CAPITOLO SEDICESIMO
Si fermarono all’ingresso laterale della Torre Sette per rimettersi gli stivali. Tra loro e la città si stendeva la striscia di parco, con i sentieri illuminati e le chiazze di prato scure e misteriose. Miles calcolò il tempo occorrente per raggiungere i cespugli più vicini e individuò la posizione delle macchine della polizia disseminate nelle aree di parcheggio.
«Immagino che tu non abbia portato la tua fiaschetta» sussurrò a Ivan.
«Se l’avessi avuta, l’avrei vuotata ore fa. Perché?»
«Mi stavo chiedendo come avremmo potuto spiegare la presenza di tre giovanotti che si trascinano una donna svenuta per il parco a quest’ora di notte. Se versassimo un po’ di brandy addosso a Quinn, potremmo almeno far finta di riportarla a casa da una festa o qualcosa di simile. I postumi della carica di uno storditore sono molto simili a quelli di una sbronza e potremmo farla franca anche se si svegliasse e cominciasse a farfugliare.»
«Mi auguro che possegga il senso dell’umorismo. Be’, in fondo cosa sarà mai un piccolo offuscamento d’immagine tra amici?»
«Di certo meglio della verità.»
«In ogni caso, la fiaschetta non ce l’ho. Siamo pronti?»
«Direi di sì. No, aspetta…» Un’aeromobile stava atterrando; era un velivolo civile, ma il poliziotto di guardia le corse incontro. Ne discese un uomo anziano, che insieme alla guardia tornò di corsa verso la torre. «Ora.»
Ivan afferrò Quinn per le spalle mentre Mark la sollevava per i piedi. Miles scavalcò con cautela il corpo inanimato del poliziotto che era stato di guardia a quell’ingresso e tutti insieme attraversarono lo spiazzo e si portarono al riparo.
«Accidenti, Miles» ansimò Ivan quando si fermarono in mezzo agli arbusti, «perché non ti cerchi delle donne minute? Sarebbe più sensato…»
«Su, su, in fondo pesa solo il doppio di uno zaino affardellato: puoi farcela…» Nessun segno di inseguitori, niente grida alle loro spalle; l’area più vicina alla torre era probabilmente la più sicura, perché doveva essere stata setacciata e controllata già prima e dichiarata libera da intrusi. Adesso l’attenzione della polizia sarebbe stata concentrata sul perimetro esterno, che era proprio quello che dovevano attraversare per raggiungere la città e dileguarsi.
Miles scrutò nelle ombre, ma con tutta l’illuminazione che c’era in giro, i suoi occhi non riuscivano ad adattarsi all’oscurità come avrebbe voluto.
Anche Ivan scrutava attento. «Non vedo poliziotti nei cespugli» sussurrò.
«Non sto cercando i poliziotti» sussurrò Miles di rimando.
«E allora cosa?»
«Mark ha detto che un uomo con il volto dipinto gli ha sparato addosso. Ma finora non ho visto nessuno con il volto dipinto?»
«Ah… forse la polizia l’ha agguantato subito, prima che vedessimo gli altri.» Ma Ivan si guardò ugualmente alle spalle.
«Forse. Mark… di che colore era dipinta la faccia? Che disegno?»
«Quasi tutto azzurro, con disegni a forma di spirale bianchi, gialli e neri. Un Lordghem di medio rango, giusto?»
«Si trattava di un capitano di centuria.» Disse Miles. «Se fossi al mio posto, dovresti essere in grado di leggere per dritto e per rovescio i segni ghem.»
«C’erano così tante cose da imparare…»
«Fa lo stesso… Ivan, te la senti di affermare con sicurezza che un capitano di centuria, altamente addestrato, inviato dal quartier generale, al quale ha prestato giuramento formale per la sua caccia, si sia lasciato sorprendere e stordire da un poliziotto londinese qualsiasi? Gli altri erano solo normali soldati, che i cetagandani potranno tirare fuori di prigione in seguito; ma un Lordghem si farebbe ammazzare prima di trovarsi in un imbarazzo simile.»
«Splendido» esclamò Ivan roteando gli occhi.
Percorsero circa duecento metri tra alberi, arbusti e ombre e cominciarono ad udire in lontananza il debole ronzio del traffico sull’autostrada costiera. I sottopassaggi pedonali erano sicuramente sorvegliati e l’autostrada era cintata e assolutamente invalicabile.
