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L'ordine del sole nero - pic_30.jpg

Poi la cancellò e scrisse la serie corretta, dividendo l’ultima runa.

L'ordine del sole nero - pic_31.jpg

Baldric si avvicinò. «E questa è la serie corretta? Quella da decifrare?»

Gray disse la verità. «Sì.»

Baldric annuì, mentre rifletteva su quella rivelazione. «Credo che lei abbia ragione, comandante Pierce.»

Gray si alzò.

«Dank u», disse Baldric, poi si rivolse a Isaak: «Attiva la Campana e fai fuori i suoi amici».

ore 15.07

Lisa e Tau, il guerriero zulù, aiutarono Painter a scendere dall’elicottero. Il sedativo che gli avevano somministrato era di breve durata e l’effetto sarebbe finito di lì a qualche minuto.

Gunther sosteneva Anna, che aveva gli occhi velati. Si era iniettata un’altra dose di morfina contro il dolore, ma aveva cominciato a sputare sangue.

Davanti a loro c’erano Monk e Mosi D’Gana e ai loro piedi i cadaveri di tre sentinelle dell’eliporto. Gli agenti di sicurezza erano stati colti di sorpresa. Si aspettavano di ricevere un prigioniero. Era bastato qualche colpo esploso da un paio di pistole col silenziatore per assumere il controllo dell’area.

Monk fece cambio di posizione con Tau. «Resta qui, sorveglia l’elicottero e tieni d’occhio il prigioniero.»

Kellog era stato tirato fuori dal velivolo, ma era imbavagliato, aveva le mani ammanettate dietro la schiena e le caviglie legate. Non sarebbe andato da nessuna parte.

Monk fece cenno al maggiore Brooks e a Mosi D’Gana di fare strada. Avevano studiato tutti la mappa disegnata da Paula Kane e calcolato il percorso migliore per raggiungere il sotterraneo. Era piuttosto lontano.

Brooks e Mosi li guidarono fino all’accesso al palazzo, imbracciando i fucili d’assalto. I due si muovevano come se avessero già lavorato assieme, sincronizzati, efficienti. Anche Gunther aveva una pistola in mano e portava a tracolla un fucile a canne mozze. Armati fino ai denti, raggiunsero la porta.

Brooks scattò in avanti. Le chiavi magnetiche sottratte alle guardie aprirono loro la strada. Il maggiore e Mosi scomparvero all’interno, in avanscoperta. Gli altri rimasero indietro ad aspettare.

Monk guardò l’orologio. Il tempismo era essenziale.

Un breve fischio li raggiunse da sotto.

«Andiamo!» ordinò Monk.

Entrarono rapidamente e trovarono una breve rampa di scale che conduceva al sesto piano. Brooks era sul pianerottolo. Un’altra guardia era distesa sulle scale, col collo squarciato. Mosi era accovacciato al pianerottolo successivo, col coltello insanguinato in mano.

Continuarono a scendere per la spirale di gradini. Non incontrarono altre guardie. Come speravano, molte sentinelle erano concentrate all’esterno. L’ammassarsi dei guerrieri zulù aveva inevitabilmente attirato la loro attenzione.

Monk guardò l’orologio un’altra volta.

Raggiunto il secondo piano, lasciarono la tromba delle scale ed entrarono in un corridoio di legno lucido. Era ombroso e scuro. La luce delle lampade a muro era intermittente, come se l’impianto elettrico fosse ancora in panne dopo il blackout… Oppure qualcosa stava assorbendo un sacco di energia.

Lisa notò anche un odore di rancido.

Il corridoio terminava in un passaggio trasversale. Brooks andò in avanscoperta sulla destra, la direzione in cui dovevano andare. Ricomparve di colpo, e si appiattì contro la parete. «Indietro…»

Da oltre l’angolo provenne un ringhio feroce, di sfida, seguito da una serie di risate e guaiti eccitati. Poi un unico urlo stridente sovrastò tutto quanto.

«Ukufa», sussurrò Mosi, facendo cenno agli altri di tornare indietro.

«Via!» esortò Brooks. «Noi cercheremo di spaventarle, poi vi raggiungeremo.»

Monk trascinò via Lisa e Painter.

