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Baley sapeva tutto questo e quindi capì lo sguardo velenoso che gli lanciò la donna dietro lo sportello. La funzionaria annotò il settore di appartenenza, il lavoro, la ragione per cui il pasto veniva richiesto in un altro settore; Baley dichiarò che si trattava di "motivi ufficiali", una definizione irritante ma a prova di bomba. La donna piegò la richiesta con rapidi movimenti delle dita e l’infilò in una fessura. Il computer la trattenne, divorò il contenuto e digerì rapidamente le informazioni.

La funzionaria scoccò un’occhiata a R. Daneel, poi Baley dette la mazzata finale: «Il mio amico non appartiene alla Città».

L’espressione della donna era di completo e assoluto livore. Nonostante ciò, disse: «Città di appartenenza, prego».

Ancora una volta Baley intervenne al posto del robot: «È tutto a carico del Dipartimento di polizia. Non sono necessari dettagli, motivi ufficiali.»

La donna prese un blocco di buoni speciali e riempì il formulario con il codice luce-ombra, ottenuto premendovi due dita della mano destra.

Poi chiese: «Per quanto tempo mangerete da noi?»

«Fino a nuovo ordine» rispose Baley.

«Posate le dita qui» disse lei, girando la scheda.

Baley ebbe un brivido quando le dita perfette, di R. Daneel premettero sul formulario; poi si disse che non c’era ragione di temere, perché Daneel era dotato sicuramente di impronte digitali.

La donna prese la scheda e la infilò nella macchina onnivora che le arrivava al gomito. Il buono non fu respinto e Baley cominciò a respirare meglio.

La funzionaria prese due piastre rosse che significavano "commensale temporaneo", quindi annunciò: «Niente scelta, questa settimana. Siamo a corto. Tavolo DF».

Si avviarono al DF.

«Mi pare di capire che la vostra gente mangia sempre alla stessa mensa.» disse R. Daneel.

«Sì, certo. Non fa piacere pranzare in un posto che non si conosce, fra gente che non si conosce. Nella mensa del tuo settore hai un posto tuo, che occupi tutti i giorni; sei fra amici o in famiglia. Quando si è giovani l’ora di pranzo è il clou della giornata.» Baley sorrise, ricordando i giorni in cui era stato scapolo.

Il tavolo DF faceva parte del gruppo assegnato ai temporanei. I commensali già seduti guardavano il piatto a disagio e non parlavano a nessuno, ma alzavano la testa con invidia quando dai gruppi vicini si alzavano scoppi di risa.

Baley pensò che nessuno è più a disagio dell’uomo che mangia fuori-settore. Per piccina che tu sia, diceva un vecchio proverbio, sei la mensa di casa mia. Perfino il cibo aveva un sapore migliore, a casa, benché i chimici si affannassero a ripetere che era esattamente lo stesso da New York a Johannesburg.

Baley prese posto su uno sgabello e R. Daneel si mise accanto a lui.

«Non si può scegliere, oggi» disse Baley muovendo le dita. «Perciò gira quell’interruttore e aspetta.»

Ci vollero due minuti. Una porzione circolare al centro del tavolo scivolò e al suo posto apparve un piatto.

«Patate pressate, salsa di zimovitello, albicocche al forno. Oh, bene.»

Una forchetta e due fette di pan di lievito apparvero in uno scomparto del divisorio che correva in mezzo al tavolo.

R. Daneel disse a bassa voce: «Se vuoi ti do la mia parte».

Per un attimo Baley fu scandalizzato, poi fece mente locale e si limitò a borbottare: «Non sarebbe educato. Avanti, mangia».

Baley mangiò di buon appetito, ma senza il rilassamento che permette di godere il pranzo come si deve. Ogni tanto, e con discrezione, gettava un’occhiata a R. Daneel: l’automa mangiava con precisi movimenti delle mascelle. Troppo precisi. Non sembrava naturale.

Strano! Ora che Baley sapeva per certo che R. Daneel era un robot, tanti piccoli particolari sembravano indicarlo palesemente. Per esempio, quando R. Dàneel inghiottiva non si vedeva il movimento del pomo d’Adamo.

