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Cee ebbe un fremito, come un uomo che si distogliesse con uno sforzo da un sogno indotto dalla droga. — Ci sono mari su Cetaganda, sì — mormorò, — ma io non li ho mai visti. Ho sempre vissuto nei corridoi, nei laboratori, nelle prigioni.

Il rossore di Ethan si estese al collo e agli orecchi. Si sentiva trasparente come vetro.

Quinn, che lo guardava, ridacchiò senza alcuna allegria per comunicargli che capiva perfettamente. — Signor Cee, credo che il suo talento non le procurerà molti inviti ai ricevimenti della buona società.

Il giovanotto parve tirarsi fuori dal bozzolo dei pensieri altrui con uno sforzo di volontà. Ethan ne fu sollevato.

— Se potete dare asilo politico su Athos a me, dottor Urquhart, perché non prendere anche l’eredità di Janine? E se non potete proteggervi da Millisor, perché suppone di…

Il sollievo di Ethan abortì. Ma ormai mentire sarebbe stato assurdo. — Io non riesco ancora a immaginare come uscire vivo da questo guaio — ammise, sconfortato. — figuriamoci come tirarne fuori lei. — Diede uno sguardo a Quinn. — Ma non ho intenzione di gettare la spugna. Il mio lavoro non è finito.

La mercenaria alzò un dito a indicare che accusava il colpo. — Potrei farvi notare, signori, che prima di pensare a cosa fare con quel materiale genetico bisogna scoprire se esiste ancora e dove lo hanno portato. Ora, in questa dannata equazione sembra che manchi un elemento. Cerchiamo di restringere il campo d’indagini. Se Millisor non ha quel carico, chi può averlo?

— Chiunque abbia scoperto di cosa si trattava — rispose Cee. — Governi planetari rivali. Organizzazioni criminali. Flotte di mercenari indipendenti.

— Badi a chi mette nello stesso mazzo, Cee — brontolò Quinn.

— Casa Bharaputra sapeva di che si trattava — suggerì Ethan.

Quinn sorrise a mezza bocca. — E loro appartengono a due di quelle tre categorie, essendo sia un governo privato sia un’organizzazione criminale… ahem. Scusate i miei pregiudizi. Sì, alcune persone di Casa Bharaputra sapevano probabilmente anche quello che lei, Cee, non ha voluto dir loro. Ma ormai costoro sono morti e sepolti. A quanto ho capito io, Casa Bharaputra non sa più quale uovo aveva covato. I dirigenti con cui ho parlato non mi hanno certo messo a parte dei fatti loro, però devo presumere che se avessero saputo quant’erano importanti quelle colture mi avrebbero chiesto di mettere nelle loro mani Millisor vivo, per poterlo interrogare, invece di ordinarmi esplicitamente la sua eliminazione fisica. — Inarcò un sopracciglio verso Cee. — Lei ha senza dubbio conosciuto la loro mentalità meglio di me. Pensa che il mio ragionamento regga?

— Sì — ammise Cee con riluttanza.

— Stiamo girando in cerchio — fece notare Ethan.

Quinn srotolò la ciocca di capelli. — Già.

— C’è la possibilità che sia intervenuto qualcun altro — disse ancora Ethan. — Un estraneo, giunto per caso a conoscere alcuni fatti. Il capitano di un’astronave. ad esempio, o…

— Senta — brontolò Quinn. — io ho detto di restringere il campo delle possibilità, non di allargarlo! Mi servono informazioni. Fatti. — Si alzò in piedi. Scrutò il giovanotto biondo. — Pensa di aver finito per oggi, signor Cee?

Lui si stava palpeggiando una tempia con aria sofferente. — Sì. l’effetto si è smorzato. Non sento più niente.

Ethan lo guardò preoccupato.

— Sente dolore? È una cosa collegata alla telepatia?

— Sì. Non importa. È sempre così. — Cee andò a sdraiarsi sul letto e si coprì il volto con una mano.

— Cosa pensa di fare? — domandò Ethan a Quinn, che stava uscendo.

— Per prima cosa guarderò se nelle mie trappole per dati è rimasta imprigionata qualche informazione. Poi cercherò di sondare con molta discrezione il personale dei magazzini. In quanto a ciò che il supervisore umano di un sistema automatizzato potrà ricordare di un singolo carico, a sette mesi di distanza dai fatti… Oh, be’. Se non altro avrò scartato una pista. Tu potresti restare qui anche oggi, dottor Urquhart; questo posto è sicuro quanto un altro. — Un cenno del capo gli suggerì in silenzio: E già che ci sei, tieni d’occhio il nostro amico.

