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«E va bene, uno di quei maledetti R. mi ha dato uno spintone e io gli ho fatto lo sgambetto. È sedizione, questa?»

«La corte ha deciso di sì. Sei stato condannato e multato.»

«Il che estingue il mio debito. O vuoi farmi la multa di nuovo?»

«L’altro ieri sera c’è stata una mezza sommossa, in un negozio di scarpe del Bronx. Sei stato visto là.»

«Da chi?»

Baley ignorò la domanda. «A quell’ora avresti dovuto essere qui a mangiare. L’hai fatto?»

Clousarr esitò, poi scosse la testa. «Mi faceva male lo stomaco. Sai, a volte il lievito combina di questi scherzi anche a chi ci lavora da anni.»

«Ieri sera c’è stato un incidente a Williamsburg. Sei stato visto anche lì.»

«Da chi?»

«Neghi di essere stato sul posto in queste due occasioni?»

«Non ho nemmeno bisogno di negare. Vuoi dirmi dove sono successi esattamente questi fatti e chi dice di avermi visto?»

Baley dette un’occhiata penetrante all’enzimologo. «Penso che tu sappia molto bene di che sto parlando. Penso che sei un pezzo grosso di un’associazione medievalista clandestina.»

«Non posso impedirti di pensare, amico, ma le tue congetture nop sono prove. Questo lo saprai.» Clousarr sorrideva.

«Forse» disse Baley con la lunga faccia impassibile. «Ma io conosco il sistema di tirarti fuori la verità. Ora.»

Baley aprì la porta della stanza e disse R. Daneel, che aspettava ubbidiente all’esterno: «Il pranzo del nostro amico non è arrivato?».

«Lo stanno portando, Elijah.»

«Allora appena arriva vieni, d’accordo?»

R. Daneel entrò qualche secondo dopo con un vassoio di metallo.

«Mettilo davanti al signor Clousarr, Daneel.» Baley sedette su uno degli sgabelli allineati lungo il muro, con le gambe incrociate, una scarpa che ondeggiava ritmicamente. Mentre R. Daneel gli metteva davanti il vassoio, l’enzimologo si ritrasse con un gesto brusco che non sfuggì a Baley.

«Voglio presentarti il mio collega, Clousarr. Daneel Olivaw.»

Daneel tese la mano e disse: «Come va, Francis».

Clousarr non disse niente; non prese la mano di Daneel, che continuò a tenerla tesa, e dopo un po’ arrossì.

«Vedo che fai lo sgarbato, signor Clousarr» disse piano Baley. «O sei troppo orgoglioso per stringere la mano a un poliziotto?»

«Se non vi dispace, io ho fame» borbottò l’enzimologo. Pescò in tasca un temperino milleusi e ne ricavò una forchetta. Da quel momento in poi tenne gli occhi bassi e si concentrò sul pasto.

«Daneel, credo che il nostro amico sia offeso dai tuoi modi un po’ freddi» disse Baley. «Ma tu non sei arrabbiato con lui, vero?»

«Nient’affatto, Elijah.»

«Allora fagli vedere che non c’è rancore. Mettigli un braccio intorno alla spalla.»

«Con piacere» disse R. Daneel, e fece un passo avanti.

Clousarr mise giù la forchetta. «Come sarebbe? Che storia è questa?»

R. Daneel, imperturbabile, allungò il braccio.

Clousarr si spostò violentemente, scansando il braccio del robot. «Maledizione, non toccarmi!»

Il vassoio con il pranzo cadde sul pavimento con un gran fracasso.

Baley, implacabile, fece un cenno a Daneel che continuò ad avanzare con il braccio teso, mentre l’enzimologo non sapeva più dove ripararsi. Baley si era piazzato fra lui e la porta.

Clousarr gridò: «Levami quell’affare di torno!».

«Non è modo di parlare» disse Baley. «Quest’uomo è il mio collega.»

«È un maledetto robot!» urlò Clousarr.

«Allontanati da lui, Daneel.»

R. Daneel obbedì e si mise davanti alla porta, qualche centimetro dietro Baley. Clousarr, con il fiatone e i pugni stretti, si parò davanti all’agente.

«Va bene, furbo» disse Baley. «Cosa ti fa credere che Daneel sia un robot?»

«Lo capirebbe chiunque!»

«Lasceremo che sia il giudice a decidere se è così. Nel frattempo, Clousarr, ti porteremo alla centrale. Dovrai spiegarci come facevi a sapere che Daneel era un robot. E molte cose ancora. Daneel, vai fuori e chiama il questore: sarà a casa, a quest’ora. Digli di venire in ufficio, ho un tipo che non può aspettare di essere interrogato.»

