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L’ascensore non era ancora arrivato e, anche se le porte si fossero aperte in quel momento, ci sarebbe voluto troppo tempo per salire. Non c’era modo di evitare una sparatoria.

A meno che…

Monk si accostò a Fiona. «Che ne dici di un po’ di dolore…» E indicò con un cenno del capo le iene che si erano ritirate sulle scale.

Fiona non esitò e premette un bottone.

L’effetto fu istantaneo. Fu come se qualcuno avesse appiccato il fuoco alle code delle iene. Un urlo possente proruppe da una ventina di gole. Alcune creature si gettarono dalla balconata, cadendo fragorosamente al suolo. Altre rotolarono giù dalle scale, assalendo gli uomini. Artigli e denti attaccarono qualsiasi cosa che si muovesse, in preda a una furia cieca. Gli uomini urlavano e i fucili sparavano.

Alle spalle di Monk, finalmente si aprirono le porte dell’ascensore. Entrò nella cabina, trascinando con sé Fiona e guidando Lisa e Painter.

Ci fu una raffica di colpi nella loro direzione, ma per la maggior parte le forze dei Waalenberg erano concentrate sulle iene. Mosi e Brooks rispondevano al fuoco, battendo in ritirata verso l’ascensore.

Potevano farcela, ma poi? Allertate, le guardie dei Waalenberg avrebbero dato loro la caccia.

Monk premette a casaccio i bottoni dei piani sotterranei. Ci sarebbe stato abbastanza tempo per preoccuparsene in seguito.

Ma uno dei loro non era il tipo da procrastinare.

Gunther spinse Anna tra le braccia di Monk. «La prenda! Io li terrò a bada.»

Anna si protese verso il fratello, mentre le porte si chiudevano. Gunther si allontanò e si voltò dall’altra parte, pistola in una mano, fucile nell’altra, ma non prima di aver fissato Monk, suggellando un patto silenzioso.

Proteggi Anna.

Infine l’ascensore si chiuse.

ore 15.16

Khamisi attraversava la giungla a tutta velocità, curvo sulla motocicletta. Paula Kane era seduta dietro di lui, col fucile in spalla. Un guerriero zulù e un’agente britannica. Strani compagni di lotta: gli episodi più sanguinosi della storia del Paese si erano verificati durante le guerre tra inglesi e zulù del XIX secolo.

In quel momento, però, erano una squadra ben affiatata.

«Sinistra!» gridò Paula.

Khamisi sterzò di colpo. La canna del fucile della donna passò dall’altro lato. Quando sparò, una sentinella Waalenberg cadde a terra.

Sparatorie ed esplosioni echeggiavano tutt’attorno.

D’un tratto, senza preavviso, la moto sbucò in un giardino ben curato. Khamisi frenò bruscamente, fermandosi con una sgommata sotto i rami di un salice.

Davanti a loro, il palazzo occupava l’intera visuale.

Khamisi sollevò il binocolo che portava appeso al collo e scrutò il tetto. Individuò l’eliporto dove era atterrato l’elicottero del parco. Un movimento attirò la sua attenzione. Regolò il binocolo, mettendo a fuoco una sagoma familiare: Tau. Il suo amico zulù era vicino al bordo del tetto e osservava la battaglia in atto sotto di lui.

Poi, da sinistra, dietro Tau, un’altra sagoma entrò nel suo campo visivo, con una spranga sollevata sopra la sua testa: Gerald Kellog.

«Non ti muovere», disse Paula. Poggiò il calcio del fucile sulla spalla di Khamisi e inquadrò l’uomo nel mirino di precisione. «Lo vedo.»

Khamisi aveva paura, ma restò immobile, fissando l’immagine nel binocolo.

Paula premette il grilletto e il fucile esplose un colpo assordante, che gli riecheggiò nelle orecchie.

La testa del sovrintendente Kellog si piegò all’indietro, di scatto. Tau rischiò di volare giù per lo spavento, ma finì disteso sul tetto, inconsapevole di avere appena avuto salva la vita.

Ma come se la stavano cavando gli altri, là dentro?

ore 15.17

«Ci ha condannato!» ripeté Baldric.

Gray si rifiutava di arrendersi. «Può rallentare la Campana, abbastanza per darmi il tempo di scendere a riparare lo schermo?»

Il vecchio fissava lo schermo bloccato, con la corona di luce blu. Sul suo viso era dipinta la paura. «Forse c’è un modo, ma…»

«Ma cosa?»

