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— Magnifico! — disse Bromberg, ritornando improvvisamente calmo. Si infilò una mano nella tasca dell’impermeabile bianco e ne tirò fuori un oggetto luccicante che poggiò rumorosamente sul tavolo, davanti a Sua Eccellenza. — Ecco la mia chiave. Anche io, come tutti gli altri collaboratori di questo museo, ho la chiave dell’ingresso di servizio e l’ho utilizzata per entrare.

— Nel mezzo della notte e nonostante i divieti del direttore? — Sua Eccellenza non aveva la chiave, aveva un grimaldello magnetico, perciò gli restava solo una cosa da fare: attaccare.

— Nel mezzo della notte, ma con la chiave! Ma dov’è la sua di chiave, Sikorski? Mi faccia vedere, per favore, la sua chiave!

— Non ho la chiave! Non mi serve! Mi trovo qui per servizio, e non perché mi è saltato il ticchio, vecchio scemo isterico!

E che cosa si scatenò a questo punto! Sono sicuro che mai, prima, le pareti di quel modesto studio avevano sentito un tale scoppio di ira frammisto a grida rauche. E che epiteti. E che baccanale di sentimenti. Che assurde argomentazioni e che contro-argomentazioni ancora più assurde, Sì, e che c’entravano le pareti! In fin dei conti erano solo le pareti di una tranquilla istituzione accademica, lontana dalle passioni quotidiane. Ma io, persona non più giovanissima, che ne aveva viste di tutti i colori, persino io non avevo mai sentito niente del genere, in ogni caso non da Sua Eccellenza.

In effetti, il campo di battaglia si era completamente velato di fumo e non si poteva più distinguere l’oggetto della contesa. Solo, come dardi infuocati, sfrecciavano da una parte e dall’altra vari «ciarlatani privi di senso della responsabilità», «cavalieri di cappa e spada», «provocatori della società», «agenti spelacchiati dei servizi segreti», «demagoghi sclerotici», «vecchi asini», «omiciattoli velenosi» e «vecchi in preda a marasma senile»; granate del genere piovevano a bizzeffe…

Tuttavia il fumo finalmente si dissolse, e davanti al mio sguardo sorpreso e affascinato apparve un quadro impressionante. Capii allora che la battaglia di cui ero stato casuale testimone era stata solo una delle innumerevoli scaramucce, invisibili al mondo, di una guerra tacita, iniziata quando i miei genitori andavano ancora a scuola.

Ricordai abbastanza in fretta chi era Isaak Bromberg. Ovviamente avevo sentito già parlare di lui, forse addirittura quando ero un moccioso, e lavoravo nel Gruppo di Libera Ricerca. Uno dei suoi libri — Come sono effettivamente andate le cose — indubbiamente l’avevo letto: era la storia dell’“Incubo del Massachusetts”. Ricordo che il libro non mi era piaciuto. L’intento panphlettistico era troppo evidente; l’autore si era sforzato di togliere ogni velo romantico a questa storia veramente terribile, e aveva dato troppo posto alla discussione sui princìpi politici dell’approccio a esperimenti pericolosi, discussione che, a quel tempo, non mi interessava affatto.

In particolari ambienti, comunque, il nome di Bromberg era noto e godeva di una certa stima. Si sarebbe potuto definirlo “dell’estrema sinistra” del noto movimento di Giuisti, fondato da Lamondais e che sosteneva il diritto della scienza a svilupparsi senza limiti.

Gli estremisti di questo movimento professano dei princìpi che, a prima vista, sembrano assolutamente naturali, ma nella pratica si rivelano molto spesso irrealizzabili a qualsiasi livello di sviluppo della civiltà umana (ricordo l’enorme shock che provai quando appresi la storia della civiltà di Tagora, dove questi princìpi erano stati rigorosamente seguiti fin dai tempi immemorabili della Prima Rivoluzione Industriale).

Ogni scoperta della società che può essere realizzata sarà sicuramente realizzata. Con questo principio è difficile trovarsi in disaccordo, sebbene anche qui nasca tutta una serie di riserve. Come comportarsi con una scoperta che sia già realizzata? Risposta: tenerne le conseguenze sotto controllo. Molto bene. Ma se non riusciamo a prevederne tutte le conseguenze? E se sopravvalutiamo una conseguenza e ne sottovalutiamo altre? Se, infine, tutto è chiaro, ma noi semplicemente non siamo in grado di tenere sotto controllo le conseguenze più evidenti e sgradevoli? Se per questo sono necessarie risorse energetiche assolutamente impensabili e tensione morale? (Come, fra l’altro, è successo con la macchina del Massachusetts, quando davanti agli occhi degli attoniti studiosi nacque e cominciò a prender forza una nuova civiltà non umana della Terra.)

