«E credi che non l’abbia già capito da solo?» lo schernì il clone. «Lo so che lui crede che non possa farcela. Nessuno crede che possa farcela…»
Miles trattenne il fiato; questo twang lo aveva colpito più profondamente di altri.
«Ma glielo farò vedere io a tutti. Ser Galen» proseguì con una luce cattiva negli occhi, «sarà molto sorpreso di quello che succederà una volta che avrò il potere.»
«E anche tu» predisse Miles in tono cupo.
«Credi che sia stupido?» disse il clone.
«Temo di sapere esattamente quanto sei stupido» ribatté Miles scuotendo il capo.
Il clone fece un sorriso tirato. «Galen e i suoi amici hanno passato un mese a darti la caccia in giro per Londra, solo per preparare lo scambio. Ma sono stato io a suggerirgli che dovevi essere tu a rapire te stesso. Io ti ho studiato più a lungo di chiunque di loro e più a fondo. Lo sapevo che non avresti saputo resistere. Posso essere più furbo di te.»
Una verità dimostrabile, ohimè, in questo caso. Miles lottò contro un’ondata di disperazione. Il ragazzo era in gamba, troppo in gamba… aveva tutto, persino la tensione che si irradiava come un grido da ogni muscolo del suo corpo. Twang. O quello era un prodotto dell’ambiente? Pressioni diverse potevano produrre le stesse pulsioni? Cosa c’era, dietro quegli occhi…?
Lo sguardo di Miles si posò sull’uniforme dendarii e le sue mostrine lampeggiarono maligne verso di lui mentre il clone camminava. «Ma puoi essere più furbo dell’ammiraglio Naismith?»
Il clone sorrise orgoglioso. «Ho fatto uscire di prigione i tuoi soldati, questa mattina. Cosa che tu, evidentemente, non sei stato in grado di fare.»
«Danio?» gracchiò Miles, sconvolto. No, dimmi che non è vero…
«È tornato in servizio» rispose il clone con un energico cenno del capo.
Miles represse un gemito.
Il clone si fermò e lo fissò attentamente, perdendo un po’ della propria determinazione. «A proposito dell’ammiraglio Naismith… ci vai a letto con quella donna?»
Che genere di vita aveva condotto quel ragazzino? si chiese di nuovo Miles. Recluso, sempre guardato a vista, sottoposto ad un’istruzione forzata, pochi contatti umani e solo con persone accuratamente scelte… insomma una vita da convento. I komarrani avevano pensato di includere quello nella sua educazione, o a diciassette anni era ancora vergine? In questo caso il sesso doveva essere per lui un’ossessione… «Quinn» disse Miles, «ha sei anni più di me. Ha una grande esperienza ed è molto esigente. Ed è abituata a scegliersi compagni molto abili e raffinati. Tu sei un iniziato delle varie tecniche dei culti d’amore di Deeva Tau, come le praticano sulla Stazione Kline?» Era una bella domanda e senza risposta, visto che Miles si era inventato tutto in quel momento. «Conosci le Sette Vie Segrete del Piacere Femminile? Dopo aver avuto quattro o cinque orgasmi, però, in genere ti lascia un po’ di respiro…»
Il clone riprese a girargli intorno, con aria decisamente turbata. «Stai mentendo. Credo.»
«Forse» rispose Miles con un sorriso a tutti denti, desiderando che tutte le sue invenzioni fossero vere. «Rifletti quello che rischi, per scoprirlo.»
Il clone lo gratificò di un’occhiata furente. Miles la ricambiò.
«Anche le tue ossa si spezzano come le mie?» chiese Miles all’improvviso. Che pensiero orrendo. E se per ogni frattura che Miles si era procurato, quelli gli avevano rotto l’osso corrispondente? Se per ogni sciocco rischio mal calcolato che Miles aveva corso, il clone aveva pagato lo stesso prezzo? Be’, era una ragione più che sufficiente per odiarlo…
«No.»
Miles celò un sospiro di sollievo. Quindi le letture dei sensori medici non sarebbero state le stesse. «Deve trattarsi di un piano a breve termine, eh?»
«È mia intenzione essere in cima in sei mesi.»
«Mi era sembrato di capirlo. E quale flotta spaziale dovrebbe bloccare il caos di Barrayar dietro il suo corridoio di uscita, mentre Komarr si solleva?» chiese Miles dando alla sua voce un tono indifferente, come se non fosse molto interessato a quella vitale informazione.
