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Già al momento di balzare, quattro alla volta, fuori dal corridoio i ragazzi gli mostrarono a che punto fossero. Quasi nessuno sapeva come procedere in linea retta verso l’obiettivo, e una volta arrivati alla parete opposta erano pochi quelli che riuscivano ad ancorarsi o a controllare il loro rimbalzo.

L’ultimo della fila era il più piccolo dell’orda, e per lui la ringhiera superiore era così lontana da richiedere un balzo di precisione.

— Puoi usare il corrimano laterale, se vuoi — disse Ender.

— Un accidente! — ringhiò il ragazzino. Saltò in alto, toccò la ringhiera appena con un dito e sbatté malamente nello stipite della porta, roteando via senza più controllo. Ender non seppe se ammirare quel piccoletto per aver rifiutato una facilitazione o irritarsi per la sua attitudine alla disubbidienza.

Quando finalmente riuscirono ad allinearsi lungo la parete, Ender notò che senza eccezione s’erano orientati con la testa volta dalla parte che nel corridoio era stata l’alto. Poggiò allora le mani su quello che i ragazzi consideravano il pavimento e si capovolse. — Perché state tutti a testa in giù, soldati? — domandò.

Alcuni di loro cominciarono a girarsi con ubbidienza.

— Attenzione, voialtri! — li fermò lui. — Ho chiesto perché state a testa in giù.

Nessuno rispose. Non avevano capito il senso della sua domanda.

— Ho chiesto il motivo per cui ognuno di voi ha i piedi in aria e la testa verso il basso.

Dopo qualche istante uno si decise a rispondere: — Signore, questa è la direzione di… in cui siamo usciti dalla porta, cioè.

— E questo ha forse qualche significato? Che differenza fa l’orientamento gravitazionale del corridoio? Pensate per caso di battervi nel corridoio? Qui dove stiamo c’è forza di gravità?

— No, signore — risposero alcuni, perplessi.

— Da ora in poi dimenticherete l’esistenza della parola stessa ancor prima di saltar fuori da quella porta. La gravità scompare, non ha più senso. Mi capite? E in qualunque modo siate girati quando entrerete in sala, ricordate questo: la porta nemica è in basso. I vostri piedi staranno puntati da quella parte. L’alto sarà invece verso la vostra porta. Il nord davanti, il sud di dietro, l’est a destra, l’ovest… da che parte?

Le loro mani si alzarono a indicare.

— Bene, vedo che sapete ragionare per eliminazione. Ma non vi consiglio di orientarvi col processo di eliminazione quando dovete andare al gabinetto d’urgenza. Cos’era quella specie di circo equestre che ho visto poco fa? Qualcuno aveva forse l’impressione di volare davvero? Ora tutti quanti: lanciarsi e radunarsi in doppia fila sul soffitto. Scattare! Muoversi!

Come Ender s’era aspettato, un buon numero di loro si lanciò d’istinto non verso la parete della porta d’ingresso, bensì verso quella che lui aveva definito «nord», ovvero la direzione che aveva rappresentato l’alto quand’erano ancora nel corridoio. Naturalmente capirono quasi subito l’errore, ma era troppo tardi, e per porvi rimedio dovettero aspettare di poter rimbalzare sulla parete nord.

Nel frattempo Ender li stava suddividendo dentro di sé in due gruppi, in base alla loro rapidità nell’apprendere. Il ragazzino più piccolo, che aveva fatto la peggiore uscita dalla porta, fu il primo ad arrivare alla parete giusta e restò lì posizionandosi correttamente con la testa in alto. Non lo avevano dunque promosso per caso, e avrebbe fatto una buona riuscita. Era però un galletto e un ribelle, anche se forse non aveva mandato giù il fatto d’esser stato costretto a marciare nudo nei corridoi.

— Tu — disse Ender, indicando il piccoletto. — Da che parte è il basso?

— Verso la porta nemica. — La risposta era stata rapida. Ma anche un po’ seccata, come a dire: OK, OK, adesso passiamo alle cose importanti.

— Il tuo nome, ragazzo.

— Questo soldato si chiama Bean [fagiolo N.d.T.], signore.

