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Ender sapeva che qualunque fosse stata la sua scelta sarebbe morto. Il gioco era truccato. Dopo la prima morte, la sua figura sarebbe riapparsa sul tavolo del Gigante per giocare ancora. Dopo la seconda morte sarebbe stata riportata indietro sul pendio fangoso. Poi sul ponticello del giardino. Poi nella tana del topo. E poi, se fosse tornato fin dinnanzi al Gigante per giocare e perdere ancora, il suo banco si sarebbe spento. «Fine della Partita Libera», questa scritta avrebbe lampeggiato sullo schermo, e a Ender non sarebbe rimasto che abbandonarsi indietro sulla branda, tremante ed esausto, in attesa che il sonno scendesse su di lui. Il gioco era truccato, però il Gigante continuava a parlare della Terra delle Meraviglie, qualche stupidissima e infantile Fantasyland dove probabilmente c’era una stupidissima Mamma Oca, o i Tre Porcellini, o Peter Pan, o comunque nulla che valesse la fatica di posarvi gli occhi sopra. Eppure lui doveva scoprire il modo di battere il Gigante e arrivare là.

Si chinò a bere la crema liquida. Immediatamente cominciò a gonfiarsi come un pallone. Scoppiò, il Gigante rise. Era morto un’altra volta.

Giocò la seconda partita, e stavolta il liquido divenne solido come il cemento mentre lo beveva, imprigionandogli la faccia. Il Gigante lo spaccò in due lungo la spina dorsale, lo aprì come un pesce e cominciò a divorarlo, staccandogli a morsi gambe e braccia.

Riapparve sul pendio fangoso e stabilì che non avrebbe proseguito. Lasciò perfino che la poltiglia rossa lo ricoprisse, facendolo affogare. Ma quando s’accorse che stava sudando, a denti stretti per la frustrazione, usò la vita successiva per risalire le colline fin sull’altopiano di pane. Poi saltò giù dalla fetta, e in piedi attese che il Gigante piazzasse le due grandi coppe di liquido davanti a lui.

Esaminò i drink. Quello di destra fumava, l’altro era increspato di onde simili a quelle del mare. Cercò di capire che razza di morte ciascuno dei due gli avrebbe dato. Magari da quel mare schizzerà fuori un pesce che mi mangerà. E quello che fuma probabilmente mi farà soffocare. Odio questo gioco. Non sa di niente. È stupido. È truccato.

E invece di chinarsi a bere rovesciò con un calcio la coppa di sinistra, quindi l’altra, saltando qua e là per evitare le mani inferocite del Gigante che gridava: — Imbroglione! Imbroglione! — Balzò su quell’enorme faccia, arrampicandosi sulle labbra e sul naso, e affondò un pugno nell’occhio destro dell’avversario. La cornea bianca schizzò attorno come ricotta fresca, e mentre il Gigante urlava la figura di Ender gli si aggrappò alla palpebra, scavando nel molle materiale con colpi ampi e violenti.

Il Gigante si rovesciò all’indietro e cadde. La visuale dello schermo tremò all’immenso urto, e quando il corpo del colosso giacque immobile sul terreno tutto attorno sorgevano alberi fitti ed intricati. Un pipistrello svolazzò avanti e atterrò sul naso del Gigante. Ender fece emergere la sua figura dall’occhio ridotto in poltiglia.

— Come sei riuscito ad arrivare qui? — chiese il pipistrello. — Nessuno viene mai da queste parti.

Ender era troppo sorpreso per rispondere. Si chinò, raccolse una manciata della sostanza di cui era fatto l’occhio del Gigante e la offrì al volatile.

Il pipistrello la ingoiò d’un colpo, quindi si alzò in volo. — Benvenuto nella Terra delle Meraviglie! — gridò, mentre si allontanava.

Ce l’aveva fatta. Ora poteva esplorare. Ora poteva saltar giù dalla faccia del Gigante e guardare ciò che aveva finalmente ottenuto.

Invece spense lo schermo, spinse il banco nell’armadietto, si tolse la tuta da fatica e lentamente s’infilò sotto le coperte. Non aveva avuto intenzione di uccidere il Gigante. Quello avrebbe dovuto essere soltanto un gioco, non una scelta fra il morire in modo ripugnante e il commettere un omicidio ancor meno piacevole. Sono un assassino, perfino quando gioco. Peter sarebbe fiero di me.

