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«Aiuto… bitte!» Gunther si precipitò nella capanna, seguito dal maggiore Brooks.

Lisa si alzò, sollevando lo stetoscopio dal petto di Painter. Stava tenendo sotto controllo un soffio sistolico. Nell’arco di una sola mezza giornata, il picco era passato da precoce a ritardato, il che suggeriva una rapida degenerazione della stenosi della valvola aortica. Quella che prima era una modesta angina si era ormai trasformata in sincopi e mancamenti, ogni volta che l’uomo si sforzava troppo. Lisa non aveva mai visto una degenerazione così rapida. Sospettava una calcificazione della valvola cardiaca. Quegli strani depositi mineralizzati avevano cominciato a comparire in tutto il corpo di Painter, anche negli umori degli occhi.

Disteso supino, il direttore della Sigma si sollevò sui gomiti, trasalendo.

«Che succede?» chiese a Gunther.

Gli rispose il maggiore Brooks, col suo pesante accento strascicato del Sud. «È sua sorella, signore. Ha una specie di attacco… Convulsioni.»

Lisa prese il suo kit medico. Painter cercò di alzarsi, ma al secondo tentativo dovette essere assistito da Lisa. «Resta qui», lo ammonì lei.

«Ce la faccio», replicò lui, palesemente irritato.

Lisa non aveva tempo di discutere e gli lasciò andare il braccio, poi si precipitò da Gunther. «Andiamo.»

Brooks aspettò, incerto se seguirli oppure se aiutare Painter. Questi lo allontanò con un cenno e si mise a zoppicare dietro di loro.

Lisa corse fuori dalla capanna e si diresse verso quella vicina. Fu investita dal caldo, come se fosse entrata in un forno. L’aria era immobile, incandescente, impossibile da respirare. Il sole era accecante. Ma, dopo un attimo, Lisa si stava già chinando per entrare nella più fresca oscurità dell’altra capanna.

Anna era distesa su una stuoia d’erba, appoggiata per metà su un fianco, il corpo inarcato, i muscoli contratti. Lisa corse da lei. Le aveva già collocato un catetere intravenoso nell’avambraccio. Anche Painter ne aveva uno. Così era più facile somministrare a entrambi farmaci e flebo.

Lisa si appoggiò su un ginocchio e le somministrò una dose già misurata di diazepam. Nel giro di qualche secondo, Anna si rilassò, ricadendo a terra. Sbatté le palpebre e aprì gli occhi, riprendendo coscienza, stordita, ma vigile.

Arrivò Painter, seguito da Monk. «Come sta?»

«Secondo te?» chiese Lisa, esasperata.

Gunther aiutò la sorella a mettersi seduta.

Aveva il viso cinereo, coperto da un velo di sudore. Painter era destinato a fare la stessa fine nel giro di un’ora. Sebbene fossero stati esposti in ugual misura alle radiazioni, la maggiore stazza e il maggior vigore fisico di Painter lo sostenevano un po’ meglio. Ma a entrambi non rimaneva che qualche ora di vita.

Lisa guardò lo spiraglio di luce che entrava nella capanna da una finestra a fessura. Il crepuscolo era troppo lontano.

Monk interruppe quel silenzio gravoso. «Ho parlato con Khamisi. Dice che si sono appena spente tutte le luci in quel dannato palazzo.» Accennò un sorriso, come se dubitasse che eventuali buone notizie fossero ben accette. «Immagino che sia opera di Gray.»

Painter aggrottò le sopracciglia. Era l’unica espressione di cui sembrava capace da qualche tempo. «Questo non lo sappiamo.»

«E non sappiamo neanche il contrario.» Monk si passò una mano sulla testa rasata. «Signore, penso che dobbiamo considerare la possibilità di anticipare l’intervento. Khamisi dice…»

«Khamisi non comanda questa operazione», lo interruppe Painter, tossendo forte.

Monk guardò Lisa. I due avevano parlato in privato venti minuti prima. Era uno dei motivi per cui l’agente aveva chiamato Khamisi. Bisognava verificare alcune opportunità.

Monk fece un cenno col capo.

Lisa tirò fuori dalla tasca una seconda siringa e affiancò Painter. «Lascia che ti sciacqui il catetere. C’è rimasto del sangue.»

Painter sollevò il braccio tremante.

Lisa gli sostenne il polso e iniettò la dose. Monk si portò accanto a Painter e lo afferrò, mentre gli cedevano le gambe.

