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XIII

Ora tocca alla macchina

«Non è così» disse R. Daneel, tranquillo.

«Davvero? Lasciamo che sia il dottore a deciderlo. Dottor Gerrigel…»

«Signor Baley?» Il robotista, il cui sguardo si era diviso faticosamente fra il robot e l’agente, fissò ora l’uomo.

«L’ho fatta venire qui per avere la sua autorevole analisi di questo robot. Posso fare in modo che abbia a disposizione i laboratori della Città. Se avrà bisogno di uno strumento che manca, glielo procurerò. Voglio una risposta rapida e precisa, e finirla con questa storia.»

Baley si alzò. Aveva parlato con calma, ma dentro si sentiva prossimo all’isteria. Se avesse potuto afferrare il dottor Gerrigel per il collo ed estorcergli seduta stante le risposte che gli servivano, l’avrebbe fatto senza riguardi.

«E allora, dottor Gerrigel?»

Lo scienziato fece un risolino nervoso. «Mio caro signor Baley, non ho bisogno di un laboratorio.»

«Come mai» chiese Baley, apprensivo. Stava in piedi, con i muscoli tesi e sul punto di mettersi a tremare.

«Non è difficile mettere alla prova la Prima Legge. Non l’ho mai fatto, questo è vero, ma la procedura è semplicissima.»

Baley inspirò lentamente e pòi lasciò che i polmoni si liberassero. «Vuole spiegarmi che cosa intende? Vuole dire che la prova può essere fatta qui?»

«Sì, certo. Le darò un termine di paragone, signor Baley. Se fossi un medico e dovessi esaminare il contenuto di zucchero del sangue di un paziente avrei bisogno del laboratorio. Se dovessi analizzarne il metabolismo, o le funzioni corticali, o il patrimonio genetico per trovare una malformazione congenita, tutto questo richiederebbe complesse apparecchiature. Ma se volessi accertarmi che il paziente vede mi basterebbe passargli una mano davanti agli occhi; e se volessi scoprire se è vivo o morto sarebbe sufficiente tastargli il polso.

«Quello che voglio dire è che più è importante la facoltà messa alla prova, più semplice è l’attrezzatura necessaria. Lo stesso vale con i robot: la Prima Legge è fondamentale, influisce su tutto il resto. Se non ci fosse, il robot non riuscirebbe a compiere alcune azioni basilari.»

Mentre parlava prese un oggetto piatto, nero, che gonfiò alle dimensioni di un visore per libro. Inserì una bobina piuttosto consunta nel ricettacolo e prese un cronometro. Poi incastrò una piccola serie di pezzi di plastica che formarono una specie di regolo calcolatore, con tre scale graduate indipendenti e mobili. Baley non ne aveva mai viste di simili.

Il dottor Gerrigel diede un colpetto al visore e fece uno dei suoi piccoli sorrisi, come se la prospettiva di lavorare un poco lo mettesse di buonumore.

Disse: «È il mio Manuale di robotica. Non vado da nessuna parte senza di lui, fa parte dell’abbigliamento». Era tutto soddisfatto, e ci teneva che si notasse.

Si portò il visore agli occhi e cominciò a regolare i comandi. L’apparecchio ronzava e ogni tanto si fermava.

«Indice incorporato» disse il robotista, un po’ impacciato perché il visore gli copriva parte della bocca. «L’ho costruito io stesso, risparmia un mucchio di tempo. Ma non è questo il punto, vero? Vediamo. Umm, vuoi avvicinare la tua sedia a me, Daneel?»

R. Daneel obbedì. Durante i preparativi fatti dal robotista aveva osservato attentamente ma senza la minima emozione.

Baley continuò a tenerlo sotto tiro.

Quello che avvenne poi lo confuse e lo disorientò. Il dottor Gerrigel fece una serie di domande e compì una serie di azioni che sembravano senza senso, interrompendosi ogni tanto per controllare la triplice scala graduata e per dare un’occhiata al visore.

Una volta chiese: «Se abbiamo due cugini con cinque anni di differenza, e il più giovane è una ragazza, di che sesso sarà il più anziano?».

Daneel rispose, com’era ovvio: «Impossibile dirlo in base alle informazioni fornite».

Al che il dottor Gerrigel diede un’occhiata al cronometro e tese la mano destra: «Vuoi toccarmi il medio con il terzo dito della mano sinistra?».

