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— Indovina.

— Be’, dal Complesso Jackson, presumo, ma quale Casa ti ha fatto? Ryoval, Bharaputra, un’altra? E sei un prototipo isolato o fai parte di una serie? Appartieni a una generazione di modificati geneticamente, oppure di una nuova specie di uomini acquatici in grado di autoriprodursi?

Gupta sbarrò gli occhi per la sorpresa. — Tu conosci il Complesso Jackson?

— Diciamo che ho avuto diverse dolorose occasioni di venire istruito sul tuo pianeta.

La sorpresa si colorò di un leggero rispetto, e di una certa solitudine. — Mi ha fatto la Casa Dyan. Ero parte di una serie, in effetti, creata per una troupe di ballo subacqueo.

Garnet Cinque esclamò con sorpresa: — Tu saresti stato un ballerino?

Il prigioniero si strinse nelle spalle. — No. Mi hanno creato per lo staff tecnico. Ma la Casa Dyan è stata in seguito annientata dalla Casa Ryoval… poco dopo la morte del Barone Ryoval, la quale ha diviso la troupe per destinarla ad altri compiti. Per me non hanno trovato alcun uso alternativo, per cui sono rimasto senza lavoro e senza protezione. Avrebbe potuto andare peggio. Sono andato in giro per un po’ senza meta e ho fatto ogni lavoro tecnico che mi potevo procurare. Da cosa nasce cosa.

In altre parole, Gupta era nato in stato di tecno-schiavitù jacksoniana, ed era stato buttato sulla strada quando il suo originario creatore-padrone era stato inghiottito da un più feroce rivale in affari. Visto quello che Miles sapeva del defunto e sgradevole Barone Ryoval, il destino di Gupta era stato forse più felice di quello dei suoi fratelli genetici. Conoscendo la data della morte di Ryoval, quel vago accenno da cosa nasce cosa copriva dai cinque ai dieci anni.

Miles gli chiese, pensieroso: — Non volevi uccidere me, ieri, vero? E neanche il portomastro Thorne. — Il che lasciava solo…

Gupta lo guardò sbattendo le palpebre. — Ah! Ecco dove ti avevo già visto prima. Mi dispiace. No. — Corrugò la fronte. — Ma che cosa ci facevi lì? Non sei uno dei passeggeri. Sei un altro abitante di questa lurida Stazione come quel maledetto ficcanaso betano?

— Betano? No. Mi chiamo… — decise in un istante di lasciare perdere tutti i titoli, — Miles. Mi hanno mandato a prendermi cura degli affari di Barrayar quando i quad hanno sequestrato la flotta komarrana.

— Oh. — Gupta perse interesse.

Che diavolo stavano facendo con quel penta-rapido? Perché non arrivava? Miles disse con voce più dolce: — Allora, che cosa è successo ai tuoi amici, Gupta?

Questo attirò di nuovo l’attenzione dell’anfibio. — Ingannati. Iniettati, infettati… rifiutati. Ci ha ingannato tutti. Maledetto bastardo cetagandano. Non era quello il patto.

Qualcosa dentro Miles partì in quarta. Ecco il legame, finalmente. Il suo sorriso divenne simpatico, caldo, e la sua voce ancora più dolce. — Dimmi tutto di questo bastardo cetagandano, Guppy.

Il gruppo di quad presenti aveva smesso anche solo di frusciare, e stava perfino respirando più silenziosamente. Roic si era ritirato in un punto in ombra di fronte a Miles. Gupta si guardò attorno poi esclamò: — A che serve? — Il tono non era di disperazione, ma di amara curiosità.

— Io sono barrayarano. Ho un interesse particolare per i bastardi cetagandani. I ghem-lord cetagandani si sono lasciati dietro cinque milioni di morti nella generazione di mio nonno, quando finalmente si arresero e si ritirarono da Barrayar. Ho ancora la sua borsa piena di scalpi di ghem. Per certi tipi di cetagandani, conosco un paio di usi che troveresti interessanti.

Lo sguardo vago del prigioniero tornò sul suo volto e lì rimase fisso. Per la prima volta Miles si era guadagnato tutta la sua attenzione. Forse aveva accennato a qualcosa che Gupta desiderava veramente. Qualcosa per cui bruciava di una fame folle e ossessiva. I suoi occhi fissi erano affamati di… forse vendetta, forse giustizia… in ogni caso, sangue. Ma era chiaro che non ne sapesse molto di vendetta. I barrayarani, invece… be’ i barrayarani avevano un’altra reputazione.