Ethan ordinò alla consolle di servizio della stanza tre quarti di grammo di acido acetil-salicilico e un po’ di vitamina B. e mise le due pasticche in mano al giovane telepate.

Cee le ingoiò e si girò di fianco, rivolgendogli un gesto mi-lasci-stare-io-posso-anche-morire che non ebbe certo l’effetto di tranquillizzarlo. Ma dopo una ventina di minuti la sofferente apatia che s’era impadronita di lui lasciò il posto al sonno.

Ethan rimase a vegliarlo e ruminò sulle sue scarse possibilità d’azione. Lui non aveva niente da offrire, o almeno niente di simile al repertorio di trucchi elettronici e di esperienza che Quinn sapeva usare così bene. Tutto ciò che aveva era la crescente convinzione che stessero avvicinando il problema dall’estremità sbagliata.

Il ritorno di Quinn svegliò Ethan, addormentato sul pavimento. Si tirò in piedi e andò ad aprire la porta, sfregandosi gli occhi appiccicosi. I polpastrelli delle dita gli dissero che avrebbe dovuto farsi la barba. Forse Cee poteva prestargli un rasoio, o un po’ di depilatore.

— Dov’è stata fin’ora? Ha trovato qualcosa? — le domandò.

La mercenaria scrollò le spalle. — Millisor continua a mantenere la sua routine di copertura. Rau, come già sappiamo, lavora al suo posto d’ascolto per il monitoraggio delle richieste di tyramina. Potrei fare una chiamata anonima alla Sicurezza della Stazione per rivelare dove si trova, ma se poi evadesse di nuovo dal Reparto Detenzione non saprei più dove andare a cercarlo. In quanto al supervisore del magazzino, è in grado di bere litri di acquavite di marca e di parlare per ore di ciò che ha fatto fino al massimo di una settimana fa, ma oltre questo limite non ricorda nulla. — Lei doveva avergli fatto buona compagnia, a giudicare dal suo alito.

Svegliato dalle loro voci, Cee si tirò a sedere sul letto. Esaminò la situazione, mugolò: — Ah! — e tornò a sdraiarsi, lentamente e sbattendo le palpebre. Dopo un poco si alzò di nuovo. — Che ore sono?

— Le diciannove zero-zero — rispose Quinn.

— Dannazione — Cee si alzò in piedi con cautela. — Ieri era il mio giorno di libertà, ma oggi devo andare al lavoro. Sono nel turno di notte.

— È proprio necessario? — domandò ansiosamente Ethan.

Quinn annuì giudiziosamente. — È meglio che mantenga la sua copertura il più a lungo possibile. Finora ha funzionato bene.

— Quello che devo mantenere è la mia paga — disse Cee, — se voglio comprarmi un biglietto per andar via da questa trappola per topi.

— Io posso pagarle una cabina su una nave passeggeri — offrì Quinn.

— Quella su cui partirà lei, eh? — disse Cee.

— Be’, naturalmente.

Cee scosse il capo e andò nel bagno, con una tuta fra le mani.

Quinn vide la carta di credito del giovanotto, la infilò nella consolle e ordinò al distributore succo d’arancia e caffè. Ethan ripulì il piccolo tavolo per fare un po’ di posto e accettò con gratitudine entrambe le bevande.

Quinn succhiò un sorso di liquido nero e caldo dal bulbo trasparente.

— Be’, il mio pomeriggio non è stato molto proficuo, dottore. E il tuo? Cee ha detto qualcosa di nuovo?

Lo stava dicendo solo per fare conversazione, pensò Ethan. Probabilmente la bruna mercenaria aveva registrato ogni loro sussurro.

— Abbiamo dormito finora — rispose, bevendo il caffè. Era una miscela artificiale dal sapore irriconoscibile, senza dubbio derivata da prodotti innominabili riciclati un milione di volte, ma Ethan rifletté che andava sul conto di Terrcnce Cee e non volle lamentarsi. — Comunque, ho pensato al problema di come rintracciare quel carico. Mi sembra che finora abbiamo affrontato la cosa nel modo sbagliato. Guardi, ad esempio, il genere di materiale che è arrivato su Athos.

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