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— A volte li giustifica, — assentì Saul freddamente.

Vadim si trattenne. È un fossile di un’altra epoca, pensò. Ma prova un po’ a lasciarlo senza calzoni in mezzo alla neve, e vedrai come si offende che tutta la tecnologia del pianeta non corra in suo aiuto! A questo punto Vadim scorse una traversa e frenò bruscamente.

Il sentiero partiva dalla strada principale e andava verso oriente, zigzagando fra le colline.

— È la prima strada in un’altra direzione, — disse Vadim. — Cambiamo rotta?

— Non vale la pena, — disse Saul. — Che cosa potrebbe esserci di interessante?

Anton era indeciso. Ma come tentenna, pensò con ira Vadim. Sembra proprio un’altra persona.

— Allora? — disse. — Io propongo di continuare per la strada principale.

— Anch’io, — disse Saul. A tornare indietro facciamo sempre in tempo. Non è vero, Vadim?

— Va bene, vola dritto, — disse incerto Anton. — Vola dritto. Però… tenete presente… Va bene, vola dritto.

Vadim di nuovo slanciò il bioplano lungo la strada.

— Ma che cosa hai oggi, Anton? — gli chiese. — Sei incerto come un paladino al bivio: se vai a destra perdi il bioplano, se vai a sinistra, la vita…

— Avanti, guarda avanti, — rispose Anton con tono tranquillo.

Vadim si strinse nelle spalle e con ostentazione cominciò a guardare davanti a sé. Cinque minuti dopo vide una macchia grigia.

— Di nuovo una buca piena di fumo, — disse.

Era esattamente uguale a quella di prima. I bordi erano coperti di neve, su di essa ondeggiava pesantemente lo stesso fumo grigiastro, e dal fumo, come un torrente inesauribile, uscivano le macchine.

— Mi aspettavo di vedere qualcosa del genere, — disse Anton.

— Ma qui non c’è nessuno, — disse Vadim interdetto. — Ne sappiamo quanto prima.

Uno strano pensiero lo colpì. Guardò la bussola e impugnò il binocolo. Rovine lungo i bordi della buca non ce ne erano. Non era la stessa.

— Impressionante, — disse Saul. — Escono dal fumo e rientrano nel fumo.

— Torniamo indietro, — disse Vadim impaziente. Fissò Anton. Sul viso di Anton c’era di nuovo quella detestabile espressione indecisa.

— Scusi, — disse Saul, — ma come si fa ad ignorare un fenomeno tanto straordinario!…

— Ma dov’è il fenomeno! — esclamò Vadim. — Che cosa c’è da ammirare tanto? Un ingegnere privo di talento trasferisce le sue macchine attraverso il subspazio… Ha trovato il posto giusto per il trasporto-zero! Ha distrutto una città, questo scemo incapace… Ma si può sapere cosa stai a rimuginare, Anton?

— Mi pare che alzi un po’ troppo la voce, — disse Anton, guardando altrove.

— Beh, e allora? Cos’è, ti interessano i processi produttivi locali?

— Ma no… — rispose fiaccamente Anton. — Cosa vuoi che mi interessino?

Vadim girò insieme al suo sedile, si strofinò le mani sulle ginocchia e si mise a guardare alternativamente Anton e Saul. Anton aveva una faccia come se stesse per addormentarsi. Teneva addirittura le mani sullo stomaco e le dita incrociate. E Saul fissava Vadim con un’espressione di commossa ammirazione e di sorpresa. Teneva la bocca mezza aperta.

— Di che si tratta? — disse Vadim. — Che cosa avete subodorato tutti e due?

Saul trasalì.

— Ma certo! — esclamò. — Come ho fatto a non pensarlo subito! È tutto chiaro: abbiamo due buche ad una distanza di ottanta chilometri. Da una buca escono le macchine, percorrono ottanta chilometri su un’ottima autostrada e senza alcun effetto visibile entrano nella seconda buca. Dalla seconda buca attraverso un passaggio sotterraneo tornano alla prima…

Vadim sospirò con aria afflitta.

— No, non tornano nella prima, — disse. — Si tratta di un trasferimento adimensionale, capisce? — Ad ogni parola Saul faceva cenni affermativi col capo. — Un elementare trasporto adimensionale. Qualcuno utilizza questo posto per far percorrere alle macchine le distanze maggiori per la via più breve. Forse migliaia di chilometri, forse migliaia di parsec. Possibile che non sia chiaro?

