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«In questi giorni, fino ai prossimi vent’anni» ammise Miles cupo. E gli aveva proprio fatto buon pro. Prendiamo il capitano Galeni: nella sua mente Miles lo vedeva già come il miglior viceré che Komarr potesse avere… la sua morte non avrebbe significato solo la perdita di un ufficiale Imperiale di dubbie origini, ma la scomparsa del primo anello di una catena di migliaia di vite che lottavano per ottenere un futuro meno tormentato. Un futuro in cui al tenente Miles Vorkosigan si sarebbe certamente sovrapposto il conte Miles Vorkosigan, che avrebbe avuto bisogno di amici sani di mente in alto loco. Se fosse riuscito a tirar fuori Galeni da quel pasticcio vivo e soprattutto in possesso delle sue facoltà… «Ammetto» aggiunse, «che quando avevo la tua età non andavo più in là del quarto d’ora seguente.»

«Questo avveniva un secolo fa, vero?» sbuffò sarcastico il clone.

«Sì, mi sembra un secolo. Ho sempre avuto la sensazione di dover vivere in fretta, se volevo farci stare tutto.»

«Decisamente preveggente. Vedi un po’ cosa riesci a farci stare nelle prossime ventiquattro ore. Per allora avrò ricevuto l’ordine di imbarcarmi. E a quel punto tu sarai… superfluo.»

Così presto… Non aveva tempo per fare esperimenti… aveva solo il tempo per fare la cosa giusta, e una volta sola.

«Bisogna progettare la morte del primo ministro di Barrayar, altrimenti non vi sarà destabilizzazione del governo barrayarano, neppure se verrà assassinato l’imperatore Gregori. Per cui dimmi» proseguì cauto, «che destino avete in serbo tu e Galen per nostro padre?»

Il clone sollevò di scatto la testa, come se fosse stato colpito. «Oh no, non ci casco. Tu non sei mio fratello e il Macellaio di Komarr non è mai stato un padre per me.»

«E che mi dici di tua madre?»

«Io non ho madre, io sono uscito da un replicatore.»

«E anch’io» commentò Miles, «prima che i medici avessero finito, ma non mi sono mai accorto che per lei facesse differenza. Essendo betana, è totalmente priva di pregiudizi nei confronti delle tecnologie di nascita. A lei non importa niente di come sei venuto al mondo, ma solo di quello che fai dopo essere arrivato. Temo che avere una madre sia un destino che non potrai evitare, dal momento in cui scoprirà della tua esistenza.»

Il clone accantonò con un gesto della mano lo spettro della contessa Vorkosigan. «Lei è un fattore nullo, non ha alcun peso nella politica di Barrayar.»

«Sei sicuro?» mormorò Miles e subito si trattenne. Non c’era tempo. «E pur sapendo che Ser Galen intende tradirti e mandarti a morire, tu vai avanti?»

«Quando sarò Imperatore di Barrayar… allora ci preoccuperemo di Ser Galen.»

«Ma sei hai comunque intenzione di tradirlo, perché aspettare?»

Il clone piegò la testa di lato, socchiudendo gli occhi. «Eh?»

«Hai un’altra alternativa» disse Miles in tono calmo, persuasivo. «Lasciami andare ora… e vieni con me. Su Barrayar. Tu sei mio fratello… che ti piaccia o no, è un fatto biologico che non puoi cancellare. E comunque nessuno, clone o essere umano, ha la possibilità di scegliersi i parenti. Voglio dire, se avessi possibilità di scelta, sceglieresti Ivan Vorpatril come cugino?»

Il clone ridacchiò, ma non lo interruppe. Stava cominciando ad interessarsi a quell’idea.

«Però è lì. Ed è tuo cugino tanto quanto è il mio. Ti sei mai reso conto di avere un nome?» gli domandò all’improvviso. «Questa è un’altra cosa che su Barrayar non si sceglie. Il secondogenito (che saresti tu, il mio gemello di sei anni più giovane) prende il secondo nome dei nonni paterni e materni, proprio come il primogenito prende il primo. Quindi tu sei Mark Pierre. Mi spiace per il Pierre, il nonno lo ha sempre odiato. Su Barrayar tu sei Lord Mark Pierre Vorkosigan, a pieno titolo e a tutti gli effetti.» Parlava sempre più in fretta, ispirato dallo sguardo affascinato del clone.

