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Una delle guardie gli mise una sedia dietro la schiena e lo fece sedere. In preda ad un tremito incontrollabile, Miles vi si lasciò cadere grato. Era come se i suoi pensieri esplodessero in tanti frammenti per poi riformarsi, come un film di fuochi artificiali fatto scorrere al contrario. Galen lo guardò corrugando la fronte.

«Descrivi le procedure di sicurezza per entrare e uscire dall’ambasciata barrayarana.»

Di sicuro quel genere di informazioni le avevano già spremute a Galeni… quella doveva essere una domanda solo per controllare se il penta-rapido faceva effetto, «…faceva effetto» sentì la propria voce riecheggiare i suoi pensieri. Oh, diavolo, aveva sperato che le sue strane reazioni alle droghe potessero comprendere anche la capacità di resistere all’impulso di mettere in parole tutto quello che gli passava per la testa. «… che immagine repellente…» Con la testa ciondoloni, fissò il pavimento davanti ai suoi piedi, come se potesse scorgervi un mucchio di materia cerebrale sanguinolenta vomitata lì per terra.

Ser Galen si avvicinò, gli sollevò la testa di scatto, prendendolo per i capelli, e sibilò a denti stretti: «Descrivi le procedure di sicurezza per entrare e uscire dall’ambasciata barrayarana!»

«Il responsabile è il sergente Barth» cominciò Miles, d’impulso. «Un insopportabile bigotto, totalmente privo di buone maniere e un imbecille fatto e finito…» Incapace di trattenersi, Miles rivelò non solo i codici, le parole d’ordine, i perimetri degli analizzatori e dei sensori, ma anche i turni del personale, le sue opinioni personali su ognuno di loro e terminò con una critica da cavare la pelle sulle pecche della rete di sicurezza. Un pensiero ne richiamava un altro e poi un altro ancora, in una catena esplosiva e inarrestabile come una serie di mortaretti. Non poteva fermarsi, continuava a blaterare.

Ma non solo lui non riusciva a fermarsi, nemmeno Galen era in grado di fermarlo. I prigionieri interrogati con il penta-rapido tendevano a passare con libere associazioni da un pensiero all’altro, se l’inquisitore non li manteneva in carreggiata con le sue domande; ed era proprio quello che stava facendo Miles, ma a velocità doppia. Normalmente, bastava una sola parola per interrompere la vittima, ma Miles tacque, ansante solo dopo che Galen lo ebbe ripetutamente schiaffeggiato, urlandogli contro.

La tortura non faceva parte dell’interrogatorio con il penta-rapido, perché nel loro stato di rosea beatitudine, i prigionieri non avvertivano il dolore. Non era questo l’effetto su Miles: il dolore andava e veniva, come un’onda, lontano e distaccato prima, bruciante come una scossa elettrica un attimo dopo. Con raccapriccio, si accorse che stava piangendo. Allora smise, con un singhiozzo.

Galen lo fissava, con un misto di attrazione e ripugnanza.

«C’è qualcosa che non va» mormorò una delle guardie. «Non dovrebbe comportarsi così, non è normale. Che si tratti di qualche nuovo tipo di condizionamento?»

«Però non resiste al penta-rapido» fece notare Galen, guardando l’orologio. «Non sta nascondendo le informazioni, ne da’ più di quelle richieste, troppe di più.»

La consolle di comunicazione cominciò a trillare con insistenza.

«Rispondo io» si offrì Miles. «Probabilmente è per me.» Si alzò di scatto dalla sedia, tuffandosi in avanti, le ginocchia cedettero e cadde a faccia in giù sul tappeto, che gli pizzicò le guance. Le due guardie lo rimisero in piedi e lo fecero risedere. La stanza prese a girargli intorno lentamente. Galen rispose alla chiamata.

«A rapporto» disse dal video la voce brusca di Miles, nella sua incarnazione con l’accento barrayarano.

La faccia del clone non gli parve così famigliare come quella che si sbarbava tutte le mattine nello specchio. «Ha la riga dalla parte sbagliata. Se vuole farsi passare per me» osservò «non è…» Ma tanto nessuno lo ascoltava. Miles considerò gli angoli di incidenza e gli angoli di riflesso, con i pensieri che rimbalzavano avanti e indietro alla velocità della luce tra le pareti a specchio del suo cranio vuoto.

