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— Sì? — disse lei. — Questo è un risvolto nuovo. Non avevo ancora sentito parlare di questo aspetto dei loro piani. È una vera sfortuna che io mi sia perduto l’interrogatorio, però mi auguro che tu sarai così gentile da farmi un resoconto. Da tre settimane sto cercando di piazzare delle microspie nell’alloggio di Millisor. ma purtroppo il loro equipaggiamento anti-intercettazioni è di prima qualità.

— Lei si è perduta soprattutto molte grida di dolore. Le mie — disse Ethan in tono ostile.

La femmina parve un po’ imbarazzata. — Ah… già. Temo di non aver pensato che avrebbero usato anche sistemi più brutali del penta-rapido.

— Uno specchietto per le allodole — grugnì lui.

La comandante Quinn si schiarì la gola, accovacciata al suo fianco. Prese il telecomando della barella e la accese. Con un ronzio le piastre antigravità sollevarono Ethan e il contenitore a due metri dal suolo, come su un magico tappeto volante.

— Non… non così in alto! — balbettò Ethan, annaspando alla ricerca di una maniglia inesistente. Lei fece abbassare la barella a un palmo d’altezza dal suolo e la mise in movimento, incamminandosi accanto a lui.

La femmina rispose alla sua domanda parlando lentamente e scegliendo le parole con cura. — Il Ghem-colonnello Luyst Millisor è un ufficiale del controspionaggio cetagandano. Il capitano Rau, il defunto Okita e un altro gentiluomo di nome Setti sono la sua squadra.

— Cetaganda! Ma quel pianeta non è troppo lontano da qui per essere interessato a, uhm… — Ethan guardò la femmina — a noi? Voglio dire a questo incrocio di rotte di balzo?

— Non troppo lontano, evidentemente.

— Ma perché, nel nome di Dio il Padre, dovrebbero voler distruggere Athos? Cetaganda è forse… controllato dalle femmine, o qualcosa del genere?

Una risata sfuggì dalla bocca di lei. — Difficile. Io lo definirei anzi un tipico stato totalitario dominato dagli uomini, anche se questo è mitigato da certi aspetti artistici e creativi della loro società. No, Millisor non è interessato al pianeta Athos in se stesso o al "mozzo" di Stazione Kline. Lui sta dando la caccia… a qualcos’altro. Al Grande Segreto. Quello che io sono stata incaricata di scoprire.

La femmina fece una pausa per dirigere la barella intorno a un angolo, in salita e particolarmente difficoltoso.

— A quanto sono venuta a sapere, su Cetaganda esisteva un progetto genetico, sponsorizzato dai militari e con obiettivi a lungo raggio sia nello spazio che nel tempo. Fino a tre anni fa, il colonnello Millisor era il capo della sicurezza di quel progetto. E la sicurezza, ovvero il loro apparato di controspionaggio, era ferrea. Nei venticinque anni della sua esistenza nessuno era mai riuscito a scoprire nulla di esso, salvo captare voci abbastanza vaghe sul fatto che i militari di quel pianeta si stavano occupando di genetica. Si era saputo soltanto che il suo uomo-chiave era un certo Dr. Faz Jahar, uno scienziato cetagandano specializzato in genetica e considerato di modeste capacità, il quale era scomparso dalla circolazione al tempo in cui quel progetto aveva preso inizio. Tu hai un’idea di quanto sia difficoltoso mantenere un segreto per venticinque anni, quando decine di pianeti investono forti somme nello spionaggio industriale e militare? Questo progetto rappresenta il lavoro di una vita intera per il colonnello Millisor. e così è stato per il Dr. Jahar.

«Comunque sia, accadde qualcosa d’imprevisto. Il progetto andò in fumo… letteralmente. Una notte l’edificio che ospitava i laboratori saltò in aria e tutto il suo contenuto cessò di esistere, compreso il Dr. Jahar. Da allora, il colonnello Millisor e la sua squadra hanno cominciato ad agire all’estero, come se fossero alla caccia di qualcosa nelle regioni colonizzate della galassia. Indagano e si sbarazzano degli ostacoli con la feroce decisione di criminali professionisti… o di uomini spinti da una paura folle. Tuttavia, anche se non metterei la mano sul fuoco per il capitano Rau, il Ghem-colonnello Millisor non è un pazzo né un criminale.