R. Daneel uscì.

«A che cosa miri, Clousarr? Chi sei?» chiese Baley.

«Voglio un avvocato.»

«L’avrai. Ma nel frattempo, perché non mi dici cosa volete voi medievalisti?»

Clousarr evitò di guardarlo e si chiuse in un silenzio impenetrabile.

Baley disse: «Perdinci, sappiamo tutto su di voi e la vostra organizzione. Non sto bluffando. È solo che vorrei sentirlo con le mie orecchie, per curiosità: dove volete arrivare?»

«Noi vogliamo tornare alla terra» rispose l’enzimologo con voce soffocata. «È semplice, non ti pare?»

«È semplice a parole» ribatté Baley. «Ma nei fatti è diverso. Come farà, la terra, a sfamare otto miliardi di persone?»

«Ho detto che bisogna tornarci in un giorno? O in un anno? O in cento anni? Gradatamente, signor poliziotto. Non importa quanto tempo ci vorrà, quello che conta è cominciare a mettere la testa fuori dalle caverne in cui viviamo. Prendere una boccata di aria.»

«Tu hai mai preso una boccata d’aria?»

Clousarr rabbrividì. «D’accordo, io sono rovinato. Ma i bambini non sono condizionati ancora da questo sistema, e ne nascono continuamente. Portateli all’aria aperta, per l’amor di Dio. Portateli fuori di qui, dove c’è sole a spazio. Se sarà necessario ridurremo poco a poco la popolazione.»

«In altri termini, vuoi tornare a un passato impossibile.» Baley non sapeva perché si fosse messo a discutere, ma nelle vene gli bruciava una strana febbre. «Tornare al seme, all’uovo, al grembo. Perché non muoversi in avanti, invece? Non riduciamo la popolazione del pianeta, esportiamola. Torniamo alla terra, d’accordo, ma a quella di altri mondi. Trasformiamoci in coloni!»

Clousarr fece un’aspra risata. «Per creare altri Mondi Esterni? Altri Spaziali?»

«No. I Mondi Esterni furono colonizzati da terrestri che venivano da un pianeta dove le Città erano un fatto ancora sconosciuto, terrestri individualisti e materialisti. Queste qualità sono state esasperate e portate all’estremo, come noi abbiamo spinto troppo un modello di società fondato sulla cooperazione. Il nuovo ambiente e la tradizione che ci portiamo alle spalle si amalgameranno e daranno un sistema nuovo, la giusta via di mezzo fra la Terra e i Mondi Esterni. E saremo diversi sia dall’una che dagli altri! Saremo qualcosa di nuovo e di migliore.»

Ripeteva a pappagallo le parole del dottor Fastolfe, e lo sapeva; ma in un certo senso era come se fossero sue ed esprimessero un desiderio covato da anni.

Clousarr disse: «Balle! Colonizzare mondi esterni quando ne abbiamo uno nostro a disposizione, sotto i piedi! Solo dei pazzi tenterebbero».

«Forse ce ne sono molti, di quei pazzi. E molti uomini normali andrebbero con loro. Con i robot a dare una mano.»

«No» disse Clousarr, fermo. «Robot mai!»

«Perché no, per l’amor del cielo? Non piacciono neanche a me, ma non sono disposto a suicidarmi per un pregiudizio. Che cosa temiamo nei robot? Se vuoi la mia teoria, abbiamo tutti un complesso d’inferiorità nei loro confronti, come l’abbiamo nei confronti degli Spaziali. Per compensarlo dobbiamo convincerci di essere superiori, ma per il nostro orgoglio è un colpo mortale dover dimostrare d’essere superiori a una… macchina! E la maledetta ironia è che sembrano superiori, ma non lo sono.»

Baley s’accalorava sempre di più. «Prendi questo Daneel, ci lavoro insieme da due giorni. È più alto di me, più forte, più bello. Sembra uno Spaziale. Ha una memoria migliore della mia e sa più cose, non ha bisogno di dormire o di mangiare. Non è tormentato dal mal di pancia, dal panico, dall’amore o dal senso di colpa.

«Però è una macchina. Posso fargli quello che voglio, proprio come se fosse una di quelle microbilance. Se do uno schiaffo a una bilancia non me lo restituisce, giusto? Nemmeno Daneel. Posso ordinargli di puntarsi addosso un fulmine e lo farà.

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