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Molo, Zuppa Cinese, Vlad, Dumper e Tom il Matto risero. Non avevano dimenticato neppure loro.

Anche Ender rise. La cosa era divertente. Gli adulti prendevano i loro giochi da adulto con adulta serietà, e i ragazzi ci stavano e accettavano di giocarli, finché a un certo punto gli adulti passavano il limite, si strappavano la maschera e lasciavano indovinare che la loro serietà era fatta di regole abbastanza sporche. Lascia perdere, Mazer. Non ci tengo molto a passare il tuo esame, e non ci tengo per nulla a giocare con le tue regole. Se ti piace imbrogliare, lo stesso posso fare io. Non lascerò che la slealtà sia l’arma con cui mi batti… io sarò ancora più sleale di te.

Nell’ultima battaglia alla Scuola di Guerra lui aveva vinto ignorando il nemico, ignorando le proprie perdite; s’era mosso contro la porta del nemico.

E la porta del nemico era in basso.

Se infrango le regole anche qui, non mi daranno mai un posto di comando. Questa gente non ama stabilire dei precedenti pericolosi. Non mi daranno mai più un simulatore in mano. E questa sarà la mia vittoria.

In fretta sussurrò alcuni comandi nel microfono. Gli squadroni si raggrupparono e si strinsero in una formazione cilindrica e compatta, un proiettile puntato al centro della vasta massa di navi nemiche. Gli Scorpioni, lungi dal farsi avanti, sembrarono dargli il benvenuto, ben contenti di circondarlo e mostrargli che era condannato a morte ancora prima di cominciare a farlo a pezzi. Mazer sta almeno prendendo nota del fatto che in qualche modo hanno imparato a rispettarmi, pensò Ender. E questo mi darà tempo.

Fece muovere la sua formazione in basso, poi a destra e a sinistra, mostrandosi spaurito e indeciso sul da farsi ma avvicinandosi sempre più al pianeta nemico. Gli Scorpioni gli si addensavano attorno inesorabilmente, finché lo ebbero a portata dei grossi laser da battaglia. In quel momento la flotta di Ender sembrò esplodere in tutte le direzioni, come se fosse impazzita e in preda al caos. Gli ottanta Angeli Neri non seguirono alcuno schema tattico: cominciarono a sparare all’impazzata salve di missili, schizzando qua e là e cercando ognuno di aprirsi a caso una via di fuga nelle viscere dell’immensa formazione nemica.

Dopo qualche minuto di battaglia, tuttavia, Ender diede un altro ordine e una dozzina fra incrociatori e astrocaccia superstiti tornarono a riunirsi. Ma adesso erano al di là di uno dei più consistenti gruppi di navi nemiche; pur subendo perdite disastrose erano riusciti a oltrepassarlo, e avevano coperto più della metà della distanza che li separava dal pianeta.

Gli Scorpioni hanno aperto gli occhi, ora, pensò Ender. Sicuramente Mazer ha capito cosa sto per fare.

O forse Mazer non può credere che io voglia farlo. Be’, tanto meglio per me.

La sua piccola flotta fece delle diversioni qua e là, evitando i laser che cercavano il metallo degli scafi e dando massima energia agli scudi per respingere i missili, mentre gli Angeli Neri fingevano qualche attacco per riunirsi subito dopo agli incrociatori. Le navi nemiche continuavano a riunirsi, e per i nove decimi sul lato esterno, come per tagliare fuori i terrestri da un possibile ritorno nello spazio aperto. Bene, pensò Ender. Intrappolateci pure.

Mormorò un ordine nel microfono, e le astronavi terrestri accelerarono alla massima velocità verso la superficie del pianeta. Sia gli incrociatori che gli astrocaccia stavano andando alla distruzione, perché i loro scafi non avrebbero sopportato il surriscaldamento dopo l’ingresso nella stratosfera. E rallentare avrebbe significato finir preda dei laser da battaglia da cui l’unica difesa era la velocità di spostamento. Ma Ender non intendeva neppure avvicinarsi alla stratosfera. Fin dall’inizio di quella manovra ognuna delle sue astronavi stava mettendo a fuoco i raggi convergenti del suo Little Doc su una cosa sola: il pianeta stesso.