«Che cosa…» stava per chiedere Lisa, ma le parole le si spensero in gola.

«Qualcuno ci ha sguinzagliato dietro i cani», rispose Monk.

Gunther incespicava, trasportando di peso la sorella, che strisciava i piedi sul pavimento.

Dietro di loro ci fu un’esplosione di colpi.

I guaiti e gli ululati si trasformarono in urla di dolore e rabbia.

Corsero più forte.

Altri colpi echeggiarono, suonando quasi frenetici.

«Dannazione!» imprecò Brooks.

Lisa si guardò brevemente alle spalle.

Brooks e Mosi avevano abbandonato le loro posizioni e si affrettavano lungo il corridoio, continuando a sparare verso le bestie.

«Via, via, via!» gridava Brooks. «Sono troppe!»

Tre massicce creature dal pelo bianco comparvero da dietro l’angolo, con la bava alla bocca e il pelo ritto sul collo. Artigliavano il pavimento di legno mentre correvano a zigzag, quasi anticipando i proiettili, schivando i colpi mortali. Tutt’e tre avevano ferite sanguinanti, ma sembravano spronate, più che indebolite.

Lisa tornò a guardare avanti giusto in tempo per vedere una coppia di bestie della stessa razza uscire da direzioni opposte, alla fine del corridoio, bloccando la via di fuga.

Un’imboscata.

La possente pistola di Gunther esplose come un cannone assordante. Mancò la prima delle creature, che schivò il colpo con le movenze leggere di un’ombra.

Monk sollevò la sua arma, fermandosi.

Lisa proseguì, trasportata dallo slancio. Finì con un ginocchio a terra, trascinando con sé il corpo inerte di Painter.

Questi crollò al suolo, svegliandosi per l’impatto. «Dove…»

Lisa lo spinse a terra, mentre nel corridoio imperversava la sparatoria.

Alle sue spalle ci fu un urlo acuto. Si voltò di scatto. Una sagoma pesante e muscolosa si lanciò fuori da una porta vicina e sbatté Brooks contro il muro.

Lisa fuggì carponi, lanciando un grido.

Mosi intervenne, tuffandosi sulla bestia con la lancia in pugno e un ululato sulle labbra.

Lisa abbracciò Painter.

Quelle creature erano ovunque.

Un movimento attirò l’attenzione della donna. Un’altra bestia emerse da dietro una porta, sulla sinistra, facendo cigolare i cardini. Aveva il muso insanguinato. Gli occhi rossi brillavano nella stanza buia. Lisa ricordò l’immagine del primo monaco buddista che aveva visto, pazzo, famelico, ma ancora in grado di agire con astuzia e intelligenza.

Era la stessa cosa.

Mentre il mostro si avvicinava furtivo, scoprì i denti con un ringhio trionfante.

15. LE CORNA DEL TORO

Sudafrica,

ore 15.10

Khamisi era disteso in un fosso, coperto da un telo mimetico.

«Tre minuti», disse Paula, accanto a lui.

I due studiavano la recinzione nera col binocolo.

Khamisi aveva distribuito le forze lungo i confini del parco. Alcuni dei suoi compagni zulù camminavano in bella vista, sorvegliando le vacche lungo vecchi sentieri. C’era un gruppo di anziani con coperte sulle spalle e ornamenti tradizionali. L’assembramento era mascherato da cerimonia nuziale.

Motociclette, ATV e furgoni erano stati parcheggiati a casaccio nella zona. Alcuni dei guerrieri più giovani, tra cui anche donne, si aggiravano attorno ai veicoli; c’erano coppie strette in abbracci amorosi, altri che sollevavano coppe di legno intagliato, gridando e fingendo di essere brilli. C’era un gruppo di uomini a torso nudo, dipinti per i festeggiamenti, intenti a saltare brandendo mazze, in una danza tradizionale. E, a parte le mazze, non c’erano altre armi in vista.

Khamisi mise a fuoco l’immagine nel binocolo. Si spostò leggermente, elevando il campo visivo sopra l’alta recinzione e i rotoli di filo spinato che la sovrastavano. Vide qualche movimento nel fogliame della giungla. Le forze dei Waalenberg si erano radunate sui sentieri sospesi per sorvegliare i confini.

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