«Eravamo d’accordo che saresti stato alla larga dai mercenari.»
«Certo, ma dillo a loro.»
«Tra quanto pensi di poter avere quegli ordini che ti toglieranno dall’ambasciata richiamandoti su Barrayar?»
«Non abbastanza presto da evitare del tutto i dendarii. Ne ho accennato all’ambasciatore, ma sembra che Vorkosigan sia a capo delle indagini per ritrovare il capitano Galeni; è sembrato sorpreso che volessi andarmene, così ho fatto marcia indietro, per il momento. Il capitano ha cambiato idea e ha deciso di collaborare, finalmente? Se non lo ha fatto, dovrete provvedere voi a contraffare quegli ordini e a farli passare con il corriere o qualcosa di simile.»
Galen esitò. «Vedrò cosa posso fare. Nel frattempo, tu continua a immedesimarti nella parte.»
Galen non sa che noi sappiamo che c’è di mezzo il corriere? Quel pensiero balzò nella mente di Miles con chiarezza quasi normale e lui riuscì a vocalizzarlo solo con un borbottio.
«Va bene. Mi avevi promesso che lo avresti tenuto in vita per potergli fare delle domande fino a quando non me ne fossi andato di qui, ed ecco la prima domanda. Chi è il tenente Bone e che cosa deve farne con l’eccedenza dalla Triumph? Non mi ha detto di che eccedenza si trattasse.»
Una delle guardie sollecitò Miles: «Rispondi alla domanda.»
Miles cercò di riacquistare chiarezza di pensiero e di espressione. «È il ragioniere della mia flotta. Immagino che debba scaricarlo nel suo conto di investimento e farlo girare come al solito. È un’eccedenza di denaro» si sentì obbligato a spiegare e poi ridacchiò amaramente: «temporanea, ne sono sicuro.»
«Credi che possa andare?» chiese Galen.
«Direi di sì. Io le ho detto che era un ufficiale esperto e che doveva agire a sua discrezione e questo mi è parso che!a soddisfacesse abbastanza, anche se io ho continuato a chiedermi cosa le avevo ordinato di fare. Bene, un’altra domanda: chi è Rosalie Crew e perché ha chiesto all’ammiraglio Naismith un risarcimento di mezzo milione di crediti federali GSA?»
«Chi?» esclamò Miles a bocca aperta, sinceramente perplesso. «Cosa?» Nella sua confusione non riusciva assolutamente a convertire il mezzo milione di crediti federali in marchi imperiali barrayarani, se non in un ammontare vago che era "un sacco, veramente un sacco di soldi"; per un attimo non riuscì ad associare il nome, poi tutto si chiarì. «Oh, già, è quell’impiegata del negozio di vini. L’ho salvata, impedendo che bruciasse viva. Ma perché cita me? Perché non ha citato Danio, è stato lui a bruciarle il locale… certo, lui è al verde…»
«Ma io come mi devo comportare?» chiese il clone.
«Hai voluto essere me» disse Miles in tono acido, «arrangiati.» Ma i suoi processi mentali non si arrestarono. «Sporgi una controdenuncia per danni fisici; devo essermi stirato la schiena, sollevandola di peso. Mi fa ancora male…»
Galen lo interruppe. «Non fare niente di simile, sarai fuori di lì prima che la cosa vada in tribunale.»
«Va bene» rispose il clone, dubbioso.
«E lasceresti i dendarii nelle peste?» intervenne Miles furente. Strinse gli occhi, cercando disperatamente di pensare nonostante la stanza che gli girava intorno. «Ma già, a te non frega niente dei dendarii, vero? E invece te ne deve fregare! Hanno rischiato le loro vite per te… per me… è sbagliato… tu sei disposto a tradirli, senza neppure pensarci sopra, non sai neppure cosa sono…»
«Appunto» sospirò il clone, «e proprio a proposito di quello che sono, che tipo di rapporto c’è tra te e questo comandante Quinn? Hai finalmente deciso se scopartela o no?»
«Siamo solo buoni amici» canticchiò Miles e poi scoppiò a ridere, isterico, e si tuffò verso la consolle… le guardie cercarono di afferrarlo e lo mancarono… e arrampicandosi sulla scrivania, ringhiò nel video. «Stai lontano da lei, piccolo stronzo! Lei è mia, hai sentito? Mia, mia, tutta mia… Quinn, Quinn, bellissima Quinn, Quinn della notte, bellissima Quinn» cantò stonato mentre le guardie lo riportavano sulla sedia. Qualche pugno lo ridusse al silenzio.
