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«Bene, signore.»

Miles si voltò e aiutò Ivan a rimettersi in piedi. «Sei in grado di camminare?» chiese preoccupato.

«Ma certo… sicuro» rispose Ivan, sbattendo le palpebre.

«Sono solo un po’…» Si avviarono lungo il corridoio, Ivan inciampò, si aggrappò a Miles per sostenersi e si rimise in piedi.

«Non credevo che il mio corpo fosse in grado di produrre tanta adrenalina e per tanto tempo. Ore e ore… quanto sono rimasto là sotto?»

«Circa…» Miles guardò l’orologio, «un po’ meno di due ore.»

«Uhmm. Mi è sembrato di più.» Ivan sembrava più fermo sulle gambe. «Dove stiamo andando? Perché indossi il costume di Naismith? La signora sta bene? Non hanno preso anche lei, vero?»

«No, Galen ha preso solo te. Al momento questa è un’operazione indipendente dendarii. Io non dovrei trovarmi a terra; Destang mi aveva ordinato di restare a bordo della Triumph mentre i suoi scagnozzi avrebbero dovuto fare fuori il mio doppio. Per impedire la confusione.»

«Già… be’, è sensato. In questo modo, tutte le volte che vedono qualcuno piccolo di statura, sanno che possono sparargli.» Ivan sbatté di nuovo le palpebre. «Miles…»

«Appunto» rispose questi, «ecco perché andiamo da questa parte invece che da quella.»

«Vuoi che acceleri il passo?»

«Non sarebbe male, se potessi.»

Aumentarono l’andatura.

«Come mai sei sceso a terra?» chiese Ivan dopo un paio di minuti. «Non dirmi che stai ancora cercando di salvare la pelle a quel disgraziato buono a nulla della tua copia.»

«Galen mi ha spedito un invito inciso sulla tua pelle. Io non ho molti parenti, Ivan e quelli che ho, hanno per me un gran valore. Non fosse che per la loro rarità.»

Si scambiarono un’occhiata e Ivan si schiarì la gola. «Bene. Però stai camminando sul filo, se cerchi di scavalcare Destang. Dimmi, se la sua squadra è così vicina, dov’è Galen?» chiese allarmato.

«Galen è morto» gli riferì Miles, mentre attraversavano propio il corridoio buio che portava al cornicione esterno dove giaceva il suo cadavere.

«Ah, sono felice di sentirlo. E chi ha compiuto l’impresa? Voglio baciargli la mano. O baciarle.»

«Credo che ne avrai l’opportunità tra un attimo.» Il ticchettio rapido di passi in corsa, come quello prodotto da una persona di bassa statura, proveniva da dietro la curva del corridoio. Miles estrasse lo storditore. «E questa volta, non ho bisogno di farlo discutere. Forse Quinn l’ha bloccato, costringendolo a venire di qua» aggiunse speranzoso. Stava cominciando a preoccuparsi per Elli.

Mark comparve da dietro la curva e si fermò scivolando davanti a loro con un grido inarticolato. Poi si voltò, fece un passo, si fermò e si voltò di nuovo, come un animale preso in trappola. La parte destra del volto era sporca di rosso, l’orecchio era pieno di vesciche bianco giallastre e nell’aria aleggiava il puzzo di capelli bruciati.

«E adesso?» chiese Miles.

«Là dietro c’è un pazzo con la faccia dipinta che mi insegue con un fucile al plasma!» esclamò Mark con voce stridula. «Sono penetrati nell’altra torre di guardia…»

«Hai visto Quinn da qualche parte?»

«No.»

«Miles» intervenne Ivan perplesso, «i nostri non dovrebbero portare fucili al plasma in un’operazione di caccia all’uomo come questa, no? Non certo in un’installazione critica come questa… dove possono rischiare di danneggiare i macchinari…»

«Dipinto?» chiese Miles all’improvviso. «Dipinto come? Non… non per caso una pittura sul viso che assomiglia da una maschera teatrale cinese, vero?»

«Io non so… che aspetto abbia… una maschera teatrale cinese» ansimò Mark. «Ma loro… be’, uno di loro, era dipinto da orecchio a orecchio.»

«Il ghemcomandante, senza dubbio» borbottò Miles, «in caccia formale. A quanto pare hanno aumentato la posta.»

«Cetagandani?» esclamò Ivan sconvolto.

