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«Perché?»

«Sai come sono le sommosse.»

«Nessuno sa dov’è questo robot, giusto?»

«No, ma potrebbero scoprirlo.»

«E questo è tutto ciò che temi? Una sommossa?»

«Be’…»

«Ssst!» Costrinse Jessie a rovesciarsi sul cuscino, poi le avvicinò le labbra alle orecchie: «È tornato. Ora ascolta ma non dire una parola. È tutto a posto. Domani mattina se ne andrà e non tornerà più, te lo prometto. Non ci saranno disordini».

Si sentì soddisfatto delle proprie parole, completamente soddisfatto. Pensò che sarebbe riuscito ad addormentarsi, ora.

"Niente disordini, niente sommossa" pensò ancora una volta. "E niente declassamento."

Un attimo prima di addormentarsi, un ultimo pensiero gli attraversò il cervello: "Niente indagine. Basta. La cosa è risolta…".

Dormiva, ora.

VII

Escursione a Spacetown

Il questore Julius Enderby si pulì gli occhiali con premurosa attenzione e li piazzò a cavallo del naso.

Baley pensò: «È un buon trucco. Ti tiene occupato mentre pensi a cosa dire, e non è costoso come accendere una pipa».

E siccome quel pensiero gli era entrato nella mente, tirò fuori la sua e pescò nel contenitore del tabacco, uno dei pochi lussi che la Terra si concedesse e che ormai stava per finire. Durante la vita di Baley il prezzo era sempre salito e le razioni erano sempre diminuite.

Enderby, che si era sistemato gli occhiali, cercò l’interruttore a un’estremità della scrivania e per un momento rese la porta trasparente, ma solo nel suo senso. «A proposito, adesso dov’è?»

«Mi ha detto che voleva visitare il Dipartimento. Ho lasciato l’onore a Jack Tobin.» Baley accese la pipa e strinse accuratamente il diaframma. Il questore, come molti non-fumatori, era insofferente all’odore di tabacco.

«Spero non gli abbia detto che Daneel è un robot.»

«No, naturalmente.»

Il questore non riusciva a rilassarsi. Una mano continuò a trafficare senza scopo con il calendario automatico che teneva sulla scrivania.

«Come va?» chiese, senza guardare Baley.

«È abbastanza dura. Non troppo.»

«Mi dispiace, Lije.»

Baley disse, fermo: «Avrebbe potuto avvertirmi che il suo aspetto era completamente umano».

Il questore parve sorpreso: «Non l’ho fatto?». Poi, con improvvisa petulanza: «Maledizione, avresti dovuto capirlo. Non ti avrei chiesto di tenerlo a casa, se fosse stato come R. Sammy, ti pare?».

«Lo so, questore, ma io non avevo mai visto un robot come quello. Non credevo che cose simili fossero possibili. Mi sarebbe piaciuto che lei me lo dicesse, tutto qua.»

«E va bene, Lije, mi dispiace, avrei dovuto dirtelo. Hai ragione. È solo che questo lavoro mi provoca una tale tensione che finisco per essere brusco con la gente senza motivo. Lui, intendo quel coso, Daneel, è un nuovo modello. È ancora in fase sperimentale.»

«Me l’ha spiegato lui stesso.»

«Bene. Questo è tutto, credi.»

Baley s’irrigidì un poco. Questo era il momento. Con i denti stretti intorno al cannello disse, senza importanza: «R. Daneel ha organizzato una visita a Spacetown per me».

«A Spacetown!» Enderby alzò gli occhi con un lampo d’indignazione.

«Sì, questore, è la mossa da fare ora. Voglio vedere la scena del delitto e fare un po’ di domande.»

Enderby scosse la testa, deciso: «Non credo che sia una buona idea, Lije. Abbiamo già setacciato quel posto e dubito che ci siano altre cose da scoprire. Inoltre, quella è gente strana. Guanti di velluto! Va trattata con i guanti di velluto. Non hai la esperienza».

Si passò una mano grassoccia sulla fronte e aggiunse, con inatteso fervore: «Li odio».

Baley cercò di suonare altrettanto ostile: «Maledizione, il robot è venuto qui e adesso io voglio andare da loro. È già abbastanza brutto dividere il sedile davanti con un automa, non ho intenzione di essere trasferito su quello dietro! Ovviamente se lei ritiene che io non sia qualificato per continuare quest’indagine, questore…».