«Credevo che fosse sotto l’effetto del penta-rapido» disse il clone rivolto a Galen.
«Ed è così.»
«Ma questi non mi sembrano gli effetti del penta-rapido!»
«Infatti, c’è qualcosa che non va. Eppure lui non dovrebbe essere condizionato… sto cominciando a dubitare seriamente dell’utilità di tenerlo in vita come banca dati, se non possiamo fidarci delle sue risposte.»
«Fantastico» borbottò il clone. Poi si guardò alle spalle. «Devo andare. Farò un altro rapporto questa sera, se per allora sarò ancora vivo.» E la sua immagine scomparve con un trillo irritato.
Galen tornò a rivolgersi a Miles con un elenco di domande sul Quartier Generale Barrayarano, sull’Imperatore Gregor, sulle abitudini di Miles quando era di stanza nella capitale di Barrayar, Vorbarr Sultana, e poi una serie infinita di domande sui dendarii. E Miles rispose, incapace di fermarsi, continuò a parlare, a parlare. Ma ad un certo punto incappò nel verso di una poesia e finì con il recitare tutto il sonetto. Neppure gli schiaffi di Galen riuscirono a farlo tornare in riga: la sua catena di libere associazioni era troppo forte. Dopo di allora, riuscì molto spesso a non rispondere alle domande. Le opere in rima con una metrica cadenzata erano quelle che funzionavano meglio; poi brani di narrativa, canzoni oscene dei dendarii, qualunque cosa: una parola casuale o un modo di dire dei suoi inquisitori facessero scattare. Sembrava che possedesse una memoria fenomenale. Il viso di Galen era verde di rabbia.
«Di questo passo staremo qui fino a quest’inverno» disse disgustata una delle guardie.
Le labbra sanguinanti di Miles si distesero in una smorfia maniacale. «"Ora l’inverno del nostro scontento"» esclamò, «"è trasformato in gloriosa estate da questo sole di York…"»
Erano passati anni da quando aveva imparato a memoria quell’antica tragedia, ma i vividi pentametri giambici lo trascinarono senza pietà. A parte pestarlo fino a fargli perdere conoscenza, non c’era nulla che Galen potesse fare per spegnerlo. Miles non era neppure arrivato alla fine del primo atto quando le due guardie lo trascinarono giù per il tunnel di caduta e lo sbatterono senza tante cerimonie nella sua prigione.
Una volta in cella, i suoi neuroni, ormai partiti in quarta, lo spinsero da una parete all’altra della stanza, camminando e recitando, facendolo balzare sulla panca al momento adatto, facendolo recitare in falsetto tutte le parti femminili, senza respiro, fino all’ultimo verso. Dopodiché, crollò sul pavimento e lì rimase, ansimando.
Il capitano Galeni, che durante l’ultima ora era rimasto rannicchiato in un angolo della panca, con le braccia intorno alle orecchie per proteggerle, sollevò cauto la testa e chiese in tono benevolo: «Ha finito?»
Miles rotolò supino e fissò il soffitto senza vederlo. «Tre hurrà per la letteratura… mi sento male.»
«Non mi sorprende.» Anche Galeni aveva un aspetto pallido e malaticcio, ancora scosso dagli effetti dello storditore. «Che cos’era quello?»
«La tragedia o la droga?»
«La tragedia l’ho riconosciuta, grazie. Che droga?»
«Penta-rapido…»
«Lei scherza.»
«Non scherzo. Ho parecchie reazioni imprevedibili alle droghe. C’è un’intera classe di sedativi che non posso prendere. A quanto pare, le due cose sono collegate.»
«Che botta di fortuna!»
Dubito seriamente dell’utilità di mantenerlo in vita…
«Non credo proprio» rispose Miles in tono distante. Si rimise in piedi a fatica, rimbalzò nella stanza da bagno, vomitò e svenne.
Si svegliò con il bagliore impietoso della lampada che gli trapassava gli occhi e si mise un braccio sul volto, per proteggersi. Qualcuno (Galeni?) lo aveva disteso sulla panca. Il capitano dormiva, respirando pesantemente. Un piatto che conteneva un pranzo ormai freddo e rappreso, era appoggiato in fondo alla panca di Miles. Doveva essere notte fonda. Con un moto di nausea, Miles guardò quel cibo, poi lo nascose sotto la panca, per non vederlo. Il tempo si trascinò inesorabile, mentre lui si girava, si alzava, si sedeva, tornava a sdraiarsi, dolorante e in preda alla nausea, incapace persino di rifugiarsi in quel sollievo temporaneo che era il sonno.