«Avevamo pensato di chiamare i cetagandani, ma poi ci abbiamo ripensato.»
Le sue peggiori paure… «Ripensato? Questo mi rende felice, ma perché, in un piano totalmente folle, avete avuto un attimo di lucidità proprio su questo?»
«Perché abbiamo trovato qualcosa di meglio, e a portata di mano» rispose il clone con un sorrisetto cattivo. «Una forza militare indipendente, con una grande esperienza in fatto di blocchi spaziali, senza fastidiosi legami con altri vicini planetari che potrebbero essere tentati di buttarsi nella mischia. E anche, a quanto sembra, ferocemente e appassionatamente leale ad ogni mio più piccolo capriccio. I Mercenari Dendarii.»
Miles cercò di lanciarsi alla gola del clone, che si ritrasse, ma essendo ancora saldamente legato, cadde in avanti con tutta la sedia, sbattendo con forza la faccia sul tappeto. «No!» strillò, inarcando la schiena e cercando di liberarsi. «Maledetto pazzo! Sarà un massacro…»
Le due guardie komarrane si precipitarono dentro di corsa. «Cosa è successo?»
«Niente.» Il clone, bianco in volto, si allontanò da dietro la scrivania dove si era rifugiato. «È caduto in avanti. Rimettetelo in piedi, per favore.»
«Caduto o spinto» mormorò uno dei due, mentre raddrizzavano la sedia e di conseguenza anche Miles. Le guardie osservarono con interesse la sua faccia. Qualcosa di umido e di caldo, che stava già raffreddandosi, gli colava sul labbro superiore e sui baffi cresciuti in quei tre giorni. Sangue dal naso? Incrociò gli occhi per vedere e si leccò il labbro. Calma, stai calmo: il clone non avrebbe mai potuto trascinare a tanto i dendarii… ma la certezza del suo fallimento era una ben magra consolazione per un Miles morto.
«Ti serve aiuto?» chiese il più vecchio dei due komarrani al clone. «Esiste una sorta di scienza della tortura, sai? Ottenere il massimo di dolore con il minimo dei danni. Avevo uno zio che mi ha raccontato quello che facevano gli scagnozzi della Sicurezza Barrayarana… visto che in questo caso il penta-rapido è inutile.»
«Non ha bisogno di aiuto» scattò Miles, nello stesso istante in cui il clone esclamava: «Non ho bisogno di aiuto…» si interruppero entrambi e si fissarono, Miles di nuovo calmo e in grado di ragionare, il clone con l’aria di chi è stato preso alla sprovvista.
Se non fosse stato per quella maledetta barba di tre giorni che lo distingueva chiaramente, quello sarebbe stato il momento perfetto per mettersi a gridare che Vorkosigan lo aveva sopraffatto e scambiato gli abiti con lui, che lui era il clone, non se ne accorgevano, cretini? Avanti, slegatemi! Ma purtroppo era impossibile.
Il clone raddrizzò la schiena, nel tentativo di recuperare un po’ di dignità. «Lasciateci, per favore. Se avrò bisogno di voi vi chiamerò.»
«O forse lo farò io» disse Miles con aria candida, attirandosi un’occhiataccia dal suo sosia. I due komarrani uscirono, per niente rassicurati.
«È un’idea cretina» esordì subito Miles appena furono soli. «Devi rendertene conto, i dendarii sono un gruppo d’élite… in gran parte… ma secondo lo standard planetario sono una piccola forza. Piccola, sai cosa vuol dire piccola? Una forza piccola va bene per le operazioni segrete, incursioni veloci, servizio di spionaggio, ma non per uno scontro frontale in uno spazio prefissato, contro le forze di un pianeta avanzato, in grado di mettere in campo tutte le sue risorse. Non hai il benché minimo senso dell’economia di guerra! Non sei in grado di pensare al di là dei prossimi sei mesi. Non che tu ne abbia bisogno… sarai morto prima della fine dell’anno, di sicuro…»
Il sorriso del clone fu molto tirato. «I dendarii, come me, sono votati al sacrificio. Dopo tutto, i mercenari morti non si devono pagare.» Si interruppe e guardò Miles con espressione curiosa. «Tu invece fino a dove pensi?»