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— Mi… mi dispiace — riprese Miles — non era questo che avrei voluto dirti. Non volevo darti un dolore…

— Miles. Smettila di parlare a vanvera! — La sua voce era tagliente. — Se muori, non sarò addolorata, sarò furibonda. Va bene tutto, amore, ma non hai tempo di crogiolarti nell’angoscia in questo momento. Tu sei quello che una volta gli ostaggi li liberava per mestiere. Non ti è consentito non uscirne questa volta. Quindi smettila di preoccuparti per me e pensa invece a quello che devi fare. Mi stai ascoltando, Miles Vorkosigan? Non ti provare a morire! Non ho intenzione di tollerarlo! — E questa sembrava l’ultima parola sull’argomento. Nonostante tutto, Miles sorrise.

— Sì, cara — rispose, rincuorato. Le antenate Vor di quella donna avevano difeso delle fortezze in guerra.

— E allora smettila di parlare con me e torna al lavoro. Va bene? — Era quasi riuscita a trattenere il singhiozzo che tremava in quell’ultima parola.

— Tieni il forte per me, amore — mormorò Miles, con tutta la tenerezza di cui era capace.

— Sempre! — La sentì deglutire. — Sempre.

Ekaterin chiuse la comunicazione.

Miles ripensò alla frase che gli aveva appena detto: Salvataggio di ostaggi, eh? Se vuoi che qualcosa sia fatto come si deve, fallo da te miserabile cetagandano. Ma quel ba aveva idea di quale fosse stato un tempo il mestiere di Miles? Forse aveva dato per scontato che fosse semplicemente un diplomatico, un burocrate, o un civile spaventato. E non poteva nemmeno sapere chi aveva comandato a distanza il rientro della tuta da riparazione.

La sua tuta anticontaminazione non sarebbe servita, se si fosse trattato di combattere nello spazio, ma quali altri strumenti, tra quelli di cui poteva disporre, lì in infermeria, poteva usare per scopi non previsti dai loro progettisti? E che persone?

I medici avevano l’addestramento e la disciplina dei militari, ma erano anche impegnati in compiti della massima priorità. Miles non voleva distoglierli dalla cura del loro paziente per portarli con lui a giocare ai commandos.

Assorto in meditazioni, cominciò a camminare in giro per la sala dell’infermeria, aprendo cassetti e armadietti e osservandone il contenuto. Una sensazione di fatica stava cominciando a diminuire la sua eccitazione da adrenalina, e un’emicrania sempre più forte gli prendeva la testa. Cercò di non pensare a quello che poteva presagire.

Si guardò intorno: un infermiere stava per entrare nel bagno con in mano un oggetto dal quale uscivano spire di tubi.

— Capitano Clogston! — chiamò Miles.

— Sì, Milord?

— Sto per uscire e chiudere la porta. Dovrebbe sigillarsi automaticamente in caso di variazioni di pressione, ma non mi fido di nessun apparecchio di questa nave che sia controllato a distanza. In ogni caso lei si tenga pronto a spostare il paziente in un baccello corporeo, se sarà necessario. A che punto siete?

Clogston gli rivolse un saluto vagamente militare con la mano guantata. — Stiamo iniziando a costruire il secondo filtro ematico. Se il primo funziona bene come spero, dovremmo essere in grado molto presto di sistemare anche lei.

La cosa l’avrebbe immobilizzato in una cuccetta. Non era ancora pronto a mettersi a riposo; non finché poteva ancora muoversi e pensare da solo. — Grazie, capitano — disse Miles. — Mi tenga informato. — Fece scorrere la porta con il controllo manuale.

Cosa ne sapeva il ba di come utilizzare tutte le strumentazioni del ponte di comando? Miles rifletté sulla configurazione centrale della nave. Un lungo cilindro diviso in tre ponti. L’infermeria si trovava a poppa del ponte superiore; il pontefdi comando era vicino alla prua, all’altro capo del ponte centrale. Le porte stagne interne di tutti i livelli erano situate alle tre intersezioni equidistanti tra le zone di carico e del motore, e dividevano longitudinalmente ogni ponte in quattro parti uguali.