«Non è questo, Lije. Non è colpa tua, ma degli Spaziali; non sai come sono fatti.»

Baley aggrottò le sopracciglia. «Va bene, allora. Se lei venisse con noi?» Teneva la mano destra sul ginocchio e incrociò automaticamente le dita.

Il questore fece tanto d’occhi. «No, Lije, io non tornerò in quel posto. Non chiedermelo.» Dava l’impressione di uno che avesse parlato troppo impulsivamente e cercasse di rimediare all’errore. Con più calma, e con un sorriso nient’affatto convincente, disse: «Ho un mucchio di lavoro, credi. Sono indietro di parecchi giorni».

Baley lo guardò pensieroso. «Le dico io cosa faremo. La chiamerò via trimension da Spacetown, quando avrò qualche elemento. Non per molto; solo nel caso che mi serva il suo aiuto.»

«Va bene, questo si può fare.» Ma il questore non sembrava entusiasta.

«D’accordo.» Baley guardò l’orologio a muro, annuì e si alzò. «Mi terrò in contatto con lei.»

Quando uscì dall’ufficio, Baley tenne aperta la porta un secondo più del necessario. Vide il questore appoggiare la testa nell’incavo di un gomito e restare accasciato sulla scrivania. Avrebbe giurato di sentirlo singhiozzare.

"Giosafatte!" pensò, in preda allo stupore.

Fece una pausa nella sala comune e sedette sull’angolo di una scrivania, ignorando l’occupante che alzò la testa, mormorò un saluto formale e tornò al suo lavoro.

Baley staccò il diaframma dal fornello della pipa e ci soffiò dentro. Rivoltò la pipa sul piccolo aspiracenere da tavolo e vi lasciò cadere il contenuto grigiastro. Guardò con rimpianto il fornello vuoto, reinserì il diaframma e mise via il tutto. Un’altra razione di tabacco andata via per sempre!

Rifletté su quanto era avvenuto. In un certo senso Enderby l’aveva sorpreso, perché si era aspettato maggiore resistenza alla sua idea di andare a Spacetown. Molte volte il questore aveva parlato della difficoltà di trattare con gli Spaziali e molte volte aveva ripetuto che solo i più abili diplomatici erano adatti a quel lavoro, anche se si trattava di un piccolo problema.

Eppure, in questo caso aveva ceduto facilmente. Baley si era aspettato che Enderby insistesse per accompagnarlo: il lavoro arretrato era una scusa banale, perché il caso a cui stavano lavorando aveva la precedenza assoluta.

Baley, tuttavia, non voleva la compagnia del superiore, ma esattamente ciò che aveva ottenuto. Voleva che il questore fosse presente sotto forma di proiezione tridimensionale, in modo da poter seguire le indagini da un punto sicuro.

Sicurezza: ecco la parola chiave. Baley aveva bisogno di un testimone che non potesse essere eliminato immediatamente. Ne aveva bisogno come garanzia minima della propria incolumità.

E il questore aveva accettato il piano. Baley ricordò di averlo sentito singhiozzare, o qualcosa di simile. Pensò: "Santo cielo, quell’uomo ci è dentro fino al collo".

Una voce spensierata, dalla pronuncia ridicola, risuonò dietro di lui facendolo trasalire.

«Che diavolo vuoi?» domandò furente.

Il sorriso sulla faccia di R. Sammy rimase fisso come quello di un idiota. «Jack dice di farti sapere che R. Daneel è pronto, Lije.»

«Va bene. Adesso circola.»

L’automa gli voltò le spalle e Baley pensò che niente era più irritante di quell’ammasso di ferraglia che gli dava regolarmente del tu. Si era lamentato del fatto appena R. Sammy era arrivato al Dipartimento, ma il questore aveva alzato le spalle: "Non si può avere tutto, Lije. Il pubblico insiste che i robot amministrativi siano costruiti con un forte circuito dell’amicizia. È logico, quindi, che lui si senta tuo amico e ti tratti in modo affettuoso".

Circuito dell’amicizia! Nessun robot, di nessun tipo, poteva danneggiare in alcun modo gli esseri umani. Era la Prima Legge della Robotica: "Un robot non può recare danno a un essere umano o permettere che, per il suo mancato intervento, un essere umano riceva danno".

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