— Riferito alle dimensioni del corpo o a quelle del cervello? — Gli altri ragazzi fecero udire qualche risatina, ma lui li azzittì subito. — Non farci caso, Bean. Ho visto che sei svelto. Ora aprite bene gli orecchi, perché non mi ripeterò spesso. Nessuno esce da quella porta senza rischiare d’essere all’istante colpito e congelato. Ai vecchi tempi avreste avuto dieci, venti secondi prima di cominciare le ostilità. Adesso, se non schizzate fuori già pronti a colpire e a ripararvi, siete congelati. E cosa succede quando uno è congelato?

— Non può muoversi — rispose uno dei ragazzi.

— Questo è ciò che la parola significa - disse Ender. — Ma al soldato cosa succede?

Fu Bean, per nulla intimidito dalla sua spiritosaggine di poco prima, che rispose correttamente: — Continua ad andare dritto in quella direzione. Alla velocità con cui è partito.

— Proprio così. Voi cinque, là in fondo alla fila, muovetevi!

Stupiti i ragazzi si guardarono l’un l’altro. Ender puntò la pistola e li colpì tutti. — I cinque successivi, muoversi!

Si mossero. Ender sparò anche a ciascuno di loro, ma continuarono a volare allontanandosi verso le pareti. I primi cinque, invece, erano rimasti a fluttuare dove il raggio di luce li aveva raggiunti.

— Guardate questi cosiddetti soldati — disse Ender. — Il loro comandante ha ordinato loro di muoversi e non l’hanno fatto. Primo errore. Adesso sono congelati ma, peggio ancora, sono congelati qui dove non possono servire a niente; mentre gli altri, visto che almeno si sono mossi, stanno andando a dar fastidio al nemico, ostacolandogli i movimenti e la visuale. Voglio sperare che almeno cinque di voi abbiano capito il punto. E non dubito che Bean sia uno di loro. Non è così, Bean?

Il ragazzo non gli rispose subito, ma Ender lo fissò finché si decise a dire: — È così, signore.

— Allora, qual è il punto?

— Quando lei ordina di muoversi, il soldato si deve muovere in fretta. Così, se lo colpiscono, va a rimbalzare fra le posizioni nemiche invece di stare fra i piedi ai compagni.

— Eccellente! Vedo che in quest’orda c’è almeno un soldato capace di usare l’immaginazione. — Ender poté vedere il risentimento crescere nelle occhiate che gli altri si scambiavano, evitando di guardare Bean. Perché sto facendo questo? Cos’ha a che fare coi doveri di un buon comandante il trasformare un ragazzino in un bersaglio per gli altri? Dovrei farlo a lui soltanto perché l’hanno fatto a me? Per un attimo fu tentato di far marcia indietro, di dire ai ragazzi che il piccoletto aveva bisogno del loro aiuto e della loro amicizia più di chiunque altro. Ma naturalmente non poteva farlo. Non il primo giorno. Quel giorno, perfino i suoi errori sarebbero stati visti come parte di un qualche brillante progetto di istruzione.

Col radiogancio Ender si trasse vicino alla parete; prese un ragazzo e lo fece scostare dagli altri. — Stai rigido sull’attenti — ordinò. Lo fece ruotare nell’aria finché i piedi di lui puntarono verso i compagni. Quando il ragazzo accennò a muoversi, Ender lo congelò. Gli altri risero. — Quali parti del suo corpo potresti colpire? — Domandò al soldato direttamente davanti ai piedi di quello congelato.

— Tutt’al più le suole delle scarpe.

Ender si volse al ragazzo accanto. — E tu?

— Io posso vedere il suo corpo.

— E tu, laggiù?

Un ragazzo a qualche distanza da lui rispose: — Tutto il corpo.

— I piedi non sono grandi. Non riparano molto, eh? — Ender scostò da sé il soldato congelato. Poi ripiegò le gambe, come se fosse inginocchiato a mezz’aria, e sparò a ognuna di esse. All’istante i pantaloni della tuta s’irrigidirono, tenendogliele ferme in quella posizione.

Si spinse in alto, presentando loro le ginocchia unite. — Adesso cosa vedete?

Molto di meno, fu la risposta.

Ender si piazzò la pistola fra i polpacci. — Ma io vi vedo benissimo — annunciò, e cominciò a sparare a quanti si trovava davanti. — Fermatemi! Colpitemi, se ci riuscite! — gridò.

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