CAPITOLO SETTIMO

SALAMANDRA

— Non è simpatico sapere che Ender riesce a fare l’impossibile?

— La morte di un giocatore ha deleteri effetti cumulativi sulla sua mente. Ho sempre pensato che il Drink del Gigante fosse il gioco più pericoloso da questo punto di vista. Ma accanirsi sul suo occhio a quel modo… è questo il nostro miglior candidato al comando della Flotta?

— Non vedo cosa ci sia di male nell’aver vinto a un gioco truccato.

— Suppongo che adesso lei lo trasferirà.

— Stavamo aspettando di vedere cos’avrebbe fatto con Bernard. Se l’è cavata perfettamente.

— Così, appena riesce a risolvere una situazione lei lo mette di fronte a un’altra che non sa come affrontare. Non gli lascerà un po’ di riposo?

— Avrà un mese o due, forse tre, di tranquillità col suo gruppo. È un periodo abbastanza lungo, nella vita di un bambino.

— Non hai mai l’impressione che questi non siano bambini? Io osservo quel che fanno, ascolto ciò che dicono, e non mi sembra che abbiano molto di infantile.

— Sono i più brillanti bambini del pianeta, ciascuno a suo modo.

— Ma non dovrebbero comportarsi come bambini? Non sono normali. Agiscono come… personaggi storici. Napoleone e Wellington. Cesare e Bruto.

— Noi dobbiamo occuparci del destino del mondo, non di curare i cuori infranti. Lei è troppo compassionevole.

— Il generale Levy non aveva compassione per nessuno. Tutti i filmati ce lo confermano. Ma non faccia del male a questo ragazzino.

— Sta scherzando?

— Voglio dire, non gli faccia più male di quanto è necessario.

A cena, Alai andò a sedersi di fronte a Ender. — Finalmente ho capito come hai mandato quel messaggio. Quello firmato Bernard.

— Io? — si schermì Ender.

— Avanti, e chi altro? Bernard non è stato di certo. E Shen non è un genio col computer. E io non l’ho fatto. Chi resta? Non importa. Ho capito che hai iscritto uno studente nuovo. Non hai fatto che aggiungere all’elenco un ragazzo di nome Bernard Zero-Zero, BERNARD-spento, in modo che il computer non possa né tenerlo presente nei programmi, né eliminarlo come un errore.

— Sembra un’ipotesi che può funzionare — disse Ender.

— Sicuro che funziona. Ma tu l’hai fatto praticamente il giorno del nostro arrivo.

— Io o qualcun altro. Forse è stato Dap, per impedire a Bernard di diventare capogruppo.

— Ho scoperto anche un’altra cosa. Non posso fare lo stesso con il tuo nome.

— Ah, sì?

— Qualsiasi messaggio con la parola Ender viene cancellato appena scritto. E non sono neanche riuscito a farmi mandare sullo schermo il tuo fascicolo personale. Tu hai inserito un sistema di sicurezza.

— Forse.

Alai sogghignò. — Mettere le mani sui dati e sulle registrazioni altrui è fin troppo facile. E conosco altri che ci riescono. Io ho bisogno di proteggermi, Ender. Ho bisogno del tuo sistema.

— Se ti do il mio sistema saprai come metterlo in atto, e saprai come ottenere e manipolare tutti i dati che riguardano me.

— Vuoi dire io? — finse di scandalizzarsi Alai. — Il migliore amico che tu abbia qui dentro?

Ender rise. — Studierò un altro sistema per te.

— Adesso?

— Se mi lasci finire di mangiare.

— Tu non lo finisci mai quel vassoio.

Era vero. Dopo ogni pasto, sul vassoio di Ender avanzava sempre un po’ di cibo. Lui guardò il piatto e decise d’essere già sazio. — Va bene, andiamo.

Quando furono in camerata, Ender si gettò a sedere sulla sua cuccetta e disse: — Stacca il tuo banco e portalo qui. Ti farò vedere cosa devi fare. — Ma quando Alai fece ritorno con la sua scrivania elettronica Ender era sempre seduto nello stesso posto, e il suo armadietto era ancora chiuso.

— Che c’è? — domandò Alai.

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