«Qualcuno deve entrare là dentro.» Indicò la camera d’irradiazione col bastone tremante e scosse la testa, rifiutandosi di offrirsi volontario.

Una voce li raggiunse, mentre la porta si apriva. «Ci vado io.»

Gray e Marcia si girarono, sollevando le pistole.

Il malandato gruppetto che si presentò ai loro occhi aveva dell’incredibile. Monk entrò per primo, sostenendo la donna dai capelli scuri che aveva appena parlato. Gli altri erano in gran parte estranei. Un uomo anziano di colore entrò zoppicando, con un giovane ben rasato, dal taglio di capelli militare. Erano seguiti da Fiona e da una donna bionda, alta e atletica, che dava l’impressione di avere appena finito una maratona. I due sostenevano un uomo più anziano, un peso morto, che si reggeva a fatica. Sembrava che fosse solo l’inerzia a tenerlo in piedi. Non appena la donna si fermò, lui si afflosciò. Sollevò il viso, che fino a quel momento era rimasto abbassato, e guardò Gray con occhi blu familiari.

Lui lo riconobbe e rimase scioccato. «Direttore Crowe?»

Lo raggiunse di corsa.

«Non c’è tempo», l’ammonì la donna dai capelli scuri, ancora sostenuta da Monk. Sembrava che stesse un po’ meglio di Painter. I suoi occhi studiavano lo schermo e la Campana, come se fossero oggetti familiari. «Avrò bisogno d’aiuto per entrare. E lui verrà con me.» Sollevò un braccio tremante verso Baldric Waalenberg.

«No…» gemette il vecchio.

La donna lo fulminò con lo sguardo. «Avremo bisogno di quattro mani sui condotti delle polarità. E lei conosce la macchina.»

Monk fece un cenno all’uomo di colore. «Mosi, aiuta Anna a entrare. Avremo bisogno di una scala.» Quindi si voltò verso Gray e gli strinse brevemente la mano, poi gli sfiorò la spalla, in un gesto più familiare.

«Non abbiamo molto tempo», disse Gray all’orecchio di Monk, sorpreso di quanto fosse sollevato per il suo arrivo. Era pervaso da una nuova speranza.

«Non me ne parlare.» Monk si sganciò una radio e la passò a Gray. «Fai muovere quell’affare. Io resto qui a occuparmi del resto.»

Gray prese la radio e uscì. Aveva mille domande, ma doveva rimandare a più tardi. Tenne aperto il canale radio. Udiva rumori e voci, discussioni e qualche urlo. Sentì dei passi veloci dietro di sé e diede un’occhiata alle sue spalle.

Era Fiona. «Vengo con te!» Fu al suo fianco ancora prima che raggiungesse le scale antincendio, poi sollevò una trasmittente. «In caso ti imbattessi in uno di quei mostri.»

«Pensa a starmi dietro», rispose lui.

«Ma piantala!»

Corsero fino a raggiungere il corridoio e il locale macchine del livello inferiore.

Monk parlò alla radio. «Anna e il vecchio sono dentro la camera. Naturalmente lui non ne è entusiasta. Che peccato, stavamo diventando buoni amici.»

«Monk…» lo ammonì Gray, perché si concentrasse sul compito da svolgere.

«Sto per passare la radio ad Anna, si coordinerà con te. Ah, a proposito, hai meno di un minuto. Ciao.»

Gray scosse la testa e fece per aprire con uno strattone la porta del locale.

Chiusa a chiave.

Fiona lo vide fare un secondo tentativo e sospirò. «Niente chiave?»

Gray aggrottò le sopracciglia, estrasse la pistola dalla cintura e mirò alla serratura. Il colpo echeggiò nel corridoio, aprendo un buco fumante nella porta. L’aprì con una spinta.

Fiona lo seguì. «Va bene lo stesso, immagino.»

Adesso Gray aveva davanti il gruppo motore che serviva a sollevare e abbassare lo schermo protettivo.

La radio emetteva strane scariche elettrostatiche, che andavano su e giù come le onde su una spiaggia. Dovevano essere interferenze causate dalla Campana, pensò Gray. Evidentemente Monk aveva passato la radio ad Anna.

A conferma della sua supposizione, sentì la voce concitata della donna, fra un disturbo e l’altro. Era una discussione tecnica, in una furente miscela di tedesco e olandese. Gray la ignorò quasi del tutto, mentre girava attorno al gruppo motore.

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