Литмир - Электронная Библиотека

— Oooh! Oooh, sto per morire, sto per morire! Ender ha massacrato a calci un pomodoro, e ora sta per uccidere anche me.

Non c’era niente da fare con lui. Peter aveva il cuore di un omicida, e soltanto Valentine e Ender sapevano fino a che punto questo fosse vero.

La loro madre tornò a casa e compatì dolcemente Ender per la perdita del monitor. Rientrò anche il padre, e il suo commento fu che quella era una piacevole sorpresa, erano fortunati ad avere tre figli così eccezionali, e ancor più per il fattto che il governo adesso non si sarebbe preso nessuno di loro, cosicché avrebbero potuto tenerli con loro, compreso il Terzo… finché Ender non lo interruppe gridando: — Io lo so che sono un Terzo, io lo so! E se volete me ne vado via, così non vi vergognerete più davanti a tutti. E mi dispiace che mi abbiano levato il monitor, e che non avrete più niente da dire quando vi chiederanno perché avete tre figli, e che vi metterò in imbarazzo. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…

Quella sera giacque a letto fissando il buio a occhi aperti. Nella cuccetta sopra la sua Peter tossiva e si rigirava incessantemente. Dopo un po’ il fratello scese e attraversò la camera. Ender sentì lo scroscio dell’acqua nel bagno, poi la silouette di Peter si stagliò sulla porta e i suoi passi si avvicinarono in silenzio.

Crede che io dorma. Sta per uccidermi.

Peter giunse accanto al letto, ma invece di arrampicarsi sulla cuccetta superiore si fermò. Ender lo sentì a un palmo dalla sua testa.

Non prese un cuscino per cercare di soffocarlo. In mano non aveva nulla che potesse sembrare un’arma.

Si chinò e sussurrò: — Ender, mi dispiace, scusami. So cos’hai provato, perdonami, io sono tuo fratello e ti voglio bene.

Molto tempo dopo Ender sentì il suo respiro lento e capì che s’era addormentato. Si strappò via il cerotto dalla nuca. E per la seconda volta in quel giorno pianse in silenzio.

CAPITOLO TERZO

GRAFF

— La sorella è il nostro punto più debole. Le vuol bene davvero.

— Lo so. Lei può bloccarci. Il ragazzo non vuole lasciarla.

— Perciò, cosa intendete fare?

— Lo persuaderemo che desidera venire con noi più di quanto voglia restare con lei.

— In che modo pensa di riuscirci?

— Gli mentirò.

— E se non funziona?

— Allora gli dirò la verità. Ci è concesso farlo, in caso di emergenza. Abbiamo linee di condotta pronte per ogni circostanza, lo sa.

All’ora di colazione Ender non aveva un briciolo d’appetito. Stava cominciando a chiedersi come sarebbe stata, a scuola. Affrontare Stilson dopo la zuffa del giorno prima. Cos’avrebbero fatto gli altri della sua banda? Probabilmente nulla, ma di questo non poteva essere sicuro. Scoprì che non aveva voglia di andarci.

— Ender, non hai ancora mangiato niente — disse sua madre.

Peter entrò in cucina. — Buongiorno, Ender. Grazie per aver lasciato tutti gli asciugamani bagnati, nella doccia.

— Per te farei questo ed altro — mormorò lui.

— Andrew, devi mangiare.

Ender tese un braccio e le porse la parte interna del gomito, in un gesto che diceva: allora nutritemi attraverso un ago.

— Molto divertente — sospirò sua madre. — Non c’è bisogno che io mi preoccupi per voi, vero? È bello avere figli tanto geniali.

— Sono i tuoi geni che ci hanno fatti cosi geniali, mamma — disse Peter. — Per fortuna i geni di papà quel giorno erano in ferie.

— Ti ho sentito — borbottò suo padre, senza alzare gli occhi dal video-giornale acceso sul piano del tavolo.

— In caso contrario la mia battuta sarebbe andata sprecata.

Il tavolo emise una nota musicale. Qualcuno era alla porta.

— Chi può essere? — chiese la donna al marito.

Lui sfiorò un pulsante della tastiera e sul video della cucina apparve la figura di un uomo, a mezzo busto. Indossava una uniforme, l’unica riconoscibile all’istante in tutto il pianeta: quella della Flotta Internazionale.

— Credevo che con questa faccenda avessimo chiuso — disse il padre.