«Che…» La testa di Painter ciondolò all’indietro.

Monk lo sostenne con una spalla sotto l’ascella. «È per il suo bene, signore.»

Painter guardò di traverso Lisa e allungò l’altro braccio verso di lei. Se fosse per colpirla o per esprimere lo shock perché lei l’aveva tradito probabilmente non lo sapeva nemmeno lui. Il sedativo gli fece perdere conoscenza.

Il maggiore Brooks rimase a guardare, con la bocca spalancata per lo stupore.

Monk alzò le spalle, rivolgendosi al militare dell’Air Force: «Mai visto un ammutinamento prima d’ora?»

Brooks si riprese. «Posso dire solo una cosa, signore: era ora!»

«Khamisi sta arrivando col pacchetto. Tempo d’arrivo previsto: tre minuti. Lui e la dottoressa Kane rileveranno il supporto logistico qui all’accampamento.»

Lisa si rivolse a Gunther: «Riesci a portare tua sorella?»

Come per dimostrarlo, la prese tra le braccia e la sollevò.

«Che state facendo?» chiese Anna, debole.

«Voi due non durerete fino a questa notte», disse Lisa. «Proveremo a raggiungere la Campana.»

«Come?»

«Non si arrovelli quella bella testolina», rispose Monk, e uscì arrancando, sostenendo Painter assieme al maggiore Brooks. «Ci pensiamo noi.»

Monk e Lisa si guardarono un’altra volta. Lei capì la sua espressione.

Forse era già troppo tardi.

ore 14.41

Gray fece strada su per le scale, pistola alla mano. Lui e Marcia si muovevano il più silenziosamente possibile. Lei teneva la mano sulla torcia, riducendo l’illuminazione al minimo indispensabile, quanto bastava per vedere dove stavano andando. Con gli ascensori fuori uso, Gray temeva di imbattersi in qualche sentinella sulle scale. Sebbene fosse travestito da guardia a sua volta e fingesse di accompagnare una ricercatrice fuori dal seminterrato, preferiva evitare incontri superflui.

Passarono al sesto livello sotterraneo, buio come il precedente.

Gray proseguì, accelerando il passo, compensando la cautela col timore che a un certo punto scattassero dei generatori secondari. Passato il pianerottolo successivo, videro una luce.

Sollevando una mano, Gray intimò a Marcia di fermarsi.

La luce non si muoveva. Era stazionaria.

Non era una guardia: probabilmente una lampada d’emergenza.

Eppure…

«Resti qui», sussurrò a Marcia. Gray proseguì, la pistola sollevata e pronta all’uso. Al pianerottolo successivo, la luce filtrava da una porta semichiusa. Avvicinandosi, sentì delle voci. Più su, le scale erano buie. Come mai c’erano luce e corrente, lì? Quel livello doveva essere servito da un circuito separato.

Le voci echeggiavano lungo il corridoio.

Erano voci familiari: Isaak e Baldric.

Non li vedeva, erano dentro la stanza. Guardò giù e vide il volto di Marcia stagliarsi nella luce che si riversava dalle scale. Le fece cenno di raggiungerlo.

Anche lei sentì le voci.

Isaak e Baldric non sembravano preoccupati del blackout. Si erano accorti che nel resto del palazzo mancava l’elettricità? Gray tenne a bada la sua curiosità. Doveva avvisare Washington.

«La Campana li ucciderà tutti», disse Baldric.

Gray si fermò. Stavano parlando di Washington? In tal caso, quali erano i loro piani? Se avesse scoperto qualcosa di più…

Fece un altro cenno a Marcia, sollevando due dita. Due minuti. Se non fosse stato di ritorno, lei sarebbe dovuta andare avanti da sola. Le aveva lasciato la sua seconda pistola. Forse vedere quella Campana poteva fare la differenza tra salvare delle vite e perderle.

Sollevò le due dita un’altra volta.

Marcia annuì. Se lui fosse stato catturato, sarebbe dipeso tutto da lei.

Gray s’infilò nella fessura, senza nemmeno toccare la porta, temendo che anche il minimo cigolio dei cardini potesse allarmare i due all’interno. Davanti a lui si estendeva un corridoio grigio illuminato da lampade al neon, come quello del piano inferiore. Ma terminava a breve distanza, con una doppia porta d’acciaio, di fronte all’ascensore buio.

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