Gupta fece un profondo respiro. — Non so che tipo sia quello. Non avevo mai incontrato nulla del genere. Bastardo cetagandano. Ci ha sciolti.

— Dimmi tutto — sollecitò Miles. — Perché voi?

— È arrivato da noi… attraverso i nostri soliti agenti. Abbiamo pensato che sarebbe andato tutto bene. Avevamo una nave. Gras-Grace, Firka, Hewlet e io, avevamo questa nave. Hewlet era il nostro pilota, ma era Gras-Grace il cervello. Io, io ero quello che aggiustava le cose. Firka teneva i libri, e si occupava dei regolamenti, dei passaporti, degli ufficiali ficcanaso. Gras-Grace e i suoi tre mariti, ci chiamavamo. Eravamo tutti dei reietti, e forse assieme facevamo un marito come si deve per lei. Tutti per uno e uno per tutti, perché certo sapevamo che una nave di profughi jacksoniani, senza una Casa né un Barone, non avrebbe ricevuto favori da nessuno nell’intero Complesso Iperspaziale.

Gupta si stava infervorando. Miles, che ascoltava con la massima attenzione, pregò che Venn avesse il buon senso di non interrompere. Dieci persone li circondavano nella stanza, ma lui e Gupta, ipnotizzati l’un l’altro dall’intensità della confessione, avrebbero anche potuto fluttuare in una bolla di spazio e tempo sospesa in un altro universo.

— E allora, dov’è che avete raccolto il cetagandano e il suo carico?

Gupta alzò gli occhi, sorpreso. — Tu sai del carico?

— Se è lo stesso che si trova ora a bordo dell’Idris, sì, ho dato un’occhiata. L’ho trovato molto inquietante.

— Che cos’ha là dentro, in realtà?

— Preferirei non dirlo, per ora. Lui cosa vi ha detto che c’è?

— Mammiferi geneticamente modificati. Non che abbiamo fatto domande. Eravamo pagati di più per non fare domande. Era quello il patto, o così pensavamo.

E se c’era qualcosa che gli abitanti del Complesso Jackson nella loro etica elastica ritenevano sacro, era il patto.

— Un buon affare, eh?

— Così sembrava. Due o tre altri passaggi del genere, e avremmo potuto finire di pagare la nave ed essere gli unici proprietari.

Miles ne dubitò, soprattutto se l’equipaggio si era indebitato per comprare la nave iperspaziale con una tipica Casa finanziaria jacksoniana. Ma forse Gupta e i suoi amici erano stati molto ottimisti. O molto disperati.

— Sembrava un ingaggio semplice. Dovevamo solo portare un carico misto attraverso i confini dell’Impero cetagandano. Abbiamo saltato nel Mozzo di Hegen via Vervain, e siamo passati attorno a Rho Ceta. Tutti quegli arroganti, sospettosi ispettori che sono venuti a bordo a perquisirci in tutti i punti di salto, non hanno potuto trovare niente contro di noi, anche se avrebbero voluto, perché non c’era niente a bordo oltre a quello che diceva il nostro manifesto di carico. E il vecchio Firka si faceva delle belle risate. Fino a che non ci siamo allontanati dall’ultimo salto, verso Rho Ceta attraverso quei sistemi deserti, subito prima che la rotta si divida per Komarr. Lì abbiamo avuto un incontro nello spazio che non era previsto nel nostro piano di volo.

— Che genere di nave? Una nave iperspaziale, o solo un trasporto locale? Si vedeva chiaramente, o era per caso camuffata?

— Una nave iperspaziale. Non so cos’altro avrebbe potuto essere. Sembrava una nave del governo cetagandano. Aveva un sacco di scritte molto impressionanti. Non era grande, ma veloce… nuova fiammante, una cosa di classe. Il bastardo cetagandano ha trasbordato il suo carico sulla nostra nave, tutto da solo, con delle slitte a levitazione e trattori a mano, e non ha certo perso tempo. Nel momento in cui i portelli si sono chiusi, l’altra nave se n’è andata.

— Dove? L’avete capito?

— Be’, Hewlett ha detto che era una traiettoria molto strana, diretta verso quel sistema binario deserto a qualche salto di distanza da Rho Ceta, non so se lo conosci…

Miles annuì, incoraggiante.

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