Peter tacque, limitandosi a versare il latte nel suo piatto di cereali. Ma Ender s’era irrigidito. Forse oggi non dovrò andare a scuola, dopotutto.

Suo padre batté il codice d’apertura per la porta e si alzò da tavola. — Me ne occupo io — disse. — Voi fate colazione.

Gli altri annuirono, ma nessuno cominciò a mangiare. Qualche minuto dopo l’uomo riapparve sulla soglia e accennò alla moglie di seguirlo in soggiorno.

— Sei nei guai fino al collo — commentò Peter. — Hanno scoperto quel che hai fatto a Stilson, e adesso sarai deportato sulla Cintura degli Asteroidi.

— Ho soltanto sei anni, idiota. Sono troppo giovane.

— Sei un Terzo, caccola. Voi non avete diritti civili.

Valentine fece il suo ingresso in cucina, insonnolita e coi capelli scompigliati intorno al volto. — Dove sono mamma e papà? Oggi mi sento troppo male per andare a scuola.

— Un altro esame orale, eh? — chiese Peter.

— Oh, taci, Peter — disse Valentine.

— Dovresti essere tranquilla e riderci sopra — continuò Peter. — Potrebbe andarti peggio.

— Non vedo come.

— Potrebbe essere un esame anale.

— Davvero spiritoso, proprio — disse Valentine. — Dove sono mamma e papà?

— Stanno parlando con un tipo della F.I.

D’impulso lei guardò Ender. D’altronde ormai da anni si aspettavano che qualcuno venisse a dir loro che Ender aveva superato l’esame, che c’era bisogno di lui.

— Certo, è giusto che tu pensi a lui — annuì Peter. — Ma potrebbe essere per me, lo sai. Loro potrebbero aver capito che a conti fatti io resto il migliore. — Il suo tono era aspro, come sempre quando si sentiva ferito.

La porta fu aperta. — Ender — disse suo padre, — meglio che tu venga un momento qui.

— Condoglianze, Peter — sorrise Valentine.

L’uomo si accigliò. — Ragazzi, non è cosa su cui scherzare.

Ender lo seguì in soggiorno. L’ufficiale della F.I. si alzò nel vederli entrare, ma non accennò a porgere la mano al bambino.

Sua madre si stava tormentando nervosamente l’anello nuziale. — Andrew — mormorò, — non avrei mai creduto che tu facessi il prepotente in una zuffa.

— Il figlio degli Stilson è all’ospedale — disse suo padre. — L’hai fatta grossa, Ender. Non è esattamente cavalieresco prendere qualcuno a calci in faccia.

Ender scosse il capo. S’era aspettato che per la faccenda di Stilson venisse qualcuno della scuola, non certo un ufficiale della F.I. La cosa era ancora più seria di quanto avesse creduto. E tuttavia non capiva che altro di grave potesse aver fatto.

— Hai una spiegazione per il tuo comportamento, giovanotto? — domandò l’ufficiale.

Ender scosse ancora il capo. Non sapeva cosa dire, e temeva che spiegarsi lo avrebbe fatto apparire ancor più spregevole di quel che i fatti nudi e crudi rivelavano. Accetterò la punizione, qualunque sia, si disse. Anche questa passerà.

— Siamo propensi a considerare le circostanze attenuanti — disse l’ufficiale. — Ma è mio dovere sottolineare la gravità del caso. Colpirlo al ventre, e ripetutamente in faccia e al corpo mentre era a terra… c’è da pensare che tu ci provassi gusto.

— Io no, signore — sussurrò Ender.

— Allora perché l’hai fatto?

— Con lui c’era la sua banda — disse Ender.

— E con ciò? Questo giustifica tutto?

— No, signore.

— Dimmi perché hai continuato a colpirlo. Avevi già vinto.

— Buttandolo a terra avevo vinto solo il primo scontro. Io volevo vincere subito anche i prossimi, definitivamente, cosi mi avrebbero lasciato in pace. — Ender non poté evitarlo, era troppo spaventato, troppo vergognoso di quel che aveva fatto: malgrado ogni tentativo di controllarsi scoppiò di nuovo in lacrime. Piangere non gli piaceva, e lo faceva di rado, ma ecco che adesso in meno di ventiquattr’ore gli succedeva per la terza volta. E la cosa più vergognosa era piangere così davanti ai suoi genitori e a quello sconosciuto in divisa. — Voi mi avete levato il monitor — ansimò. — Dovevo cavarmela da solo, si o no?

4
{"b":"121254","o":1}