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Indicò una porta laterale, dove potevano resistere meglio, limitando la loro esposizione. Gunther trascinò Anna. Mosi D’Gana si allontanò dalla bestia che aveva impalato con la lancia e aiutò il maggiore Brooks a rialzarsi. Il sangue gli colava a fiotti da un profondo morso sulla coscia.

Prima che potessero fare un altro passo, qualche metro più in là si levò un ringhio selvaggio d’avvertimento.

Qualcuno sussurrò: «Monk…»

Lisa era accovacciata sulla sagoma di Painter, accasciato al suolo, accanto a un’altra porta. Una creatura imponente, di gran lunga più grande delle altre, comparve alle loro spalle, seminascosta dalla porta e riparata dietro Lisa e Painter.

Drizzò le spalle e assunse una postura decisa, sorvegliando la sua preda, poi scoprì i denti affilati come rasoi, ringhiando, il muso grondante di sangue e saliva. Negli occhi aveva un luccichio rosso vivo. Un avvertimento.

Monk intuiva che, se qualcuno avesse sollevato un’arma, la bestia si sarebbe scaraventata sulla coppia distesa a terra. Doveva correre il rischio, ma, prima ancora che si muovesse, un grido di comando risuonò nel corridoio.

«Skuld, no!»

Monk si voltò.

In fondo al corridoio comparve Fiona. Con incedere deciso, passò davanti a due creature, ignorandole mentre si lasciavano cadere su un fianco, miagolando.

In una mano portava un Taser, che emanava lampi blu. Nell’altra aveva un altro apparecchio: l’antenna era puntata sulla bestia che minacciava Lisa e Painter. «Brutto cagnaccio!»

Con grande meraviglia di Monk, la creatura fece un passo indietro e smise di ringhiare. Come in preda a un incantesimo, ciondolò per un po’ sulla soglia. Il fuoco le si spense negli occhi, mentre si lasciava cadere sul pavimento. Emise un mugghio sommesso, quasi estatico.

Monk guardava attonito in tutte le direzioni. Gli altri mostri erano caduti sotto lo stesso incantesimo.

«I Waalenberg hanno impiantato dei chip a queste bastarde», spiegò Fiona, soppesando il dispositivo che aveva in mano. «Per controllare dolore e piacere.»

L’imponente mostro sulla porta miagolò di soddisfazione.

Monk guardò perplesso la trasmittente. «Come ti sei procurata…»

Fiona lo fissò e agitò l’apparecchio, facendo cenno di seguirla.

«L’hai rubato», capì Monk.

Lei scrollò le spalle e s’incamminò lungo il corridoio. «Diciamo che mi sono imbattuta in una vecchia amica e in qualche modo mi è finito in tasca. Lei non lo stava usando.»

Ischke, pensò Monk, mentre radunava gli altri. Aiutò Lisa a sollevare Painter. Gunther portava Anna sottobraccio, mentre Mosi e Brooks si sostenevano a vicenda. Nel complesso, erano una squadra d’assalto alquanto mal messa.

Ma erano arrivati i rinforzi.

Il branco li seguiva: una dozzina di esemplari, ma altre bestie si stavano unendo a loro, attratte dall’aura di piacere che emanava dalla ragazza, una specie di pifferaia magica dei mostri.

«Non riesco a sbarazzarmene», spiegò Fiona, balbettando un po’. Monk notò che le tremavano le mani. Era terrorizzata. «Dopo che ho trovato il bottone giusto, hanno cominciato a seguirmi dalle loro gabbie. Mi sono nascosta nella stanza dove Gray mi aveva detto di aspettare, ma devono essere rimaste nei corridoi e nelle stanze qui attorno. Vi ho sentito gridare, poi le esplosioni e…»

«Va bene», la interruppe Monk. «Ma che mi dici di Gray? Dov’è?»

«È sceso in ascensore più di un’ora fa.» Indicò un punto più avanti, dove il corridoio terminava in una balconata. «Vi faccio vedere.»

Accelerò il passo. Gli altri cercarono di starle dietro, incespicando e controllando di quando in quando il branco alle loro spalle. Fiona li condusse giù per una rampa di scale, dove trovarono l’ascensore.

