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«Forza!» esclamò.

«Metti la seconda», suggerì Fiona. «Evita la terza, bisogna tirargli il collo, a queste vecchie carrette.»

«Non ho bisogno di un secondo pilota.»

Comunque Gray obbedì. Lo scooter balzò in avanti come una puledra spaventata. Percorsero il vicolo a tutta velocità, zigzagando tra decine di bidoni della spazzatura.

Mentre le sirene strillavano, Gray si voltò a dare un’occhiata. Un’autopompa sfrecciò davanti all’entrata del vicolo, coi lampeggianti accesi, diretta al luogo dell’esplosione. Prima che Gray si voltasse, comparve una figura scura, che si stagliava contro le luci della strada alle sue spalle.

La donna che aveva sparato.

Gray diede gas e aggirò sbandando un grosso cassone da cantiere, mettendolo tra sé e la donna. Da lì, procedendo radente al muro, potevano percorrere il resto del vicolo riparati e sbucare sulla traversa davanti a loro, che splendeva come un faro.

Era la loro unica opportunità.

Gli occhi puntati sulla strada, Gray si vide parare davanti una seconda sagoma scura. Illuminati dai fari di un’auto di passaggio, i suoi capelli biondi si fecero argentati. Un altro fratello. L’uomo indossava un lungo spolverino nero. Aprendolo, scoprì un fucile a canne mozze.

La donna doveva averlo chiamato via radio, organizzando quell’imboscata.

«Tieniti forte!» urlò Gray.

L’uomo sollevò il fucile con una mano e Gray notò che aveva l’altro braccio bendato dal polso al gomito e legato al collo. Sebbene il viso fosse in ombra, Gray capì chi era.

L’assassino di Grette Neal. Le bende coprivano i segni dei morsi di Bertal.

L’uomo puntò il fucile.

Non c’era più tempo.

Gray sterzò bruscamente, facendo sbandare lo scooter di lato. Il fucile esplose un colpo smorzato, accompagnato dal fragore di una porta sfondata dai pallettoni.

Fiona guaì di paura.

Ma quello fu l’unico colpo che l’uomo riuscì a sparare, prima di tuffarsi per scansare la sbandata della Vespa. Una volta fuori dal vicolo buio, Gray diede un colpo d’acceleratore e, con un grande stridore di pneumatici, riprese il controllo dello scooter. S’intrufolò nel traffico, guadagnandosi la strombazzata di uno sdegnato automobilista alla guida di un’Audi.

Mentre procedevano, Fiona allentò la presa.

Gray faceva lo slalom tra le auto più lente, acquisendo velocità, via via che la strada scendeva sempre più ripida. La discesa terminava in un incrocio a T con un viale alberato. Gray frenò, preparandosi alla curva stretta. Lo scooter si rifiutò di obbedire. Lui guardò giù e vide qualcosa penzolare accanto alla ruota posteriore.

Il cavo dei freni.

Doveva essersi staccato durante la sbandata.

«Rallenta!» gli urlò Fiona in un orecchio.

«Il freno è andato!» ribatté lui. «Tieniti forte!»

Gray spense il motore, poi cercò di ridurre lo slancio dello scooter scartando a destra e a sinistra, come uno slalomista. Trascinò la ruota posteriore contro un marciapiede, facendo fumare la gomma.

Raggiunsero l’incrocio, andando ancora troppo forte. Tagliarono la strada a un camion.

Gray rovesciò lo scooter su un lato prima di andare a sbattere contro il marciapiede opposto.

La Vespa si ribaltò, disarcionando Gray e Fiona. La collisione fu attutita da una siepe, ma i due finirono comunque per rotolare sul marciapiede, sino a fermarsi alla base di un muro di mattoni.

Dopo essersi rimesso in piedi, Gray raggiunse Fiona. «Tutto a posto?»

Lei si alzò, più arrabbiata che dolorante. «Ho speso duecento euro per questa gonna.» Il suo vestito aveva un lungo strappo su un lato. Lo tenne chiuso con una mano e si chinò per recuperare la borsa.

L’abito Armani di Gray era messo anche peggio. I pantaloni avevano uno strappo sul ginocchio e, in quanto alla giacca, sembrava che l’avesse strofinata con una spazzola di ferro. A parte qualche graffio ed escoriazione, però, ne erano usciti indenni.

Il traffico continuava a fluire davanti al luogo del loro incidente.