Vicino al sentiero che conduceva al sottopassaggio c’era un chiosco di sintocemento su cui si abbarbicavano rampicanti che avrebbero dovuto mascherarne le forme tozze.
Al primo sguardo Miles lo scambiò per una latrina pubblica, ma ad un esame più attento individuò una sola porta di ingresso, senza insegne e chiusa a chiave. I lampioni che avrebbero dovuto illuminare quel lato erano spenti. Mentre Miles guardava, la porta prese a scivolare lentamente di lato e un’arma impugnata da una mano pallida brillò debolmente nell’oscurità.
Miles puntò Io storditore e trattenne il fiato. La forma scura di un uomo uscì silenziosa.
Miles riprese a respirare. «Capitano Galeni!» sibilò.
Galeni trasalì come se lo avessero colpito, si mise carponi e avanzò zigzagando, raggiungendoli nel nascondiglio di arbusti. Poi imprecò, quando, come era successo a Miles, si accorse che i cespugli avevano le spine. «Che mi venga un colpo, siete ancora vivi!» esclamò con un’occhiata critica al gruppetto malconcio.
«Diciamo che anch’io ho pensato io stesso di lei» ammise Miles.
Galeni era… aveva un aspetto strano, decise Miles. Era scomparsa la falsa impassibilità con cui aveva assistito alla morte di Ser Galen; ora sorrideva quasi, pervaso da un’ilarità leggermente maniacale, come se avesse ecceduto in droghe stimolanti. Respirava pesantemente, il viso era graffiato, la bocca insanguinata. La mano gonfia stringeva un fucile al plasma cetagandano d’ordinanza e dal bordo dello stivale spuntava l’impugnatura di un pugnale.
«Per caso… si è imbattuto in un tipo con la faccia dipinta di azzurro?» si informò Miles.
«Certo» rispose Galeni in tono soddisfatto.
«Cosa diavolo le è successo?»
Galeni parlò in un sussurro rapido. «Non sono riuscito a trovare un ingresso nella diga vicino a dove vi avevo lasciati. Ho notato quell’ingresso di servizio» e indicò il chiosco con un cenno del capo, «e ho pensato che ci potesse essere qualche galleria di scolo o qualche condotto di fibre di energia che conducessero al frangiflutti. Era vero solo in parte; ci sono un mucchio di gallerie di servizio sotto questo parco. Ma mi sono perso sottoterra e invece di uscire all’interno della diga, mi sono ritrovato nel sottopassaggio pedonale sotto l’autostrada. E sapete chi ho trovato?»
Miles scosse il capo. «Polizia? cetagandani? barrayarani?»
«Quasi: il mio vecchio amico e omologo dell’ambasciata cetagandana, il ghemtenente Tabor. Mi ci sono voluti un paio di minuti per capire cosa ci stesse facendo qui: pattugliava il perimetro esterno come rinforzo alla squadra d’assalto. La stessa cosa che avrei fatto io se non fossi stato confinato nel mio alloggio.»
«Non era contento di vedermi» proseguì il capitano. «Ma neppure lui riusciva a capire cosa ci facessi lì. Abbiamo finto entrambi di essere usciti per ammirare la luna, e nel frattempo sono riuscito a dare un’occhiata all’equipaggiamento che era stivato nella sua macchina. Poteva anche credermi, deve aver pensato che ero ubriaco o drogato.»
Con molto tatto Miles si astenne dal commentare Non stento a crederlo.
«Ma a un certo punto ha cominciato a ricevere segnali dalla sua squadra e ha dovuto tentare di liberarsi di me in fretta. Mi ha sparato con uno storditore, io mi sono abbassato e non mi ha colpito in pieno; ma ho finto di essere in condizioni peggiori e così ho potuto ascoltare la sua parte di conversazione con la squadra che si trovava nella torre. Rimanevo in attesa che si presentasse un’occasione.»
«Stavo giusto riacquistando la sensibilità nella parte sinistra del corpo, quando è comparso il suo amico blu. Il suo arrivo ha distratto Tabor e io li ho atterrati tutti e due.»
«E come diavolo ci è riuscito?» chiese Miles inarcando le sopracciglia.
«Non… non lo so proprio» Galeni apriva e chiudeva i pugni mentre parlava. «Ricordo di averli colpiti…» gettò un’occhiata a Mark. «Per una volta tanto era bello avere un nemico ben definito.»