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Il mattino seguente dopo colazione vennero a prendere Galeni, che uscì con un’espressione di cupo disgusto negli occhi. Poi dal corridoio arrivarono i rumori di una lotta violenta: era Galeni, che cercava di farsi stordire, un mezzo draconiano, ma sicuramente efficace di evitare l’interrogatorio. Ma non ci riuscì: i suoi carcerieri lo riportarono in cella, ridacchiante e vacuo, parecchie ore dopo.

Il capitano rimase sdraiato per circa un’ora, emettendo ogni tanto qualche vaga risatina, prima di sprofondare in un sonno agitato. Con uno sforzo eroico, Miles resistette alla tentazione di approfittare degli effetti residui della droga per fargli qualche domanda… perché, purtroppo, i soggetti trattati con il penta-rapido ricordavano tutto. E ormai Miles era quasi certo che una delle parole chiave personali di Galeni fosse tradimento.

Finalmente il capitano, grigiastro in volto, ritornò ad uno stato di coscienza un po’ torpido ma sostanzialmente lucido. I postumi del penta-rapido erano un’esperienza molto, molto, sgradevole; almeno in quello, la risposta di Miles alla droga non era stata diversa dal normale. Fu con una certa comprensione e simpatia che guardò il capitano fare la sua gita al bagno.

Galeni tornò e si lasciò cadere pesantemente sulla panca mentre il suo sguardo si posava sul piatto con la sua cena ormai fredda. Dopo avere cincischiato svogliatamente con il cibo, chiese a Miles: «Lo vuole lei?»

«No, grazie.»

«Mmm.» Galeni nascose il piatto sotto la panca, per toglierlo dalla vista e si appoggiò alla parete.

«Cosa volevano sapere questa volta?» chiese indicando con il mento la porta.

«Soprattutto la mia storia personale.» Galeni contemplò le calze, che ormai erano rigide per lo sporco, ma Miles non era sicuro che vedesse quello che guardava. «Sembra che gli riesca davvero difficile afferrare il concetto che credo sul serio in quello che dico. A quanto pare era sinceramente convinto che gli sarebbe bastato presentarsi e fare un fischio per farmi correre con la lingua fuori, come facevo quando avevo quattordici anni. Come se tutte le esperienze della mia vita di adulto non contassero nulla, come se avessi indossato questa uniforme solo per scherzo, o per disperazione, o confusione mentale… qualunque cosa, ma non per una decisione ragionata e meditata.»

Non c’era bisogno di chiedere a chi si stava riferendo. «Ma come, non è stato per l’eleganza degli stivali?» chiese Miles con una smorfia acida.

«Mi sono lasciato abbagliare dagli orpelli sgargianti della divisa» lo informò Galeni in tono soave.

«È questo che ha detto? In ogni caso è feudalesimo, se si escludono gli esperimenti di centralizzazione del fu imperatore Ezar Vorbarra. Comunque, gli sgargianti orpelli del neofeudalesimo glieli concedo.»

«Sono perfettamente a conoscenza dei principi di governo barrayarani, grazie» gli fece notare il dottor Galeni.

«Per quello che sono» mormorò Miles. «È stato tutto basato sull’improvvisazione, sa.»

«Lo so. E sono contento di vedere che lei non è ignorante in storia come la maggior parte dei giovani ufficiali del giorno d’oggi.»

«Allora… se non è stato per gli eleganti stivali e le mostrine dorate, perché lei è dalla nostra parte?»

«Oh, naturale… ricavo un sadico piacere psicossessuale dall’essere un bravaccio, un sicario e un criminale. È la ricerca del potere» terminò guardando la lampada sul soffitto.

«Ehi» esclamò Miles agitando una mano, «parli con me, non con lui, eh? Lui ha già avuto il suo turno.»

«Mmm.» Galeni incrociò le braccia con espressione cupa. «In un certo senso immagino che sia vero: cerco il potere. O lo cercavo.»

«Per quello che può valere, non è certo un segreto per l’alto comando barrayarano.»