Nel ponte di comando c’era il monitor per sorvegliare tutte le camere stagne esterne, naturalmente, e monitor di sicurezza in tutte le porte delle sezioni interne che si chiudevano per sigillare la nave in compartimenti stagni. Distruggere un monitor avrebbe accecato il ba, ma l’avrebbe anche avvertito che i prigionieri si stavano muovendo. Distruggerli tutti, o tutti quelli che potevano essere raggiunti, avrebbe creato più confusione… ma rimaneva il problema di non mettere in guardia il ba. Che probabilità c’era che mettesse in atto la sua minaccia disperata?

Maledizione, era tutto così dilettantesco… Miles si fermò, catturato dal suo stesso pensiero.

Quali erano le procedure operative per un agente di Cetaganda la cui missione segreta stava andando a monte? Distruggere tutte le prove; cercare di raggiungere una zona sicura in territorio neutrale. Se questo non era possibile, distruggere le prove e poi tenere duro e lasciarsi arrestare dalle autorità del luogo, e aspettare di essere liberato dai propri amici, con le buone o con le cattive. Per le missioni veramente molto critiche, distruggere le prove e suicidarsi. Quest’ultimo ordine veniva dato raramente, perché ancora più raramente veniva eseguito. Ma i ba cetagandani erano talmente condizionati alla fedeltà ai propri padroni, e padrone, haut che Miles fu costretto a considerare quest’ultima una reale possibilità.

Ma catturare ostaggi, strombazzare la missione su tutti i notiziari, soprattutto… soprattutto, l’uso pubblico dell’arsenale più privato del Nido Celeste… Questo non era il modus operandi di un agente addestrato. Questo era un maledetto lavoro da dilettante. E i superiori di Miles lo avevano accusato di essere un cane sciolto… ah! Nessuno dei suoi disastri, neanche il più atroce, era mai stato tanto disastroso quanto prometteva di diventare il presente… per entrambe le parti, purtroppo. Questa deduzione sfortunatamente non contribuiva a rendere prevedibile la prossima azione del ba. Anzi.

— Milord? — La voce di Roic emerse inattesa dal comunicatore di Miles.

— Roic! — gridò Miles con gioia. — Aspetta. Cosa diavolo ci fai su questo canale? Non dovresti essere senza tuta.

— Anch’io potrei chiederle la stessa cosa, Milord — replicò Roic. — Dovevo uscire dall’altra tuta per entrare in quella da lavoro. Però adesso posso appendere il comunicatore nel casco. Ecco. — Si sentì un leggero scatto. — Mi sente ancora?

— Sì. Sei sempre nel reparto macchine?

— Sì, sono ancora qui, però le ho trovato una tuta a pressione, Milord. E una quantità di altri strumenti. Il problema è come farglieli avere.

— Stai alla larga dalle porte stagne, sono sorvegliate. Hai trovato qualche strumento da taglio, per caso?

— Sì… qui ci sono delle bombole con gli ugelli. Stavo proprio pensando che potessero servire.

— Allora portati più a poppa che puoi, poi pratica un foro nel soffitto e sali sul ponte centrale. Evita di danneggiare qualsiasi conduttura, la griglia gravitazionale e qualunque altra cosa che possa far accendere delle spie sulla consolle del ponte di comando.

— D’accordo, Milord. Pensavo anch’io che qualcosa del genere potesse funzionare.

Passarono alcuni minuti. Miles udì chiaramente il respiro affannoso di Roic, interrotto da qualche oscenità a mezza voce, mentre scopriva per tentativi come maneggiare delle attrezzature poco familiari. Un grugnito, un sibilo, un rumore metallico bruscamente interrotto.

Se Roic non fosse stato attento avrebbe potuto compromettere la pressione delle sezioni, ma questo avrebbe poi peggiorato la situazione, dal punto di vista degli ostaggi?

— Va bene, Milord — confermò Roic. — Sono riuscito a salire nel ponte centrale. Ora mi sto spostando all’indietro… ma come faccio a sapere dove si trova lei, stando qui sotto?

— Be’, cerca di arrivare al soffitto e segnalami la tua posizione. Ma fallo piano, altrimenti attraverso le paratie il rumore arriva al ponte di comando.

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