Eppure, a Baley non importava. Si stava abituando alla creatura? Immaginiamo che la gente ricominci daccapo su un altro mondo (un’idea che gli tornava spesso, da quando il dottor Fastolfe gliela aveva suggerita); immaginiamo che Bentley, per esempio, dovesse lasciare la Terra: potrebbe vivere, e lavorare, insieme agli automi? Certo, perché no. Gli spaziali lo facevano.

R. Daneel disse: «Elijah, è cattiva educazione guardare un altro mentre mangia?»

«Se vuoi dire guardarlo direttamente, la risposta è sì. Ci si arriva con il buon senso, ti pare? Ognuno ha diritto alla sua privacy. Conversare mentre si mangia è legittimo, ma è meglio non guardare l’altro quando inghiotte.»

«Capisco. Allora come mai ci sono otto persone che non ci levano gli occhi di dosso?»

Baley posò la forchetta e si guardò intorno come se cercasse la saliera. «Io non vedo niente di strano.»

Ma lo disse senza convinzione: la folla dei commensali era solo un ammasso caotico. Quando R. Daneel puntò su di lui gli impersonali occhi castani, Baley pensò a disagio che non erano solo occhi, ma sensori che, probabilmente, gli permettevano di analizzare in frazioni di secondo l’intero ambiente.

«Ne sono certo» ripeté R. Daneel, calmo.

«E questo che cosa dimostra? Sono dei maleducati, tutto qui.»

«Non so, Elijah, ma ti pare una coincidenza che sei di loro facessero parte della folla che ha assalito il negozio di scarpe?»

XI

Fuga sulle strade mobili

Baley strinse convulsamente la forchetta.

«Sei sicuro?» chiese senza riflettere, e appena l’ebbe detto si rese conto dell’inutilità della domanda. Non si chiede a un computer se è sicuro della risposta che sforna, e lo stesso vale per un computer con braccia e gambe.

R. Daneel disse: «Sicuro.»

«Sono vicini?»

«Non molto, sono sparpagliati.»

«Va bene, allora.» Baley tornò al proprio pasto, muovendo meccanicamente la forchetta. Dietro la espressione accigliata della lunga faccia, la mente lavorava furiosamente.

Immaginiamo che l’incidente di ieri sera sia stato organizzato da un gruppo di fanatici anti-robot; che non sia nato spontaneamente come sembrava. In un gruppo simile potrebbero esserci degli esperti, gente che ha studiato i robot a fondo per combatterli a fondo. Uno di loro potrebbe aver riconosciuto Daneel per ciò che è. (Anche il questore ha ventilato un’ipotesi del genere. Maledizione, quell’uomo ha imprevedibili risorse…).

La cosa aveva un senso. Dato che la sera prima non erano riusciti a portare a segno il colpo, forse per mancanza di organizzazione, ora stavano studiando un piano per il futuro. Se erano stati in grado di riconoscere R. Daneel, certo avevano capito che Baley era a sua volta un agente di polizia. E un agente di polizia accompagnato da un robot umanoide doveva avere un incarico speciale. (Con il senno di poi Baley riusciva a seguire abbastanza facilmente il ragionamento dei cospiratori).

Dunque, avevano messo delle spie al Municipio (o addirittura negli uffici della Centrale) per tenere d’occhio Baley e R. Daneel prima che passasse troppo tempo. E in ventiquattr’ore erano riusciti a rintracciarli: non era sorprendente. Avrebbero potuto farcela molto prima, se Baley non avesse passato gran parte del giorno a Spacetown e sull’autostrada.

R. Daneel aveva finito il pasto e sedeva tranquillo, in attesa. Le mani perfette appoggiate all’estremità del tavolo avevano un’aria di leggerezza.

«Dobbiamo fare qualcosa?» chiese.

«Qui nella mensa siamo al sicuro» rispose Baley. «Lascia che me ne occupi io. Per favore.»

Baley si guardò intorno cautamente e fu come se vedesse una mensa per la prima volta.

Persone! Migliaia di persone. Quante ne poteva contenere un posto come quello? Una volta aveva visto delle statistiche: duemila e duecento circa, dicevano. E la mensa in cui si trovavano era più grande della media.

Se qualcuno avesse gridato, all’improvviso, la parola "Robot!", se l’avesse gettata in pasto all’orda come un…

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