— Perché siamo in guerra con gli Scorpioni?
— Ho sentito ipotesi di ogni genere — disse Graff. — Perché hanno problemi di sovrappopolazione e devono colonizzare; perché non sopportano l’idea di dividere l’universo con altre specie intelligenti; perché non pensano che noi siamo una forma di vita intelligente; perché hanno una religione fanatica e selvaggia; perché hanno ricevuto le nostre trasmissioni televisive e deciso che siamo dei pazzi criminali… e chi più ne ha più ne metta.
— Lei cosa crede?
— Poco importa ciò che credo io.
— Vorrei saperlo lo stesso.
— Loro comunicano in modo assoluto, Ender, mente a mente. Ciò che uno pensa diventa il pensiero di un altro, ciò che uno ricorda diventa il ricordo di un altro. Perché avrebbero dovuto sviluppare un linguaggio? A cosa servirebbe loro leggere e scrivere, quando possono vedere e sapere tutto attraverso le menti degli altri? Lo stesso nostro concetto di comunicazione dev’essere estraneo a dei telepatici. Dunque non si tratterebbe di tradurre dal nostro linguaggio al loro, perché non posseggono neppure il concetto stesso di linguaggio. E altrettanto inutile sarebbe cercare di contattarli con i più diversi mezzi di segnalazione, poiché la cosa per loro non avrebbe significato. E magari loro hanno cercato di contattarci telepaticamente, e non hanno capito perché mai non abbiamo risposto.
— Così la guerra è scoppiata perché non potevamo parlarci?
— Se incontri qualcuno che non può farti capire in nessun modo chi è e cosa pensa, non sarai mai sicuro che non cercherà di ammazzarti.
— Cosa succederebbe se li lasciassimo cuocere nel loro brodo?
— Ender, non siamo stati noi ad andare a casa loro. Sono venuti qui. Se avessero intenzioni pacifiche ce lo avrebbero fatto capire evitando di invadere il nostro sistema.
— Forse non hanno capito che siamo una specie intelligente. Forse…
— Ender, credimi, si è discusso per un secolo di quest’argomento. Nessuno conosce la risposta. E quando si torna al punto, la decisione da prendere può essere una sola: se una delle due razze dev’essere distrutta, meglio assicurarsi maledettamente bene che non sia la nostra. La stessa eredità genetica umana ci preclude altre scelte. La natura non lascia evolvere specie prive dell’istinto di sopravvivenza. L’individuo singolo può decidere di sacrificare la sua vita, ma la razza nel suo insieme non può mai scegliere il rischio dell’estinzione. Così, se ci riusciremo, stermineremo gli Scorpioni dal primo all’ultimo; nello stesso modo in cui loro, potendo, distruggerebbero noi.
— In quanto a me — disse Ender, — voto a favore della sopravvivenza.
— Lo so — annuì Graff. — È per questo che sei qui.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
IL MAESTRO DI ENDER
— Se l’è presa comoda, eh, Graff? Il viaggio ha richiesto il suo tempo, ma tre mesi di vacanza mi sembrano un po’ troppi.
— Preferisco consegnare al cliente un prodotto non deteriorato.
— Ci sono uomini che semplicemente non hanno il senso dell’urgenza. Oh, be’, dopotutto c’è in gioco soltanto il destino del mondo. Ma abbia pazienza con me. Qui dentro si rischia di diventare stupidamente ansiosi, no? Sempre attaccati all’ansible, sempre in ascolto dei rapporti delle nostre astronavi, giorno dopo giorno di fronte al costante avvicinarsi della guerra. Sempre che li si possano chiamare giorni. Bene, ho visto che si tratta di un ragazzino davvero molto giovane.
— C’è una certa grandezza in lui. Una grandezza spirituale.
— E anche l’istinto del killer, voglio sperare.
— Sì.
— Abbiamo programmato un corso di studi su misura per lui. Il tutto condizionato al suo beneplacito, naturalmente.
— Ci darò un’occhiata. Non pretendo però di conoscere le materie in oggetto, ammiraglio Chamrajnagar. Io sono qui solo perché conosco Ender. Così abbandoni pure il timore che io modifichi gli studi da lei programmati. Tutt’al più il loro ritmo.