«Per nessun barrayarano comune, anche se quelli che vivono al di fuori della vostra società non se ne rendono mai conto. Come immaginano che una società di caste apparentemente chiuse sia riuscita a sopravvivere senza andare in pezzi allo sconvolgimento dell’ultimo secolo dalla fine dell’Era dell’Isolamento? In un certo senso, il Servizio Imperiale ha svolto in parte la stessa funzione avuta dalla chiesa medioevale qui sulla Terra: ha agito cioè da valvola di sfogo, attraverso la quale chiunque possiede un minimo di talento può cancellare la sua casta d’origine. Vent’anni di servizio imperiale ed escono che sono a tutti gli effetti dei Vor onorari. I nomi non sono cambiati dall’epoca di Dorca Vorbarra, quando i Vor erano una casta chiusa di ladri di cavalli…»

Miles fece una smorfia nel sentire descrivere in quel modo la generazione del suo bis-bisnonno.

«… ma la sostanza è cambiata radicalmente. Eppure, nonostante tutto, i Vor sono riusciti, con la forza della disperazione, a restare abbarbicati a determinati principi vitali di sacrificio e servizio. Con la certezza che un uomo deciso e che non scende a compromessi, ha comunque la possibilità di percorrere la sua strada e dare…» si interruppe di colpo e si schiarì la gola, arrossendo. «Era la mia tesi di laurea: "il Servizio Imperiale Barrayarano: un secolo di cambiamenti".»

«Capisco.»

«Io volevo servire Komarr…»

«Come suo padre prima di lei» terminò Miles. Galeni alzò gli occhi di colpo, aspettandosi un’espressione sarcastica, ma nello sguardo di Miles trovò solo un’ironica comprensione… almeno Miles sperò che fosse così.

Galeni allargò le braccia, in un gesto che era rassegnazione e assenso. «Sì. E no. Nessuno dei cadetti che sono entrati nel Servizio insieme a me hanno ancora visto una guerra vera. Io invece ne ho vista una dalla strada…»

«Sospettavo che avesse conosciuto la rivolta komarrana molto più da vicino di quanto dicono i rapporti della Sicurezza» commentò Miles.

«Come apprendista arruolato di forza da mio padre» confermò Galeni. «Certe notti scorrerie, altre missioni di sabotaggio… ero piccolo di statura per la mia età e ci sono posti in cui un bambino che gioca riesce a passare mentre un adulto verrebbe subito fermato. Prima di aver compiuto quattordici anni avevo già aiutato ad uccidere… Non ho illusioni a proposito delle gloriose truppe imperiali durante la rivolta di Komarr. Ho visto uomini che indossavano questa uniforme…» indicò con una mano i pantaloni verdi, «fare cose vergognose. Per rabbia, o per paura, per frustrazione o disperazione, a volte solo per pura e semplice cattiveria. Ma che differenza faceva per i cadaveri; gente normale che incappava in quel fuoco incrociato, morire bruciati sotto il fuoco del plasma dei malvagi invasori o essere fatti a pezzi dalle implosioni gravitiche dei bravi patrioti? Libertà? Non possiamo certo fingere che Komarr fosse una democrazia prima dell’arrivo dei barrayarani. Mio padre tuonava che Barrayar aveva distrutto Komarr, ma quando io mi guardavo intorno, Komarr era sempre lì.»

«Non si ricavano tasse da un terra bruciata» mormorò Miles.

«Una volta ho visto una bimba…» si interruppe, mordendosi un labbro e poi riprese a capofitto, «la differenza pratica, per la gente comune, sta nella mancanza della guerra. Io voglio… volevo… fare quella differenza pratica. Una carriera nel Servizio, un congedo onorevole, possibilità di una nomina ministeriale… l’ascesa di grado nei ranghi civili, poi…»

«La nomina a viceré di Komarr?» suggerì Miles.

«Una speranza simile sarebbe megalomane» disse Galeni. «Ma un incarico nel suo staff, certo.» Quel sogno scomparve dai suoi occhi mentre si guardava intorno nella stanza prigione e sulle labbra si disegnò un silenzioso sorriso di autoderisione. «Mio padre invece vuole vendetta. La dominazione straniera di Komarr non solo è un abuso, ma è anche intrinsecamente malvagia, per principio. E cercare l’integrazione con lo straniero non è compromesso, ma collaborazionismo e capitolazione. I rivoluzionari komarrani sono morti per i miei peccati, eccetera. Eccetera.»

«Allora sta ancora cercando di persuaderla a passare dalla sua parte.»

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