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Ethan trovò un albergo dove il personale, almeno nell’atrio, sembrava tutto mascolino, e scelse una camera basandosi sul prezzo. Ciò avvenne solo al termine di una lunga e complicata tele-conferenza — fra l’impiegato al banco, il computer centrale di Stazione Kline, la vice-direttrice dell’Ufficio Turisti, e dopo di lei ben quattro funzionari di una banca o del governo della stazione l’oggetto della quale era il valore di cambio da assegnare alle sterline athosiane in possesso di Ethan.

I funzionari furono gentili e fecero il possibile per calcolare il cambio più favorevole, trasformando le sterline in dollari betani attraverso il passaggio preliminare in due monete che lui non aveva mai sentito nominare. I dollari betani, gli fu spiegato, erano una delle monete più solide e universalmente accettate. Tuttavia lui si ritrovò con molti meno dollari di quant’erano state le sue sterline, e con rammarico dell’impiegato dovette declinare la proposta della Suite Imperiale in favore di una Camera Turistica Economica. Il fattorino attese che lui avesse raccolto la sua borsa e lo accompagnò all’ingresso del seminterrato, dove si separò da lui dopo avergli indicato la strada con un cenno.

Il cubicolo in cui Ethan si ritrovò quand’ebbe aperto la porta era economico, e probabilmente era anche turistico, ma che fosse una camera qualcuno avrebbe potuto dubitarne. Quando fosse stato addormentato, si disse Ethan, la ristrettezza del locale non lo avrebbe disturbato. Adesso tuttavia era sveglio. Premette la valvola che gonfiava il letto, si sdraiò (in fretta, poiché non rimaneva molto spazio per stare in piedi) e ripassò mentalmente le istruzioni che aveva avuto prima della partenza, cercando d’ignorare la noiosa impressione che le pareti si muovessero verso l’interno per schiacciarlo.

Quando il Consiglio della Popolazione aveva finalmente trovato dieci minuti per fare il calcolo, durante una seduta, il costo per rispedire al mittente il materiale biologico ricevuto era risultato maggiore della cifra che Casa Bharaputra avrebbe dovuto restituire al governo di Athos, cosicché l’ipotesi di rivolgersi di nuovo al Gruppo Jackson era stata cancellata. Dopo un irritante dibattito Ethan era riuscito ad avere carta bianca nella scelta di un altro fornitore, ciò sulla base di informazioni attendibili che sarebbe stato suo compito trovare a Stazione Kline.

Il Consiglio gli aveva elencato alcune istruzioni ben precise. Non spendere più dei denari che aveva (ovvero non firmare impegni di pagamento per conto di Athos). Procurarsi il materiale biologico migliore disponibile. Andare lontano quanto avrebbe dovuto (ovvero non lamentarsi scioccamente dei sacrifici personali). Non sprecare denari in viaggi non necessari (ovvero andare a piedi piuttosto che su mezzi pubblici, finché possibile). Evitare i contatti personali coi galattici (questa gli era stata data come norma di comportamento morale). Non dire ai galattici niente di Athos (l’Ufficio della Difesa aveva parlato di spionaggio militare). Approfittare dei momenti liberi per coltivare possibili emigranti (scelti fra coloro che potevano portare su Athos un po’ di valuta pregiata). Spargere la voce che Athos era: A) un paradiso per gli uomini dalla mente libera che volessero salvarsi da loro, e B) di nessun valore dal punto di vista strategico e militare. Non mettersi nei guai. Non lasciarsi imbrogliare. Tenere gli occhi aperti per eventuali altre opportunità commerciali favorevoli. Non dimenticare che l’uso personale di fondi di proprietà del Consiglio era considerato un reato, e punito come tale.

Per fortuna di Ethan. tuttavia, il presidente del Consiglio lo aveva preso da parte nel suo ullìcìo, dopo la seduta, dicendogli che voleva parlare con lui in privato.

— Questi sono gli appunti che ha preso in aula? — aveva chiesto, indicando i fogli e i dischetti che lui aveva in mano. — Li dia a me.

E li aveva gettati nel cestino della carta straccia.

— Si procuri quella roba e torni indietro — era stato il suo unico ordine. — Tutto il resto sono chiacchiere.