Daneel obbedì prontamente.

In un quarto d’ora il dottor Gerrigel aveva finito. Usò il regolo calcolatore per un’ultima e silenziosa verifica, poi lo smontò. Mise via il cronometro, tolse il Manuale di robotica dal visore e compresse quest’ultimo.

«È tutto?» chiese Baley, aggrottando le sopracciglia.

«È tutto.»

«Ma è ridicolo! Non gli ha chiesto niente che riguardi la Prima Legge.»

«Caro signor Baley, quando il medico le colpisce il ginocchio con un martelletto lei non dubita che abbia tentato di accertare la presenza di un’affezione nervosa, vero? E quando le guarda gli occhi e giudica la reazione delle sue iridi alla luce, non si sorprende se è in grado di scoprire un’eventuale dedizione a certi alcaloidi…»

Baley disse: «E va bene. Qual è la sua decisione?».

«Daneel è stato fatto nel rispetto della Prima Legge.» Il robotista fece un deciso cenno affermativo.

«Non può essere» disse Baley, furioso.

Non pensava che il dottor Gerrigel riuscisse a irrigidirsi più di tanto, ma sbagliava. Gli occhi dello scienziato divennero piccoli e duri.

«Vuole insegnarmi il mio lavoro?»

«No, assolutamente» rispose Baley, cercando di calmarlo con un gesto della mano. «Ma non potrebbe essersi sbagliato? Ha detto lei stesso che nessuno conosce il modo per fabbricare un robot non-Asenio… Le farò un esempio: un cieco può leggere con l’aiuto del Braille o di uno scriptor sonoro, ma adesso immagini di non conoscere l’esistenza di questi rimedi. Potrebbe, in tutta onestà, affermare che un uomo ha gli occhi solo perché conosce il contenuto di un librofilm?»

«Sì» replicò il robotista, di nuovo cordiale. «Capisco il suo punto, ma resta il fatto che un cieco non legge facendo uso degli occhi, ed è proprio questo, per continuare nella sua analogia, che io ho tentato di accertare. Mi creda, a prescindere da quello che un robot non-Asenio può o non può fare, è certo che R. Daneel è fornito della Prima Legge.»

«Non può aver falsificato le risposte?» Baley stava perdendo, e lo sapeva.

«Certamente no, questa è la differenza fra un robot e un uomo. Un cervello umano, e se è per questo di qualunque mammifero, non può essere analizzato da nessun sistema matematico conosciuto. Nessuna risposta, quindi, può essere considerata una certezza. Il cervello robotico, al contrario, è completamente analizzabile, o non potremmo costruirlo. Sappiamo esattamente quali devono essere le risposte a determinati stimoli e nessun robot può sottrarsi a questo fatto. Ciò che lei chiama falsificazione non esiste nell’orizzonte mentale di un automa.»

«Allora facciamo degli esempi pratici. R. Daneel ha puntato un fulminatore su una folla di uomini, l’ho visto io. Non ha sparato, ma secondo me la Prima Legge avrebbe dovuto provocargli ugualmente dei rimorsi, un conflitto. Una nevrosi, se vuole. E invece, niente di tutto questo è avvenuto. Dopo era perfettamente normale.»

«Il robotista si sfregò il mento, esitante. «La faccenda è strana, lo ammetto.»

«Nient’affatto» disse improvvisamente R. Daneel.

«Collega Elijah, vuoi esaminare il fulminatore che mi hai preso?»

Baley guardò l’arma che teneva nella mano sinistra.

«Apri la camera di carica» lo esortò R. Daneel. «Ispezionala.»

Baley soppesò la situazione, poi posò la propria arma sul tavolo e con un rapido movimento aprì quella del robot.

«È vuota» disse, con un filo di voce.

«Infatti, non c’è la carica» assentì R. Daneel. «E se guarderai più attentamente, vedrai che non c’è mai stata. In quel fulminatore manca il dispositivo d’accensione, quindi non può sparare.»

Baley disse: «Hai puntato un’arma scarica sulla folla?».

«Dovevo avere un fulminatore, o non sarei stato credibile come agente» spiegò R. Daneel. «Ma uno funzionante mi avrebbe permesso di nuocere a un essere umano, anche solo per incidente, e questo è impensabile. Ti avrei spiegato tutto a suo tempo, ma tu eri arrabbiato e non volevi ascoltare.»

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