Литмир - Электронная Библиотека

Odiava quella gente e i loro giochi. Li odiava al punto che non seppe frenare le lacrime, con gli occhi fissi sulla lettera fatta su ordinazione. E i ragazzi dell’orda delle Fenici che se ne accorsero distolsero lo sguardo. Ender Wiggin che piangeva? Questo era preoccupante. Stava accadendo qualcosa di terribile. Il miglior soldato di tutte le orde disteso in lacrime sulla sua cuccetta. Nella camerata scese un silenzio profondo.

Ender cancellò la lettera, la spazzò via dalla sua memoria e richiamò sullo schermo la partita libera. Non sapeva bene cosa lo rendesse tanto ansioso di riprendere il gioco, di tornare alla Fine del Mondo, ma agì in modo da arrivarci senza sprecare tempo. Soltanto quando spinse lo sguardo sui colori autunnali di quel fiabesco mondo pastorale, soltanto allora capì cos’aveva detestato di più nella lettera di Val. Tutto ciò che diceva era in relazione con Peter, puntualizzava il fatto che lui non era come Peter: parole che Valentine aveva detto così spesso quando lo abbracciava per confortarlo mentre lui tremava di rabbia o di paura o di disgusto per i tormenti che il fratello gli aveva inflitto. Questo era più o meno tutto il contenuto della lettera.

E questo era ciò che loro avevano ordinato. I bastardi ne erano informati, e sapevano di Peter nello specchio della stanzetta di pietra, sapevano tutto, e per loro Val era soltanto uno strumento da usare per controllare lui, un altro trucco da mettere in atto. Dink aveva ragione: il nemico erano loro, e non amavano nessuno, e nulla gli importava, e perciò lui non avrebbe fatto quel che volevano, e di questo avrebbero potuto stare maledettamente certi. Lui aveva avuto un solo ricordo degno d’essere ricordato, una sola cosa buona, e quei bastardi l’avevano preso e mescolato al resto del loro concime… e così lui era finito, e avrebbe messo fine al gioco.

Come sempre nella stanza in cima alla torre c’era ad attenderlo il lungo serpente, e al suo arrivo srotolò le spire davanti al caminetto. Ma stavolta Ender non lo schiacciò sotto i piedi. Stavolta allungò le mani a prenderlo, gli si inginocchiò davanti, e dolcemente, molto dolcemente attirò la bocca scagliosa del rettile alle sue labbra.

E lo baciò.

Non aveva avuto intenzione di farlo. Voleva lasciare che il serpente lo mordesse sulla bocca. O forse aveva inconsciamente desiderato mangiarlo vivo, come il Peter dello specchio doveva aver fatto col rettile la cui coda sanguinante gli emergeva pendula dalle labbra. Invece lo aveva baciato.

E fra le sue mani il corpo del serpente s’ingrossò, assumendo un’altra forma. Le sue sembianze si fecero umane, femminili. Era Valentine, e la sorella gli restituì il bacio.

Il serpente non poteva essere Valentine. Lo aveva ucciso troppe volte perché ora si rivelasse per sua sorella. Era insopportabile!

Era questo che volevano ottenere quando gli avevano fatto leggere la lettere di Valentine? Non che gliene importasse molto.

Lei si alzò dal pavimento della stanza della torre e si mosse verso lo specchio. Ender fece alzare anche la sua figura e la affiancò. Si fermarono davanti allo specchio, dove al posto dell’orrido riflesso di Peter c’erano ora un drago e un unicorno. Ender tese una mano e toccò il cristallo: la parete cadde in polvere, rivelando la presenza di una grande scalinata che curvava verso il basso, fitta di personaggi che gridavano e acclamavano invitandoli festosamente a scendere. Tenendosi sotto braccio lui e Valentine s’avviarono giù per le scale. Ender aveva gli occhi pieni di lacrime per il sollievo d’aver infine trovato l’uscita da quella torre di pietra alla Fine del Mondo. E a causa delle lacrime non notò che ogni persona di quella folla eterogenea aveva la faccia di Peter. Riusciva soltanto a pensare che dovunque fosse andato in quel mondo Valentine sarebbe stata con lui.