— Ma no, perché, è tutto chiarissimo! — esclamò Saul. Aveva un’aria un po’ intontita. — Cosa c’è di incomprensibile? Un tipico trasferimento adimensionale…

— Sì, — assentì Vadim. — Ed a noi non interessa affatto. È la gente che dobbiamo cercare!

— Va bene, — disse Anton. — Cercheremo la gente. Torna indietro e segui la traversa.

Vadim girò il bioplano e ritornò indietro lungo la strada.

— Anton, ti senti male? — chiese dopo una pausa.

— Sì, mi sento male, — disse Anton. — Non dimenticare di confermarlo, se te lo chiedono…

— Chi lo deve chiedere?

— Lo chiederanno, — disse Anton. — Ci sarà… gente che si interesserà…

Vadim non insisté, era chiaro che tutto questo non aveva senso. Guardò le macchine in basso e poi il contachilometri.

— Sono degli automi primitivi, — borbottò. — Procedono sempre alla stessa velocità, sempre alla stessa distanza… Valeva la pena di spedirli attraverso il subspazio…

Apparve la strada trasversale.

— Come volo? — chiese Vadim. — Seguo il sentiero o taglio le curve?

— Segui il sentiero, — rispose Anton. — E scendi a bassa quota.

Vadim scese con piacere fin quasi a terra e seguì esattamente la strada. Gli piaceva molto andare veloce con brusche svolte. Di fianco, saltellando sulle asperità, correva sulla neve l’ombra affusolata del bioplano.

— Ecco di nuovo gli uccelli, — disse Saul furioso.

Davanti a loro, proprio sul sentiero, si trovavano alcuni mostri dalle zampe lunghe, simili a quelli visti prima. Scavavano delle fosse e raspavano nella neve smossa. Quando il bioplano si avvicinò, subito si accovacciarono sulle zampe, piegarono indietro i lunghi colli e spalancarono i becchi neri. Dai becchi pendevano dei brandelli.

— Che bestiacce schifose! — disse Saul con ribrezzo. Si girò sul sedile per guardare indietro. — Che cosa staranno disseppellendo?

Vadim capì all’improvviso cosa stessero disseppellendo, ma la cosa gli fece tanto orrore che preferì non credervi.

— Lei, Saul, non ha visto i Tachorg, — disse con allegria forzata. — In confronto ai Tachorg questi non sono che pulcini appena nati. Bisognerebbe ammazzarne uno, vero Anton?

— Sì, si può fare, — disse Anton.

Saul sedeva dritto.

— Non mi piace che stiano là a scavare, — disse cupo.

Nessuno rispose. Volarono in silenzio ancora per una decina di minuti. La neve sul sentiero era di uno schifoso color letame. Vi si vedevano delle tracce che non erano né di cingoli né di ruote, e a destra e a sinistra, sulla superficie innevata a tratti, si stendevano lunghe file di orme umane. Le colline tondeggianti che lo fiancheggiavano erano deserte. Qua e là dai cumuli di neve spuntavano esili arbusti e nere radici contorte, che sembravano mani adunche.

— Eccone un altro, — disse Saul.

Sulla sommità di una collina stava un uccello. Notato il bioplano, si slanciò impetuosamente in avanti, per tagliare loro la strada. Correva, agitando vertiginosamente le zampe, teneva aperte le piccole ali, tendeva il collo magro e con il becco quasi sfiorava la neve. Il piccolo occhio ardente fissava il bioplano.

— Non farà in tempo! — esclamò dispiaciuto Vadim.

Ma l’uccello fece in tempo. — Forza! — gridò Vadim soddisfatto. Il bioplano si scosse. Nell’aria volteggiò una zampa dagli artigli protesi. Anton e Saul si voltarono all’istante.

— Sta ancora ruzzolando! — comunicò Saul. — Un animale schifoso come pochi… Ma guarda… — esclamò meravigliato.

Vadim accese subito lo schermo retrovisore posteriore. L’uccello caduto si era già rimesso in piedi e, zoppicando, correva dietro al bioplano. Aveva l’aria furiosa. Presto rimase indietro e sparì dietro la curva.

— Se incontreremo della gente, — disse Vadim, — proporrò di sterminare queste bestiacce in tutta la vallata. Visto che da soli non ce la fanno… Che ne pensi, Toška?

— Si vedrà, — disse Anton.

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