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«Che ora è, Daneel?»

«Sedici e zero cinque» rispose l’automa.

«Allora sarà al lavoro, se è del turno di giorno.»

Baley parcheggiò l’autopattuglia nel settore riservato ai trasporti e bloccò i comandi.

«Questa è dunque la Lieviti Newyorchesi, Elijah?» chiese R. Daneel.

«Una parte» disse Baley.

Entrarono in un corridóio fiancheggiato da una duplice fila di uffici. Un’impiegata li accolse tutta sorrisi: «Chi desiderate vedere?».

Baley mostrò il distintivo. «Polizia. Un certo Francis Clousarr lavora per voi?»

La ragazza sembrava turbata. «Un attimo, controllo.»

Infilò uno spinotto nel pannello su cui era scritto "Personale" e mosse leggermente le labbra, anche se non ne uscì suono.

Baley conosceva i laringofoni, che traducevano in parole i piccoli movimenti della laringe. Disse: «Parli ad alta voce, per favore. Devo sentirla».

Le parole divennero udibili, ma ormai la frase era finita: «…Dice che è un poliziotto, signore.»

Un uomo dai capelli neri e ben vestito uscì da uno degli uffici. Portava baffetti sottili e cominciava ad essere stempiato. Fece un sorriso a tutti denti e disse: «Sono Prescott, il capo del personale. Qual è il problema, agente?».

Baley lo gratificò di un’occhiata gelida e il sorriso di Prescott si raggrinzì.

«Non voglio turbare i lavoratori» riprese il capo del personale. «Sono molto suscettibili, quando si nomina la polizia.»

Baley disse: «Che ci vuol fare, è dura. Questo Clousarr si trova qui o no?».

«Sì, agente.»

«Ci procuri una bacchetta magica, allora. E se non trovo Clousarr al suo posto, verrò a ripescare lei.»

Il sorriso dell’altro era scomparso. Borbottò: «Le prendo la bacchetta, agente».

La bacchetta magica venne puntata sul settore CG, divisione 2. Che cosa questo significasse nel linguaggio delle fattorie Baley non lo sapeva, né era suo compito saperlo. La bacchetta era un affanno che si poteva tenere nella palma di una mano la punta si scaldava dolcemente quando era in linea con la direzione prestabilita, si raffreddava quando ne era deviata. Il calore cresceva man mano che ci si avvicinava alla meta.

Per un dilettante la bacchetta sarebbe stata inutile, visto che gli sbalzi di temperatura erano sfumati ma continui; tuttavia, ben pochi abitanti della Città erano dilettanti a quel gioco particolare. Fra i bambini uno dei divertimenti preferiti era sempre l’universale nascondino, che si giocava nei corridoi scolastici con l’aiuto di bacchette-giocattolo. ("Caldo o no, può trovare chi vuole. Le Bussole Termiche sono precise!")

Baley si era sbrogliato da più di una situazione complicata grazie all’aiuto delle bacchette; con l’esperienza riusciva a servirsene in modo perfetto, e a trovare la strada più breve per raggiungere qualsiasi punto.

Dopo dieci minuti sbucò in una stanza grande e molto illuminata; la punta della bacchetta era decisamente calda.

Baley chiese all’operaio davanti alla porta: «Francis Clousarr è qui?».

L’operaio fece un cenno con la testa, indicando la direzione. Baley si avviò da quella parte. L’odore di lievito era pesante, nonostante l’azione delle pompe che cambiavano l’aria e il cui ronzio formava un caratteristico rumore di fondo.

Un uomo era uscito dall’altra estremità della stanza e si stava togliendo il grembiule. Era di altezza modesta, la faccia incisa di rughe nonostante l’età non molto avanzata e i capelli che cominciavano a ingrigire. Le mani erano grandi e nodose, e l’uomo le pulì più volte su un foglio di celltex.

«Sono Francis Clousarr.»

Baley dette una rapida occhiata a R. Daneel e il robot annuì.

«Okay» disse Baley. «C’è un posto dove possiamo parlare?»

«Forse» disse Clousarr lentamente «ma il mio turno è quasi finito. Perché non ripassate domani?»

«Troppe ore, fino a domani. Parleremo adesso.»

Baley aprì il pprtafoglio e mostrò il distintivo al coltivatore.