Fiona s’incamminò. «Da queste parti gli incidenti in Vespa sono all’ordine del giorno. E i furti pure. Gli scooter, a Copenhagen, sono una specie di proprietà collettiva. Te ne serve uno? Prenditelo. Poi mollalo per il prossimo che passa. Non gliene frega niente a nessuno.»

Ma a qualcuno sì. Un nuovo stridore di pneumatici attirò la loro attenzione. Una berlina nera s’immise sulla strada, due isolati più indietro, e si diresse verso di loro a gran velocità. Non c’erano né edifici né vicoli. Soltanto un alto muro di cinta, oltre il quale risuonavano allegre melodie di flauti e archi.

Dietro di loro, la berlina rallentò nei pressi della Vespa abbandonata. Senza dubbio la fuga in scooter era stata riferita via radio.

«Vieni», disse Fiona.

Mettendosi la borsa a tracolla, lo condusse a una panchina ombreggiata e ci montò su. Poi, usando lo schienale per darsi lo slancio, fece un salto e si aggrappò a un ramo sopra di lei. Sollevò le gambe e le attorcigliò attorno al ramo.

«Che fai?»

«I ragazzi svegli lo fanno sempre. Entrata gratis.»

«Cosa?»

«Forza!»

Spostando una mano dopo l’altra lungo il grosso ramo, si portò oltre il muro di mattoni, poi si lasciò cadere dall’altro lato e scomparve.

La berlina ripartì lentamente.

Non avendo altra scelta, Gray seguì l’esempio di Fiona. Montò sulla panchina e saltò su. La musica fluttuava nell’aria scintillante e magica della notte. Una volta appeso a testa in giù, Gray si sporse oltre il muro di cinta. Dall’altra parte c’era un paese delle meraviglie, fatto di lanterne sfavillanti, palazzi in miniatura e passatempi funamboleschi.

Tivoli.

Il lunapark di fine secolo era situato nel cuore di Copenhagen. Dalla sua posizione sopraelevata, Gray vedeva il lago al centro del parco: uno specchio d’acqua che rifletteva migliaia di lanterne e luci. Da lì si dipartivano viali bordati di fiori, che conducevano a padiglioni illuminati, montagne russe di legno, giostre e ruote panoramiche. L’antico lunapark non era tanto una Disneyland meno tecnologica, quanto piuttosto un accogliente parco di quartiere.

Gray superò il muro di cinta muovendosi lungo il ramo.

Dall’altra parte, Fiona lo aspettava dietro un capanno degli attrezzi.

Gray sganciò le gambe e rimase appeso per le braccia. Un pezzo di corteccia esplose vicino alla sua mano destra. Spaventato, mollò la presa e cadde, facendo mulinare le braccia in cerca di equilibrio. Atterrò su un’aiuola, sbattendo un ginocchio, ma il terriccio morbido attutì la caduta. Dall’altra parte del muro si udì il brontolio di un motore e una portiera sbattuta.

Li avevano visti.

Con una smorfia in volto, Gray raggiunse Fiona, che lo guardava con occhi sgranati. Aveva sentito anche lei lo sparo. Senza una parola, fuggirono assieme, nel cuore di Tivoli.

6. IL BRUTTO ANATROCCOLO

Himalaya,

ore 01.22

Lisa era immersa in un bagno fumante di acque termali. Poteva chiudere gli occhi e immaginarsi in un costoso stabilimento idroterapico europeo. Gli accessori di quella stanza erano decisamente raffinati: morbidi asciugamani e accappatoi di cotone egiziano, un enorme letto a baldacchino con una montagna di coperte, accatastate su una trapunta di piumino d’oca alta trenta centimetri. Alle pareti erano appesi arazzi medievali e i pavimenti di pietra erano ricoperti di tappeti turchi.

Painter era nella sala adiacente, impegnato a rattizzare il fuoco del piccolo camino.

Condividevano quella confortevole cella.

Painter aveva detto ad Anna Sporrenberg che loro due stavano assieme, in America. Uno stratagemma per evitare di essere separati.

Lisa non aveva avuto nulla da ridire. Non voleva restare sola.

Anche se la temperatura era al limite dell’ebollizione, la donna aveva i brividi. Da medico, riconosceva i segni dello shock: l’adrenalina che l’aveva sostenuta fino a quel momento cominciava a svanire. Si ricordò di come si era scagliata contro quella tedesca, quasi aggredendola. Che cosa le era saltato in mente? Aveva rischiato che li facessero fuori entrambi.

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