«Devono essere arrivati i rinforzi e devono aver seguito la mia pista dallo spazioporto. Cristo! Quinn è andata da quella parte…» Miles si mise a girare in tondo cercando di ricacciare il panico che gli attanagliava la bocca dello stomaco e di non permettergli di arrivare al cervello. «Tu puoi rilassarti, Mark. Non è te che vogliono uccidere.»

«Col cavolo che non vogliono me! Quello ha gridato "Eccolo!" e ha cercato di farmi saltare la testa!»

Miles distese le labbra in un sorriso cattivo. «No, no» cantilenò col tono che si usa per calmare un bimbo, «si tratta solo un caso di scambio di identità. Quella gente vuole uccidere me… l’ammiraglio Naismith. Sono solo quelli dall’altra parte della galleria che vogliono uccidere te. Naturalmente» terminò tutto allegro, «nessuna delle due parti è in grado di distinguerci.»

Ivan emise una risata di scherno.

«Torniamo indietro» disse Miles in tono deciso e li precedette di corsa. Svoltò nel corridoio trasversale e si fermò di colpo davanti al portello che conduceva all’esterno. Ivan e Mark arrivarono al galoppo dietro di lui.

Miles si alzò in punta di piedi e digrignò i denti: stando alla lettura del quadrante di controllo, la marea si trovava ora al di sopra del portello. Quell’uscita era bloccata dal mare.

CAPITOLO QUINDICESIMO

Miles apri la frequenza di chiamata del comunicatore da polso. «Nim!»

«Signore!»

«Nella Torre Sette c’è una squadra d’assalto cetagandana. Entità della forza, sconosciuta, ma hanno fucili al plasma.»

«Sì, signore» fu la risposta ansante di Nim. «Li abbiamo appena trovati.»

«Dove vi trovate e cosa vedete?»

«Ho un paio di uomini fuori dall’ingresso delle tre torri, con rinforzi nei cespugli dietro il parcheggio. I… cetagandani, ha detto, signore?… hanno sparato qualche raffica di plasma nei corridoi quando abbiamo cercato di entrare.»

«È stato colpito qualcuno?»

«Non ancora. Ci teniamo bassi.»

«Nessuna traccia del comandante Quinn?»

«Non ancora, signore.»

«Siete riusciti ad individuare la sua posizione tramite il comunicatore?»

«Si trova in qualche punto nei livelli più bassi di questa torre. Ma non risponde e non si muove.»

Stordita? Morta? Il suo polso era ancora insieme al comunicatore? Non aveva modo di saperlo.

«Va bene» disse prendendo fiato, «fate una chiamata anonima alla polizia locale, dicendo che ci sono degli uomini armati nella Torre Sette… forse dei sabotatori che cercano di far saitare in aria l’impianto e la Diga. Sia convincente… cerchi di sembrare spaventato.»

«Non c’è problema, signore» rispose subito Nim, tanto che Miles si chiese a che distanza dai capelli gli fosse passata la raffica di plasma.

«Fino a quando arriva la polizia, tenete i cetagandani chiusi nella torre, stordite chiunque cerchi di uscire. La polizia locale potrà distinguerli dopo. Metta un paio di uomini alla Torre Otto, per chiudere anche quella via e dica loro di muoversi verso nord, in modo da spingere indietro i cetagandani se cercano di uscire da sud. Credo però che si dirigeranno a nord.» Mise una mano sul comunicatore e si rivolse a Mark, «Per dare la caccia a te.» Sollevò di nuovo il polso e riprese a parlare con Nim: «Come arriva la polizia, ritiratevi, evitate il contatto con loro. Ma se finite con le spalle al muro, siate arrendevoli. I buoni siamo noi, sono quei cattivi armati di fucili al plasma là dentro la torre a cui devono dare la caccia. Noi siamo solo dei turisti che hanno notato qualcosa di strano mentre facevano una passeggiatina notturna. Mi ha sentito?»

C’era un sorriso forzato nella voce di Nim. «Ho capito, signore.»

«Metta un osservatore nelle vicinanze della Torre Sei e mi faccia rapporto quando arriva la polizia. Naismith chiude.»

«Ricevuto, signore. Chiudo.»

Mark emise un gemito strozzato e si lanciò in avanti, afferrando Miles per la giacca. «Idiota, cosa stai facendo? Richiama i dendarii… ordinagli di sbarazzarsi dei cetagandani nella Torre Sette! O io…» Cercò di afferrargli il polso, ma Miles lo tenne a distanza e nascose la mano sinistra dietro la schiena.

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