Zoppicando, il maggiore Brooks raggiunse la serratura elettronica e ci infilò diverse tessere magnetiche, prima di trovare quella che facesse accendere la luce verde. Si sentì un suono di motori. La cabina stava risalendo da qualche livello più basso.

Mentre aspettavano, le iene si beavano nel piacere emanato dal dispositivo di Fiona. Alcune camminavano a passi felpati nell’atrio, tra cui quella che Fiona aveva chiamato Skuld.

Nessuno parlava, tutti tenevano d’occhio i mostri.

In lontananza, attutiti dalla porta d’ingresso, arrivavano grida e colpi d’arma da fuoco. Khamisi era nel pieno della battaglia. Quanto tempo ci avrebbe messo per raggiungerli?

Come se qualcuno avesse letto nel pensiero di Monk, i due battenti si aprirono di colpo. Spari, scoppi ed esplosioni risuonarono acuti. Le urla si fecero più intense. Gli uomini si riversarono nel palazzo: le forze dei Waalenberg battevano in ritirata. Tra loro, Monk riconobbe le sagome vestite di nero dell’élite, i fratelli di un biondo glaciale. Una dozzina, ben poco turbati, come se fossero rientrati da una giornata rinfrescante sui campi da tennis.

Mentre all’esterno infuriava ancora la guerra, le due forze si fronteggiarono nell’atrio.

La squadra di Monk arretrò, costretta contro la parete, in svantaggio numerico.

Il rapporto era cinque contro uno.

ore 15.15

Gray si allontanò da Baldric Waalenberg. «Lo tenga d’occhio», ordinò a Marcia.

Lui andò alla postazione di lavoro di Isaak, continuando a guardare il misuratore di potenza della Campana. Allungò la mano verso un interruttore che Isaak aveva usato poco prima: controllava lo schermo protettivo che circondava il dispositivo attivato.

«Che sta facendo?» chiese Baldric, il tono della voce improvvisamente preoccupato.

Allora c’era qualcosa che faceva più paura al vecchio di un proiettile. Buono a sapersi. Gray spinse indietro l’interruttore. Si udì un rombo di motori da sotto il pavimento e lo schermo cominciò ad abbassarsi. Una luce blu penetrante filtrò dal bordo superiore, mentre il cilindro di piombo si allontanava dal soffitto.

«Lo fermi! Ci ucciderà tutti!»

«E allora spenga quella dannata cosa.»

Baldric aveva lo sguardo fisso, tra lo schermo che scendeva e la console. «Non posso spegnerla, ezel! La Campana ormai è innescata. Deve scaricarsi.»

Gray alzò le spalle. «Allora la staremo a guardare mentre si scarica.»

L’anello di luce blu s’ispessiva.

Baldric imprecò e si diresse verso la console. «Ma posso neutralizzare la soluzione letale. Non recherà danno ai suoi amici.»

«Lo faccia.»

Baldric digitò rapidamente qualcosa sulla tastiera, con movimenti agili delle dita nodose. «Alzi quello schermo, però!»

«Quando lei avrà finito.» Gray sbirciava oltre la spalla dell’uomo. Vide tutti i loro nomi comparire sul monitor, assieme a un codice alfanumerico contrassegnato come Genetisch profiel. L’uomo premette il tasto DELETE quattro volte e i profili genetici furono cancellati.

«Fatto!» esclamò Baldric, voltandosi verso Gray. «Ora chiuda lo schermo!»

Gray fece scattare l’interuttore.

Si udì un cigolio dal basso, poi qualcosa si spaccò, facendo tremare il pavimento. Lo schermo di piombo si bloccò di colpo, ancora parzialmente abbassato.

Oltre il margine superiore, dal cuore della camera d’irradiazione, splendeva un sole blu. Attorno alla Campana l’aria s’increspava, mentre l’involucro esterno e quello interno giravano in direzioni opposte.

«Faccia qualcosa!» implorò Baldric.

«Il meccanismo idraulico si è inceppato», replicò Gray.

Baldric si allontanò, gli occhi sempre più spaventati a ogni passo. «Ci ha condannato tutti! Quando raggiungerà il picco di potenza, l’impulso della Campana ucciderà tutti nel raggio di otto chilometri, o peggio.»

Gray aveva paura di chiedere che cosa potesse essere peggio.

ore 15.16

Monk guardò i fucili sollevarsi contro di loro.

Inferiorità numerica.

99
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