— Ci sono argomenti che lei consiglia?
— Non fategli sprecare il suo tempo con la fisica dei viaggi interstellari.
— E per quanto riguarda l’ansible?
— Gli ho parlato anche di questo, e delle nostre flotte. Sa che arriveranno a destinazione fra cinque anni.
— Sembra che ci abbiate lasciato ben poco da dirgli.
— Dovrete spiegargli come funzionano i sistemi d’arma. Per prendere decisioni efficaci bisogna che conosca i particolari tecnici.
— Dunque serviremo anche noi a qualcosa, infine. È bello saperlo. Abbiamo riservato uno dei cinque simulatori per suo uso esclusivo.
— Cosa mi dice degli altri?
— Gli altri simulatori?
— Gli altri ragazzi.
— Lei è stato assegnato qui per occuparsi di Ender Wiggin.
— Pura curiosità. Non dimentichi che sono stati tutti miei studenti.
— E adesso sono tutti miei. Si stanno addentrando nei misteri della flotta, colonnello Graff; misteri ai quali lei, come soldato, non è mai stato introdotto.
— Ne parla come se fosse una religione.
— Con un Dio, e con dei sacerdoti. Anche quelli di noi che comandano a mezzo ansible conoscono la sublime grandezza del volo fra le stelle. Vedo che lei sembra trovar biasimevole il mio misticismo. Le assicuro che la sua disapprovazione nasce soltanto dall’ignoranza. Ben presto anche Ender Wiggin conoscerà ciò che conosco io; danzerà anch’egli la dolce e spettrale danza fra le costellazioni, e se in lui c’è grandezza essa scaturirà dal suo spirito, rivelata, affinché il resto dell’universo ne apprenda la nobiltà. Lei ha un’anima di pietra, colonnello Graff, ma anche la pietra può assumere forma, sfiorata dallo scalpello della verità. Adesso può andare nel suo alloggio e sistemare il bagaglio.
— L’unico bagaglio che mi sono portato dietro ce l’ho indosso.
— Vuol dire che non possiede niente?
— La vile moneta che mi pagano viene misticamente raccolta dai sacerdoti del denaro, sulla Terra, nei sacri recessi di qualche banca. Non ho mai avuto bisogno di niente, a parte un abito civile per la mia recente… vacanza.
— Un potenziale francescano. E tuttavia lei è disgustosamente ingrassato. Ascetismo e ghiottoneria dunque? Quale contraddizione!
— Quando sono teso, io mangio. Là dove voi, evidentemente, reagite alla tensione espellendo dal corpo rifiuti mistici.
— Lei mi piace, colonnello Graff. Penso che finiremo per intenderci.
— Non si aspetti da me l’identico sforzo, ammiraglio Chamrajnagar. Io sono venuto qui per Ender. E né lui né io siamo venuti qui per lei.
Ender detestò Eros fin dal momento in cui scese dalla navetta di collegamento. Era stato abbastanza a disagio sulla Terra, dove ogni pavimentazione era piatta, ma nell’asteroide c’era di peggio. Si trattava di un blocco di roccia lungo e affusolato, largo soltanto sei chilometri e mezzo nel punto più stretto. Poiché la superficie del pianetino era interamente coperta da fotocellule che trasformavano in energia la radiazione solare, tutti abitavano in ambienti dalle pareti liscie collegati da tunnel che si ramificavano nelle viscere rocciose. Vivere in uno spazio chiuso non era certo un problema per Ender; ciò che lo colpì fu la constatazione che tutti i tunnel si piegavano visibilmente verso il basso. Fin dall’inizio questo gli diede una spiacevole e vertiginosa sensazione, specialmente quando passava nel tunnel che girava lungo la circonferenza più esterna di Eros. Il fatto che la gravità fosse metà di quella terrestre non gli era affatto d’aiuto, anzi incrementava l’illusione ottica d’essere sul bordo di un lungo precipizio.
C’era qualcosa di molto antipatico anche nelle proporzioni dei locali: i soffitti erano troppo bassi per la loro ampiezza, e i tunnel troppo stretti. Non era un posto costruito a misura d’uomo.