Prese un gessetto e disegnò il simbolo.
Baldric si sporse in avanti, strizzando gli occhi. «Una ruota solare, interessante.»
Gray era rimasto accanto alla lavagna, col gesso in mano, come uno studente in attesa del verdetto dell’insegnante su un problema matematico.
«E questo è quanto avete trovato nella Bibbia di Darwin?» chiese Baldric.
Con la coda dell’occhio, Gray notò un sorriso accennato sul volto di Isaak.
Non stava andando per il verso giusto.
Baldric aspettava che Gray gli rispondesse.
«Lasciateli andare, prima», pretese Gray, indicando il monitor con un cenno del capo.
Il vecchio lo fissò negli occhi. Nonostante l’atteggiamento dissimulatorio, Gray riconobbe un’intelligenza sfrenata e un senso di crudeltà.
Il vecchio si stava divertendo un mondo. Poi pose fine allo stallo, rivolgendosi al nipote con un cenno.
«Wie eerst?» chiese Isaak. Chi per primo?
Gray s’irrigidì. Decisamente non stava andando per il verso giusto.
Baldric rispose in inglese, fissando ancora Gray, per godersi appieno lo spettacolo. «Il ragazzo, penso. La ragazza la teniamo in serbo per dopo.»
Isaak digitò un comando sulla tastiera.
Sullo schermo si vide una botola aprirsi sotto i piedi di Ryan. Il ragazzo cadde agitando le braccia e urlando, anche se loro non lo sentirono. Atterrò pesantemente tra l’erba alta e si alzò in fretta, guardandosi attorno terrorizzato. Evidentemente era consapevole di un pericolo che Gray ignorava, forse qualcosa che era attirato dal sangue che colava dalla ferita.
Gray sentì riecheggiare nella mente le parole di Ischke: Aspettiamo soltanto le istruzioni di grootvader… Poi la caccia può cominciare.
Quale caccia?
Baldric fece un cenno a Isaak, mimando la rotazione di una manopola.
Isaak premette un tasto e dagli altoparlanti proruppero grida e urla.
Si sentì chiaramente la voce di Fiona. «Corri, Ryan! Sali su un albero!»
Il ragazzo girò in tondo un’altra volta, poi si mise a correre, zoppicando, uscendo dall’inquadratura.
Gray sentì qualcuno ridere, probabilmente guardie non riprese dalla telecamera. Poi dagli altoparlanti provenne un urlo diverso, selvaggio e assetato di sangue.
Baldric mimò un taglio netto all’altezza della gola e l’audio fu azzerato.
«Non alleviamo soltanto orchidee, qui, comandante Pierce», disse il vecchio, abbandonando ogni finta cortesia.
«Lei ci aveva dato la sua parola», disse Gray.
«Se aveste cooperato!» ribatté Baldric, alzandosi con disinvoltura. Indicando la lavagna, fece un gesto con la mano, come a cancellare il disegno. «Ci ha preso per degli idioti? Sapevamo già che non c’era nient’altro nella Bibbia di Darwin. Abbiamo già tutto ciò che ci serve. Questa era soltanto una prova, una dimostrazione. Vi abbiamo portato qui per altri motivi, altre domande che richiedono una risposta.»
Quella rivelazione lasciò sbalordito Gray, che finalmente capì. «Il gas…»
«Serviva solo per stordirvi, non per uccidervi. La sua piccola messa in scena è stata divertente, però, lo devo ammettere. Adesso è ora di proseguire.»
Baldric si avvicinò allo schermo montato sulla parete. «Lei è protettivo con questa piccolina, vero? Questo fiorellino tutto pepe. Zeer goed. Le mostrerò che cosa l’attende nella foresta.»
Un cenno del capo, un tasto premuto e sul monitor comparve un riquadro con un’altra immagine. Gray sgranò gli occhi per il terrore.
Baldric proseguì. «Vogliamo sapere qualcosa di più su un certo suo complice. Ma volevo essere sicuro che i giochetti fossero finiti. Oppure le serve un’altra dimostrazione?»
Gray continuava a fissare l’immagine sullo schermo, sconfitto. «Chi?»
Baldric gli si avvicinò. «Il suo capo: Painter Crowe.»