Il fuoco delle navi da battaglia che chiudevano verso di loro era infernale. In quell’incubo di raggi roventi come il cuore di una stella un incrociatore terrestre esplose, per altri due, e un quarto, tre astrocaccia svanirono in una nube atomica, e quindi ancora un incrociatore, e un altro… era un massacro, e continuava ad esserci l’incognita: quante navi sarebbero sopravvissute abbastanza da giungere a portata di tiro? Sarebbero bastati pochi attimi, una volta che i due raggi dell’arma avessero potuto convergere in corrispondenza della superficie. Un secondo con il Dr. Device, questo è tutto ciò che chiedo. Ender rifletté che forse il computer non era neppure equipaggiato con un programma che mostrasse le conseguenze dell’attacco di Little Doc a una massa planetaria. Cosa posso fare, allora? Dire «Bang! Siete morti»?

Ender si appoggiò allo schienale della poltroncina e restò a osservare quel che avrebbero fatto i suoi uomini, o meglio i pochi piloti e gli addetti ai sistemi d’arma superstiti. C’era un solo incrociatore, adesso, e osservato dalla sua prospettiva il pianeta distava meno di cinquantamila chilometri. L’astronave filava verso di esso come una bomba. Sicuramente siamo a portata, ora, pensò Ender. Ci siamo… i raggi sono andati a fuoco. E vediamo adesso come se la cava il computer.

Poi la superficie verde e azzurra di quel mondo striato di nuvole, che occupava una buona metà del campo del simulatore, cominciò a ribollire. D’un tratto ci fu un’esplosione di lava ardente, che schizzò fin nello spazio investendo l’astronave da cui Ender osservava la scena. Era vano cercar d’immaginare cosa succedeva sotto le nubi di vapore, ma si vedeva balenare l’azzurro del campo di disgregazione molecolare. Lo sferoide crebbe come un’apocalittica bolla d’energia, trasformando in polvere inerte perfino la lava che scaturiva dalle viscere squarciate di quel mondo. Nubi di atomi invadevano lo spazio.

Nel giro di altri tre secondi il pianeta cessò di essere una cosa solida e divenne un globo di foschia luminosa il cui diametro aumentava a incredibile velocità. L’astronave terrestre fu la prima a trasformarsi in una sventagliata di molecole quando ne fu investita, e a quel punto il simulatore trasferì automaticamente la prospettiva visuale a un astrocaccia, probabilmente l’unico superstite degli Angeli Neri dispersi all’inizio dell’azione, che stava filando via nello spazio in cerca di salvezza. Era a circa trecentomila chilometri dal pianeta, e da lì si vedeva soltanto un’immagine sferica in espansione, più veloce delle navi degli Scorpioni, le quali tuttavia sembravano aver rinunciato ad allontanarsi. Da lì a poco anche l’immensa flotta fu assorbita da Little Doc, e uno dopo l’altro i puntini di luce che erano i loro propulsori si spensero, polverizzati nell’alone azzurro che li inghiottiva.

Soltanto al perimetro della zona mostrata dal simulatore il campo di disgregazione molecolare s’indebolì. Due o tre navi nemiche ne erano rimaste fuori, e neppure l’astrocaccia che fungeva da punto di vista ne fu colpito. Ma dove prima c’erano migliaia di astronavi e il pianeta che esse avevano protetto, non restava più nulla di concreto. La sua massa però non aveva cessato di esistere, e al centro di quel campo gravitazionale già la polvere tornava ad infittirsi: i detriti si riunivano, cominciavano a surriscaldarsi e a fondersi, e in qualche settimana di tempo in quel luogo si sarebbe formato un nuovo pianeta primordiale, un po’ più piccolo di quello ormai svanito.

Ender si tolse la cuffia, nei cui auricolari cicalavano le voci dei suoi comandanti di squadrone, e soltanto allora si accorse che il pubblico seduto dietro di lui faceva un gran chiasso. Gli ufficiali in uniforme si stavano abbracciando l’un l’altro, gridando e ridendo; alcuni piangevano; altri s’erano inginocchiati a mani giunte, e stupefatto Ender si accorse che stavano pregando. Non riuscì a capirne il perché. C’era qualcosa di sbagliato. Avrebbero dovuto essere seccati e irritati.

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