Le mani di Clousarr, che era ancora intento a pulirsele, non tradirono alcun segno di nervosismo. L’uomo disse, freddamente: «Non so come vi regolate al Dipartimento di polizia, ma qui non abbiamo l’orario elastico. Per mangiare ho un intervallo preciso, dalle 17 alle 17,45, o salto il pasto».

«Non preoccuparti di questo, ti farò portare il pranzo qui.»

«Bene, bene» disse Clousarr senza entusiasmo. «Come un aristocratico o un poliziotto di classe C. Qual è il prossimo passo, un bagno privato?»

«Limitati a rispondere alle domande, Clousarr» disse Baley «e risparmia le grandi freddure per quando esci con la ragazza. Dove possiamo parlare?»

«Se volete parlare, che ne dite della stanza delle bilance? Dovrebbe andarvi bene, ma vi avverto che io non ho niente da dire.»

Baley spinse Clousarr nella stanza delle bilance, quadrata e asettica, dipinta di bianco e con il condizionamento autonomo: in effetti funzionava meglio che nella stanza più grande. Lungo le pareti erano allineate una serie di bilance elettroniche, chiuse in bacheche di vetro e azionabili solo da campi di forza. Quando andava a scuola Baley ne aveva usato dei modelli più economici. Un modello, che riconobbe, poteva pesare un solo miliardo di atomi.

Clousarr disse: «Qui per un po’ non verrà nessuno».

Baley borbottò qualcosa, poi disse a Daneel: «Ti dispiace andare a chiedere il pranzo di questo signore? E magari aspetta che te lo portino».

Guardò il robot che usciva, poi cominciò con Clousarr. «Sei un chimico?»

«Un enzimologo, se non ti dispiace.»

«Che differenza c’è?»

Clousarr si dette un’aria d’importanza. «Un chimico è uno che mescola la zuppa, che aggiunge gli odori. Un enzimologo è quello che mantiene in vita le persone. Qualche miliardo di persone. Sono uno specialista di colture.»

«Sta bene» disse Baley.

Ma Clousarr continuò: «Il mio laboratorio è quello che tiene su la Lieviti Newyorchesi. Non c’è giorno, non c’è ora che non facciamo crescere nelle nostre campane migliaia di speci di lievito, e tutte servono alla società. Controlliamo e correggiamo i fattori dietetici, ci assicuriamo che i nuovi ceppi abbiano le caratteristiche richieste, modifichiamo i fattori genetici creando nuove specie e poi estirpandole, ma dopo averne isolato le proprietà.

«Quando i newyorchesi ebbero la gradita sorpresa di trovare fragole fuori stagione, un paio d’anni fa, quelle non erano fragole. Erano una speciale coltura di lieviti zuccherati, con colore naturale e un minimo di additivi. La progettammo qui, in questo reparto.

«Vent’anni fa la Saccharomyces olei Benedictae era solo una porcheria dal sapore disgustoso e buona a niente; quando la si mangiava si aveva l’impressione di masticare sego. Il sapore di sego è rimasto, ma il contenuto di grassi è salito dal 15% all’87%. Se oggi prenderai la strada celere, amico, ricordati che è oliata con S.O. Benedictae, ceppo AG-7. Creato qui, in questo reparto.

«Quindi non chiamarmi chimico. Io sono un enzimologo.»

Baley, suo malgrado, fu impressionato. Chiese bruscamente: «Dove ti trovavi, ieri sera, fra le diciotto e le venti?».

Clousarr si strinse nelle spalle. «Passeggiavo. Mi piace fare una passeggiatina dopo pranzo.»

«Sei andato a trovare amici? Hai guardato la subeterica?»

«No, ho solo passeggiato.»

Baley strinse le labbra. Se fosse andato alla subeterica la piastra avrebbe recato il contrassegno della razione consumata. Se avesse fatto visita ad amici, Baley avrebbe chiesto i nomi e controllato. «Non ti ha visto nessuno, quindi.»

«Forse sì, non lo so. Non che io sappia.»

«E la sera prima?»

«Lo stesso.»

«Vuoi dire che non hai un alibi né per ieri né per l’altro ieri?»

«Se avessi fatto qualcosa di male, agente, ce l’avrei. Ma a che mi serve un alibi?»

Baley non rispose e consultò il suo taccuino. «Sei già comparso una volta davanti al magistrato. Incitamento alla sedizione.»

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