«Come sta andando?» Galen si sporse ansioso verso il video.

«Per poco, nei primi cinque minuti non è andato tutto a monte. Quel grosso dendarii che guidava, era nientemeno che il suo maledetto cugino.» La voce del clone era bassa e tesa. «Per pura fortuna sono riuscito a far passare il mio primo errore come uno scherzo. Ma divido la stanza con quel bastardo. E russa.»

«Verissimo» commentò Miles senza che nessuno glielo avesse chiesto. «Ma se vuoi davvero divertirti, aspetta che cominci a sognare di fare l’amore. Maledizione, vorrei farli io i sogni che fa Ivan. Invece non ho altro che orribili incubi: giocare a polo nudo contro una marea di cetagandani morti, usando come palla la testa mozzata del tenente Murka, che urla tutte le volte che la colpisco. Cadere e venir calpestato…» il borbottio di Miles si interruppe, tanto lo ignoravano tutti.

«Prima che questa storia finisca, avrai a che fare con un mucchio di gente che lo conosce» rispose burbero Galen. «Ma se riesci a ingannare Vorpatril, riuscirai a ingannare chiunque…»

«Puoi ingannare tutti qualche volta» cinguettò Miles, «e qualcuno tutte le volte, ma Ivan lo puoi ingannare sempre: tanto lui non presta attenzione.»

Galen gli rivolse un’occhiata irritata. «L’ambasciata è un microcosmo isolato perfetto per questa prova» proseguì rivolto al video, «prima che tu salga sul più vasto palcoscenico di Barrayar. La presenza di Vorpatril lo rende il banco di prova ideale. Se si accorge di qualcosa, dobbiamo eliminarlo.»

«Mmm.» Il clone non sembrava per nulla rassicurato. «Prima che cominciassimo, credevo che tu fossi riuscito a darmi tutte le informazioni possibili su Miles Vorkosigan… poi, all’ultimo momento scopri che per tutto questo tempo ha condotto una doppia vita… quali altri particolari non conosciamo?»

«Miles, ne abbiamo già discusso…»

Con un brivido, Miles si rese conto che Galen chiamava il clone con il suo nome: il condizionamento al suo ruolo era tale che non aveva neppure un nome suo? Strano…

«Lo sapevamo che ci sarebbero stati dei vuoti in cui avresti dovuto improvvisare. Ma non avremmo mai avuto un’opportunità migliore di questa sua inaspettata visita sulla Terra; molto più facile che aspettare altri sei mesi e fare lo scambio su Barrayar. No, è adesso o mai più.» Galen trasse un profondo respiro per calmarsi. «Dunque sei riuscito a passare la notte senza danni.»

Il clone sbuffò. «Già, a parte essermi svegliato mezzo strangolato da una maledetta coperta di pelo animata.»

«Cosa? Oh, la pelliccia viva. Non l’ha data alla sua donna?»

«Evidentemente no. Me la sono quasi fatta addosso prima di capire cos’era. E ho svegliato il cugino.»

«Ha sospettato qualcosa?» chiese subito Galen, preoccupato.

«Ho detto di aver avuto un incubo: sembra che Vorkosigan li abbia abbastanza spesso.»

Miles annuì con aria saputa. «È quello che vi avevo detto. Teste mozzate… ossa rotte… parenti mutilati… insolite alterazioni di importanti parti del mio corpo…» Sembrava che la droga avesse strani effetti sulla memoria, e senza dubbio questo era in parte quello che rendeva il penta-rapido così efficace per gli interrogatori.

I sogni che aveva fatto di recente gli stavano tornando in mente con molta più chiarezza di quanto non li avesse mai ricordati da sveglio. Però, tutto considerato era contento di avere l’abitudine a dimenticarli.

«Vorpatril ha fatto qualche osservazione in proposito, al mattino?» chiese Galen.

«No. E poi io non parlo molto.»

«Questo è fuori dalla parte» osservò Miles, volonteroso.

«Fingo di avere uno di quei piccoli episodi temporanei di depressione a cui lui va soggetto, stando ai rapporti… e quello che è?» chiese il clone, storcendo il collo.

«Vorkosigan in persona.»

«Ah, bene: non ho fatto che ricevere chiamate tutta la mattina dai suoi mercenari che chiedevano ordini.»

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