— Interrompere le ricerche! — ordina di solito in questi casi il Consiglio Mondiale.

— Niente affatto! — ribattono gli estremisti. — Rafforzare i controlli? Sì. Ridurre le prestazioni della misura necessaria? Sì. Rischiare? Sì! In fin dei conti, «chi non fuma e non beve, muore in buona salute» (dall’intervento del patriarca degli estremisti J.G. Prenson). Ma niente divieti! I divieti etico-morali nella scienza sono più terribili di qualsiasi sconvolgimento etico che sia o possa essere provocato dalle più rischiose sterzate impresse al progresso scientifico. È un punto di vista che, indubbiamente, si impone per la sua dinamicità, che trova accaniti apologeti fra i giovani scienziati, ma tutto diventa maledettamente pericoloso, quando princìpi del genere li professa un famoso e valente specialista, che esercita la sua influenza su un collettivo dinamico e dotato di importanti forze ed energie.

Proprio questi estremisti-pratici erano i clienti principali del nostro COMCON-2. Il vegliardo Bromberg era un estremistateorico, e per questa ragione, forse, non era subito caduto nel nostro campo visivo. Invece a Sua Eccellenza, come ora potevo costatare, era tutta la vita che gli stava sullo stomaco, sui reni e sul fegato.

Per quanto riguarda il tipo di attività, noi del COMCON-2 non vietavamo mai niente a nessuno: non conosciamo a sufficienza la scienza contemporanea per poter far questo. I divieti li pone il Consiglio Mondiale. Il nostro compito, invece, consiste nel far rispettare questi divieti e nello sbarrare il cammino a fughe di informazioni, perché è proprio la fuga di informazioni, in questi casi, che porta alle più terribili conseguenze.

Evidentemente, Bromberg non voleva o non poteva capirlo. La lotta per l’abbattimento di tutte le barriere, di qualsiasi tipo, sulla strada della diffusione delle informazioni scientifiche era diventata proprio la sua idea fissa. Aveva una vivacità straordinaria e un’energia inesauribile. I suoi contatti nel mondo scientifico erano innumerevoli, e gli bastava sentire che i risultati di un promettente studio erano stati accantonati, per andare in bestia e sforzarsi di svelare, smascherate e strappare i veli.

Non c’era niente da fare con lui. Non ammetteva compromessi, perciò mettersi d’accordo con lui era impossibile, non ammetteva sconfitte, perciò era impossibile batterlo. Era inarrestabile, come un cataclisma cosmico.

Ma, evidentemente, persino l’idea più astratta ha bisogno di un punto di applicazione sufficientemente concreto. E questo punto, personificazione concreta delle forze del male, contro cui battersi, era diventato per lui il COMCON2 in generale e Sua Eccellenza in particolare. «COMCON-2!», sibilò velenoso, balzando verso Sua Eccellenza e subito ritraendosi. «Oh, santo Iddio!… Prendere l’abbreviazione nota a tutti — Commissione per i Contatti con altre civiltà! Nobile, elevata! Gloriosa! — e nascondervi dietro la sua puzzolente Confraternita! Commissione di Controllo, piuttosto! Un Complotto di Conservatori anzi, e non una Commissione di Controllo! Un Commando di Controrivoluzionari!…

In questo mezzo secolo aveva infastidito Sua Eccellenza oltre misura. Per quanto avevo potuto capire, gli aveva proprio dato fastidio, come danno fastidio le mosche o le zanzare. Ovviamente, non era in condizione di recare alcun danno sostanziale alla nostra causa. Semplicemente non era nelle sue forze. Però era nelle sue forze borbottare, schiamazzare e blaterare, distrarre dall’azione, non dare pace, scagliare frecce velenose, esigere il rigoroso adempimento di tutte le formalità, infiammare l’opinione pubblica contro il predominio delle formalità, in una parola: estenuare. Non mi sarei meravigliato se fosse venuto fuori che venti anni prima Sua Eccellenza si era tuffato nel sanguinoso disordine del pianeta Sarald soprattutto per riposarsi un po’ da Bromberg. Mi dispiaceva particolarmente per Sua Eccellenza, anche perché Sua Eccellenza è una persona non solo di princìpi, ma soprattutto molto giusta, che si rendeva pienamente conto che l’attività di Bromberg, a prescindere dalle forme che assumeva, aveva anche una funzione positiva: si trattava di una forma di controllo sociale, un controllo sul controllo.

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