Valentine lesse la lettera che il Preside Lineberry le aveva appena consegnato. «Gentile signorina Wiggin» diceva. «Le siamo grati per gli sforzi da lei fatti in favore dello sforzo bellico. Abbiamo il piacere di notificarle che le è stata conferita, a nome degli Alleati e dell’intera umanità, la Stella del Valor Civile di Prima Classe, ovvero la più alta decorazione militare di cui possa fregiarsi un civile. Sfortunatamente il Servizio di Sicurezza della F.I. ci proibisce di render pubblica la decorazione fino alla vittoriosa conclusione delle operazioni in corso, ma privatamente mi pregio farle sapere che il suo atto si è risolto in un completo successo. Distinti saluti, generale Shimon Levy, Stratega».

Dopo che l’ebbe letta due volte, il Dr. Lineberry gliela sfilò dalle dita. — Mi è stato ordinato di fartela leggere, e poi di distruggerla. — Prese un accendisigaro da un cassetto e diede fuoco alla lettera, lasciandola incenerire in un portacenere. — Erano buone o cattive notizie? — domandò poi.

— Ho venduto mio fratello — disse Valentine, — e loro mi hanno pagato i trenta denari.

— Questo mi sembra un po’ melodrammatico, Valentine, no?

Valentine non rispose e tornò in classe. Quella sera Demostene scrisse una graffiante denuncia delle leggi per la limitazione delle nascite. La gente aveva il sacro diritto di mettere al mondo quanti figli voleva, e la popolazione in eccesso avrebbe potuto esser inviata a colonizzare altri pianeti, per spargere la razza umana così lontano nella galassia che nessun disastro, nessuna invasione, avrebbe potuto farle rischiare l’estinzione. «Il titolo più nobile che un bambino possa avere — scrisse Demostene, — è Terzo!»

Per te, Ender, disse a se stessa mentre spediva l’articolo.

Peter rise divertito quando lo lesse. — Questo farà raddrizzare orgogliosamente le spalle a tanti poveri figli di mamma. Terzo! Un nobile titolo! Oh, in che sottile sarcasmo sai intingere la penna.

CAPITOLO DECIMO

DRAGO

— Adesso?

— Suppongo di sì.

— Devono esserci degli ordini, colonnello Graff. Un esercito non si muove solo perché un comandante dice di supporre che sia il momento di attaccare.

— Io non sono un comandante. Mi occupo di ragazzini, sono un insegnante.

— Colonnello, ammetto di esserle stato addosso, ammetto d’esser stato la spina nel suo fianco, ma è servito. Tutto ha funzionato come lei voleva. Nelle ultime settimane Ender è stato… è stato…

— Felice.

— Soddisfatto. Sta andando bene. Ha la mente lucida, il suo gioco è eccellente. Pur giovane com’è, non abbiamo mai avuto un ragazzo meglio preparato per il comando. In genere lo meritano a undici, ma a nove e mezzo lui è già all’optimum.

— Già, certo. Sa una cosa? Poco fa mi stavo chiedendo che genere d’uomo vorrebbe prendere un ragazzino ferito, curarlo alla meglio, e rispedirlo sul campo di battaglia. Un piccolo dilemma morale del tutto privato. Non ci faccia caso. Devo essere stanco.

— Salvare il mondo, ricorda?

— Lo chiami dentro.

— Stiamo facendo quel che dobbiamo fare, colonnello Graff.

— Andiamo, Anderson, lei sta morendo dalla voglia di vedere come se la caverà con tutti i nuovi stratagemmi del regolamento su cui le chiesi di lavorare. Scommetto che ci si è diabolicamente divertito.

— Questa è una bassa insinuazione di cui non la credevo…

— Sicuro, sono un basso individuo. E poiché fra una bassezza e l’altra a volte ci incontriamo, non nego d’essere ansioso di vedere come se la caverà. Dopotutto, le nostre vite dipendono dal fatto che sia veramente abile. Mi sintonizza?

— Lei sta cominciando a usare i modi verbali dei ragazzi, eh?

— Lo faccia entrare, maggiore. Io registrerò i turni nel suo programma di lavoro, e gli fornirò un nuovo sistema di sicurezza. Quel che gli stiamo facendo non è tutto un peso per lui; avrà di nuovo la sua intimità.

40
{"b":"121254","o":1}