Il cuore di Ethan si gonfiò a quel ricordo. Sorrise fra sé, si alzò dal letto, gettò in aria il proiettore olovideo riprendendolo destramente al volo, poi se lo mise in tasca e uscì dall’albergo con l’idea di fare quattro passi.

Sulla Passeggiata dei Viaggiatori Ethan trovò alfine l’altra faccia dell’arazzo, quella ricamata, col semplice espediente di prendere un’auto a bolla, farsi portare al molo d’attracco delle più lussuose navi passeggeri e incamminarsi da lì verso il centro di Stazione Kline. Racchiuse nel cristallo e in cornici cromate c’erano vedute della notte galattica, di altre sezioni della stazione scintillanti di luci colorate, e dei piani centrali a forma di ruota che tuttora continuavano a girare per mantenere la loro ormai sorpassata gravità centrifuga. Non erano stati abbandonati — niente veniva mai scartato in quella società legata alle magre risorse dello spazio — ma alcuni erano adibiti ad usi meno importanti, e altri venivano pian piano smantellati per fornire materiale alle sezioni in crescita, come se Stazione Kline fosse un serpente che si mangiava la coda.

Entro le lunghissime paratie della Passeggiata dei Viaggiatori fioriva una gran quantità di rampicanti, di alberi in grandi vasi, di piante aerofage, di orchidee, di aiuole colme d’erbe mutanti. C’erano bizzarre fontane dove l’acqua scorreva al contrario, altre capovolte, altre ancora i cui getti di liquido spiraleggiavano intorno alle scale e alle passerelle, il tutto animato di strana vita grazie ai trucchi realizzati con la gravità artificiale. Ethan si fermò a guardare affascinato, per un intero quarto d’ora, la sfoglia d’acqua emessa da una di quelle fontane che, magicamente sospesa nell’aria, scivolava nel percorso ad otto di un Nastro di Moebius, senza inizio e senza fine. Un passo più indietro, oltre la barriera trasparente di una vetrata che dava sullo spazio, regnava la gelida notte che avrebbe potuto pietrificare in eterno tutta quella vita. Il contrasto artistico era sopraffacente, ed Ethan non era il solo turista fermo lì davanti con aria trasognata.

Lungo il bordo esterno della sezione adibita a parco c’erano caffè e ristoranti dove, calcolò Ethan ormai più aggiornato sui prezzi, se lui si fosse recato lì per i suoi pasti avrebbe dovuto accontentarsi di mangiare una volta alla settimana. E alberghi dove alloggiavano i clienti che potevano permettersi quattro pasti al giorno in quei ristoranti. E teatri, e negozi dove si vendevano sogni proibiti, e chiese che, a dar retta alle loro insegne opalescenti, potevano offrire la consolazione spirituale di ben ottantasei religioni ufficialmente riconosciute. Quella di Athos, ovviamente, non era fra esse. Mettendo la testa in una delle chiesette Ethan vide che c’era in corso la cerimonia funebre di una persona la quale doveva aver rifiutato l’immagazzinamento nel cimitero sottovuoto fuori dalla stazione in favore della cremazione, che stava avvenendo grazie a un impianto a onde corte. Ethan, con gli occhi ancora pieni del vuoto spaziale che incombeva oltre le fontane, si disse che anche lui avrebbe preferito il fuoco al ghiaccio. Dalla porta aperta di una chiesa vicina vide che si stava svolgendo un rito misterioso, officiato da un vecchio con un libro in mano, davanti a cui una femmina in un vaporoso abito bianco e un uomo in nero si tenevano per mano. I due si misero a vicenda un anello e poi uscirono a braccetto, accompagnati da una musica di bell’effetto, fra due ali di amici allegri e festosi alcuni dei quali gettavano sulla coppia manciate di chicchi di riso.

Mentre Ethan proseguiva verso il centro, i suoi pensieri si fecero più pratici. Lì c’erano le ambasciate, i consolati, le sedi di numerose ditte e gli uffici degli agenti commerciali di una quantità di pianeti che spedivano le loro merci attraverso il nodo di rotte di balzo al cui centro c’era Stazione Kline. Lì, presumibilmente, avrebbe ottenuto informazioni sulle ditte produttrici di materiale biologico che potevano soddisfare le necessità di Athos. Poi avrebbe acquistato un biglietto per il pianeta prescelto, e quindi… ma per il momento Stazione Kline era già un sovraccarico sufficiente per i suoi sensi.

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