«Cosa hai sempre sognato di essere? Qualunque genere di istruzione, la mamma farebbe in modo che la ottenessi… i befani tengono in gran conto l’istruzione. Hai mai sognato di fuggire? Che ne dici di Pilota Stellare Patentato Mark Vorkosigan? O invece preferisci il commercio? O magari l’agricoltura? Abbiamo un’azienda vinicola molto fiorente, dalle vigne all’esportazione… ti interessa la scienza? Potresti vivere sulla Colonia Beta con il Nonno Naismith e frequentare le migliori accademie di ricerca. Hai uno zio e una zia anche là, te n’eri reso conto? Due cugini e un secondo cugino. Se l’arretrato e feudale Barrayar non ti va bene, c’è una vita del tutto diversa che ti aspetta sulla Colonia Beta, dove Barrayar e tutti i suoi guai non sono neppure una nuvoletta all’orizzonte. Là, nessuno farebbe caso al fatto che sei un clone, perché non sarebbe certo una novità. Qualunque vita tu voglia, la galassia sulla punta delle dita, possibilità di scelta… libertà… chiedi e saranno tue.» Poi dovette fermarsi per prendere fiato.

Il clone era bianco come un lenzuolo. «Menti» sibilò. «La Sicurezza Barrayarana non mi lascerebbe mai vivere.»

Ohimè, non era un timore del tutto privo di fondamento. «Ma immagina per un istante che possa essere vero, che sia vero. Potresti averlo, sulla mia parola di Vorkosigan. La mia protezione come Lord Vorkosigan, contro tutti quelli che ti si opponessero, compresa la Sicurezza Barrayarana.» Miles si ritrovò a sudare mentre faceva quella promessa. «Galen ti offre la morte su un piatto d’argento. Io posso procurarti la vita, completa di tutto.»

Poteva considerarsi sabotaggio spionistico? All’inizio la sua intenzione era solo di dare una spintarella al clone perché inciampasse, ma… cosa ne hai fatto di tuo fratello?

Il clone rise, un suono isterico, più simile all’abbaiare di un cane.

«Mio dio, guardatelo! Prigioniero, legato ad una sedia a poche ore dalla morte…» si esibì in un grottesco inchino. «Oh, nobile Lord, sono sopraffatto dalla tua generosità. Ma chissà perché in questo momento non mi sembra che la tua protezione valga un soldo bucato.» Si avvicinò a Miles, fermandosi più vicino di quanto avesse osato fino allora. «Presuntuoso megalomane. Non sei neppure in grado di proteggere te stesso…» con un gesto incontrollabile, lo schiaffeggiò proprio sopra i lividi del giorno prima. «Lo vedi?» Fece un passo indietro, sconvolto dalla forza che aveva messo in quel colpo, e istintivamente si portò alla bocca la mano dolorante. Le labbra insanguinate di Miles si aprirono in una smorfia e il clone tolse frettolosamente la mano dalla bocca.

Dunque è così. Questo ragazzo non ha mai colpito nessuno, prima d’ora. E tantomeno ammazzato qualcuno, sono pronto a scommetterci. Oh, verginella, ti aspetta una sanguinosa deflorazione.

«Vero?» ripeté il clone.

Bah. Scambia la verità per bugie, quando io volevo che prendesse per verità le mie bugie… che gran sabotatore, sono. Perché mi sento costretto a dirgli la verità?

Perché è mio fratello, e noi abbiamo mancato verso di lui. Mancato di scoprire la sua esistenza prima… mancato di salvarlo… «Hai mai sognato che qualcuno venisse a salvarti?» gli chiese allora. «Dopo che hai saputo chi eri, o anche prima? Che genere di infanzia hai avuto? In genere gli orfani sognano sempre dei genitori splendenti, che arrivano a salvarli su un cavallo bianco… per te avrebbe potuto essere vero.»

Il clone se ne uscì con una risata di amaro scherno. «Niente affatto, ho sempre saputo come stavano le cose, fin dall’inizio ho saputo chi ero. Vedi, i cloni del Gruppo Jackson vengono allevati da genitori adottivi pagati, che li educano fino alla maturità. I cloni allevati nelle vasche di crescita tendono ad avere spiacevoli problemi di salute, come suscettibilità alle infezioni, cattiva circolazione cardio-vascolare, eccetera e quelli che pagano per farsi trapiantare il cervello si aspettano di risvegliarsi in un corpo in buona salute.»

«Ho avuto una specie di fratello adottivo, una volta, un po’ più grande di me…» il clone tacque e trasse un profondo respiro, «… allevato insieme a me, ma non istruito con me. Io gli ho insegnato a leggere e a scrivere… poco prima che i komarrani venissero a prendermi, quelli del laboratorio lo hanno portato via. È stato per un puro caso che in seguito l’ho rivisto una volta. Ero stato mandato a prendere un pacco allo spazioporto, anche se normalmente non mi era permesso andare in città. L’ho visto dall’altra parte dell’atrio, che entrava nella sala d’aspetto di prima classe e gli sono corso incontro. Solo che non era più lui: nella sua testa c’era un orribile vecchio riccone. La sua guardia del corpo mi ha spinto via…»

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