.

Gli venne comunque l’idea di portare a casa i semi, ma rimase male costatando che ne era privo.

In un angolo un’olovisione con il volume al minimo stava borbottando qualcosa, ignorata da tutti, ma all’improvviso un arcobaleno di colori e di luci intermittenti avvertì che stava per venire trasmesso un bollettino ufficiale della Sicurezza. Tutte le teste si volsero, e Miles vide l’immagine del passeggero Firka presa dalla telecamera del portello della Rudra, la stessa che lui aveva inviato poco prima alla Sicurezza della Stazione. Non aveva bisogno del sonoro per intuire il contenuto dell’annuncio che seguì, letto da una quad dall’aria seria: ’È un sospetto ricercato, forse armato e pericoloso, se vedete questo terricolo dall’aria sinistra chiamate immediatamente la Sicurezza’. Poi apparvero un paio di foto di Bel, come presunta vittima di un rapimento. Erano state prese dalle interviste del giorno prima, dopo l’attacco nell’albergo, che un giornalista riassunse brevemente.

— Si può alzare il volume? — chiese Miles, in ritardo.

Il giornalista stava concludendo il servizio; quando la cameriera puntò il telecomando, ormai l’immagine era stata sostituita dalla pubblicità di una impressionante varietà di guanti da lavoro.

— Oh, mi dispiace — disse la cameriera. — Era una replica, comunque. Lo mostrano ogni quarto d’ora. — Fornì a Miles un breve riassunto del servizio, che corrispondeva in quasi tutti i particolari a quello che aveva indovinato.

Su quanti schermi della Stazione stava apparendo quell’annuncio? Ora sarebbe stato più difficile per un uomo ricercato nascondersi con tanti più occhi che lo cercavano. Se Firka l’aveva visto sarebbe stato preso dal panico, e diventato ancora più pericoloso per chiunque lo incrociasse? Oppure si sarebbe consegnato, sostenendo che si trattava di un malinteso?

Roic, studiando il video, si accigliò e bevve dell’altro caffè. L’armiere, che non aveva ancora dormito, per il momento stava resistendo, ma non lo avrebbe fatto per molto.

Miles ebbe la spiacevole sensazione di affondare nelle sabbie mobili delle diversioni, perdendo il polso della sua missione iniziale. Che era stata di…? Oh sì, di liberare la flotta. Soppresse un interiore ringhio: Al diavolo la flotta, dove è finito Bel? Se c’era modo di usare quegli sviluppi per strappare le navi dalle mani dei quad, non riusciva a vederlo.

Tornarono al posto di polizia, dove trovarono Nicol che li attendeva in apprensione. Si avvicinò a Miles non appena apparve. — Hai notizie di Bel?

Miles scosse la testa, dispiaciuto. — Nessuna traccia. Oddio, forse qualche traccia microscopica… lo sapremo quando la squadra legale avrà terminato le analisi… ma non ci dirà nulla che già non abbia detto Garnet Cinque. — Sulla veridicità della quale Miles non dubitava. — Ora però ho un’idea migliore di come si sono svolti i fatti. — Avrebbe desiderato che la cosa avesse avuto più senso. La prima parte… che Firka desiderasse scrollarsi di dosso i suoi pedinatori, quella aveva senso. Ma quello che era successo dopo lo non capiva.

— Pensi — disse Nicol con una voce che si faceva più flebile — che si sia portato via Bel per ucciderlo?

— In quel caso perché lasciare vivo un testimone? — Lo disse senza riflettere, per rassicurarla: ma ripensandoci lo trovò rassicurante anche lui. Ma se non era un omicidio, allora cosa? Cosa aveva o sapeva Bel che qualcuno volesse nascondere? C’era sempre la possibilità che, come era successo a Garnet Cinque, Bel una volta svegliato si fosse allontanato in stato di confusione. E se invece si era messo all’inseguimento di qualcuno? No, non era possibile: a quel punto avrebbe già fatto rapporto. A me, quanto meno…

— Se Bel è stato… — cominciò Nicol, ma non terminò. Una folla sorprendente faceva ala a un paio di quad robusti in maglietta e pantaloncini arancione dei Moli e Portelli che tenevano le due estremità di un tubo lungo tre metri sul quale era appeso Firka. Polsi e caviglie dell’infelice terricolo erano assicurati al tubo da abbondanti giri di filo elettrico; una striscia di nastro adesivo gli tappava la bocca e soffocava i suoi mugolii. Aveva gli occhi sgranati che roteavano in preda al panico. Altri tre quad vestiti di arancione, ansimanti e un po’ scarmigliati, uno con un livido rosso attorno a un occhio, facevano da scorta.

La squadra, con il prigioniero che si divincolava, entrò nell’ufficio della Sicurezza. Quattro quad in uniforme uscirono da una porta per accogliere il dono inaspettato; il sergente dietro la scrivania attivò l’interfonico e abbassò la voce per parlare rapidamente con qualcuno.

Il quad che evidentemente agiva da portavoce si fece avanti con un’aria di cupa soddisfazione sotto il livido. — Lo abbiamo catturato!

CAPITOLO DODICESIMO

— Dove lo avete trovato? — chiese Miles.

— Nella stiva di Carico Merci — rispose il quad. — Stava tentando di convincere Pramod Sedici — con il mento indicò uno dei quad nerboruti che reggevano il tubo, il quale annuì confermando, — di portarlo fuori con una capsula attorno alla zona di sicurezza e verso i moli delle navi iperspaziali. E quindi potete anche aggiungere alla lista delle accuse il tentativo di corrompere un tecnico per indurlo a violare i regolamenti.

A Miles venne in mente Solian.

— Pramod lo ha fatto attendere, dicendogli che andava a sistemare le cose per accontentarlo, ed è venuto a chiamarmi. Io ho radunato i ragazzi, e lo abbiamo portato qui perché desse delle spiegazioni. — Il quad fece un cenno al Capo Venn, che era uscito in fretta dal suo ufficio e stava osservando la scena, soddisfatto e niente affatto sorpreso.

Il prigioniero emise un suono lamentoso dietro il nastro adesivo, ma Miles lo interpretò come protesta più che come spiegazione.

Nicol chiese con apprensione: — Avete notizie di Bel?

— Oh, sei tu? Ciao, Nicol. — Il quad scosse la testa, dispiaciuto. — L’abbiamo chiesto a questo tizio, ma non siamo riusciti a farci dare una risposta. Comunque quando torniamo indietro, ci daremo da fare. Ho un paio di idee di dove cercare. — Dal cipiglio, s’intuiva che quelle idee potevano comportare l’apertura illecita di portelli stagni, e forse l’uso delle apparecchiature per la movimentazione di carico certamente non coperte dalla garanzia del produttore.

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