12. UKUFA
Richards Bay, Sudafrica,
ore 06.19
Lisa si accorse che a Painter tremavano le gambe, mentre saliva i gradini d’ingresso alla sede locale della British Telecom International. C’erano andati per incontrare un agente britannico, che li avrebbe aiutati dal punto di vista logistico in un eventuale attacco alla tenuta dei Waalenberg. Erano arrivati dopo un breve viaggio in taxi dall’aeroporto di Richards Bay, importante centro portuale lungo la costa sudafricana, a un’ora di automobile dalla tenuta dei Waalenberg.
Painter si aggrappò alla balaustra, lasciando un’impronta umida. Lisa lo tenne per un braccio e lo aiutò a salire l’ultimo gradino.
«Ce la faccio da me», disse lui, con tono seccato.
Lei non reagì a quell’espressione di rabbia, sapeva che era dovuta alla frustrazione. In più, Painter era in preda a dolori atroci e aveva continuato a ingoiare pastiglie di codeina come se fossero M M’s.
Lisa si era illusa che durante il viaggio in aereo Painter potesse recuperare in parte le forze, ma la mezza giornata di volo non aveva fatto altro che peggiorare la sua debilitazione, o involuzione, a dare retta ad Anna.
La donna tedesca e suo fratello erano rimasti all’aeroporto, sotto sorveglianza. Non che fosse davvero necessario. Anna aveva trascorso l’ultima ora del viaggio a vomitare nel bagno del jet. L’ultima volta che li avevano visti, la donna era distesa sul divano tra le braccia di Gunther, con un panno bagnato sulla fronte. Aveva l’occhio sinistro iniettato di sangue e un brutto livido sull’altro. Lisa le aveva dato un antiemetico per la nausea e le aveva fatto un’iniezione di morfina. Non l’aveva detto a nessuno, ma prevedeva che Anna e Painter avessero davanti al massimo un altro giorno, prima che svanisse ogni speranza di cura.
Il maggiore Brooks, che era il solo a scortarli, aprì loro la porta, tenendo sempre d’occhio la strada, ma c’era ben poco movimento a quell’ora del mattino.
Painter entrò, con movimenti rigidi e impacciati, sforzandosi di nascondere l’andatura claudicante. Lisa lo seguì. Dopo qualche minuto, furono accompagnati a una sala conferenze, passando per un grande labirinto grigio di cubicoli e uffici. La sala era vuota. Dalle finestre si vedeva la laguna di Richards Bay. A nord c’era un porto industriale, pieno di gru e navi mercantili. A sud, separata da una diga marittima, si estendeva una parte della laguna originaria, diventata una riserva naturale, che ospitava coccodrilli, squali, ippopotami, pellicani, cormorani e gli onnipresenti fenicotteri.
Lo specchio d’acqua si stava infiammando dei colori dell’alba.
Mentre aspettavano, furono serviti tè e scone, le classiche focaccine inglesi. Painter si era già messo a sedere, e Lisa fece altrettanto. Il maggiore Brooks rimase in piedi, non lontano dalla porta.
Painter lesse una domanda nell’espressione di Lisa. «Sto bene.»
«No, non stai bene», ribatté lei sottovoce.
Per qualche motivo, quella stanza vuota la intimidiva. Lui le sorrise, con uno scintillio negli occhi. Nonostante la degenerazione del suo organismo, era ancora in sé. Si era accorta che biascicava leggermente, ma poteva essere semplicemente l’effetto dei farmaci. Sarebbe rimasto lucido fino all’ultimo?
Con un gesto quasi automatico, la mano di lei cercò la sua. Lisa non voleva che se ne andasse. Si sorprese dell’intensità schiacciante di quell’emozione. Lo conosceva appena. Voleva sapere tutto di lui: qual era il suo cibo preferito, che cosa lo faceva sbellicare dalle risate, come ballava, che cosa le avrebbe sussurrato all’orecchio dandole la buonanotte. Non voleva che svanisse tutto quanto. Gli strinse forte la mano, come se la sua sola volontà bastasse a trattenerlo.
In quel momento, la porta della sala si aprì di nuovo. Finalmente era arrivato l’agente britannico.
Lisa si voltò a guardare e rimase sorpresa. Si aspettava una specie di clone di James Bond, una spia in piena regola, con tanto di abito Armani. Invece era una donna di mezza età. Era vestita con una tenuta da safari kaki stropicciata e aveva in mano un cappello spiegazzato. Il viso era leggermente impolverato di terra rossa, tranne che attorno agli occhi: probabilmente aveva indossato un paio d’occhiali da sole fino a poco prima. Ne risultava un’espressione allarmata, che però era in contrasto con le spalle cascanti e stanche e una certa tristezza nello sguardo…