— Di questo lei non riuscirà a convincermene — disse cupamente Ethan. Nei suoi occhi c’era sempre qualcosa che non funzionava, e il tremito muscolare andava e veniva.

Poco più avanti si fermarono di fronte a un largo portello nella parete del corridoio. LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE diceva un cartello su di esso. E un altro, in lettere rosse: SOTTO SEQUESTRO — VIETATO L’INGRESSO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO.

La comandante Quinn fece qualcosa che Ethan non vide sulla serratura a combinazione, e il portello si aprì scivolando di lato. Prese la barella per i manici e la spinse dentro. Dal corridoio che avevano appena lasciato giunsero delle voci e delle risate. Lei si affrettò a chiudere, e per qualche momento rimasero nel buio più completo.

— Ah, eccola qui — mormorò la femmina, facendo scattare l’interruttore di una torcia elettrica. — Nessuno ci ha visto. La Dea Bendata mi vuole ancora bene. Questo sarebbe un brutto momento per cominciare a fare a meno dei suoi favori.

Ethan sbatté le palpebre e si girò a guardare l’ambiente in cui erano entrati. Una specie di lunga piscina rettangolare, vuota, occupava il centro di una vasta area piena di colonne, statue di marmo alcune delle quali prive della testa o di un braccio, mosaici ed archi elaborati.

— Questa dovrebbe essere la copia esatta di una famosa residenza della Terra — spiegò la comandante Quinn. — Il palazzo Elhamburger o qualcosa del genere. Un ricco armatore della stazione aveva speso un sacco di soldi per farlo costruire (e in effetti è finito) quando i suoi soci hanno improvvisamente cominciato a litigare. Il processo è in corso ormai da quattro mesi, e questa e altre proprietà sono per il momento sotto sequestro. Puoi restare qui a vegliare la salma del nostro amico fino al mio ritorno — disse, tamburellando con le dita sul contenitore.

Ethan si disse che per completare quella sgradevole giornata non gli mancava che una veglia funebre, e per di più in un luogo sconosciuto dove avrebbe continuato ad essere alla mercè di gente sconosciuta. Ma la femmina aveva fatto abbassare la barella al suolo e stava tirando fuori dei larghi cuscini di spugna da una malridotta scatola da imballaggio. — Niente coperte, purtroppo — borbottò. — Io ho la mia blusa imbottita. Ma tu puoi usare questi per coprirti; penso che ti terranno abbastanza caldo.

Distendersi su quella roba fu come sprofondare in una nuvola. — Coprirmi — mormorò Ethan, — stare al caldo…

Lei si frugò in una tasca della blusa. — Devo avere una… ah. — Tirò fuori una confezione sigillata e la aprì. — Questa è cioccolata alla menta, con le noccioline. Ti farà bene.

Ethan la divorò in pochi bocconi e si ritrovò più affamato di prima.

— Ah, un’altra cosa. Non puoi usare il cesso, qui. Il passaggio di rifiuti sarebbe registrato dal computer del servizio fognature, e qualche solerte funzionario potrebbe informarne il tribunale. So che sembra orribile, ma… se hai una necessità, falla dentro il contenitore. — Si strinse nelle spalle. — Non si può dire che Okita non lo meriti, tutto sommato.

— Preferirei morire — farfugliò Ethan, frugandosi in bocca con un dito per togliersi un frammento di nocciolina rimasto incastrato fra i denti. — Uh… lei pensa di stare via molto tempo?

— Non più di un’ora, per adesso. Almeno, spero che un’ora mi basti. Tu faresti meglio a dormire un po’.

Ethan riaprì gli occhi con uno sforzo. — Grazie del consiglio.

— E ora… — La femmina si sfregò le mani, annuendo fra sé. — Diamo inizio alla fase due della ricerca di L-X-10 Terran-C.

— Che cosa?

— Questo era il nome in codice del progetto di cui faceva parte il colonnello Millisor. Terran-C, più in breve. Forse una parte della cosa a cui stavano lavorando aveva avuto origine sulla Terra.

— Ma Terrence Cee è un uomo — disse Ethan. — Quei due non hanno fatto altro che continuare a chiedermi se è stato qui che io l’ho incontrato.

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