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I cervelli positronici venivano costruiti in modo che questo comandamento fosse così profondamente radicato nei suoi circuiti da rendere impossibile ignorarlo. Non c’era bisogno di circuiti "amichevoli" supplementari.

Eppure il questore aveva ragione. La diffidenza dei terrestri verso gli automi era un fatto irrazionale, quindi i circuiti dell’amicizia vennero costruiti. Come conseguenza, tutti i robot ridevano. Sulla Terra, almeno.

R. Daneel, per esempio, non rideva mai.

Baley sospirò e si mise in piedi. Pensò: "Prossima fermata, Spacetown! Speriamo che non sia l’ultima".

Le forze di polizia e i più alti funzionari avevano ancora il diritto di usare veicoli individuali lungo i corridoi della Città e sulle antiche strade sotterranee escluse ai pedoni. I Liberali chiedevano da sempre che le vie sotterranee venissero trasformate in campi da gioco per bambini, in zone per negozi o in estensioni delle strade celeri e locali.

Ma l’invariabile risposta, "Sicurezza cittadina!", finiva con l’avere la meglio. Nel caso di incendi troppo violenti per essere affrontati con mezzi locali, di gravi danni ai sistemi energetici e di ventilazione, ma soprattutto di disordini e dimostrazioni, le forze della Città dovevano poter raggiungere il punto colpito in fretta. Non esisteva, e non poteva esistere, alcun sostituto delle antiche strade sotterranee fatte per i veicoli a motore.

Molte volte Baley aveva viaggiato su una strada di quel tipo, ma l’indecente abbondanza di spazio l’aveva immancabilmente depresso. Sembrava di essere a mille chilometri dal cuore caldo e brulicante della Città. La strada si stendeva come un verme cieco e cavo davanti ai suoi occhi, aprendosi continuamente in nuove diramazioni. "Baley, al volante dell’auto di pattuglia, seguiva diligentemente le curve della galleria. Dietro di lui lo sapeva anche senza voltarsi, un altro verme cieco e cavo si contorceva e si chiudeva continuamente. La strada era ben illuminata, ma la luce non aveva senso in quel deserto silenzioso.

R. Daneel non faceva il minimo sforzo di riempire quel vuoto o infrangere quel silenzio; guardava dritto davanti a sé, poco impressionato dall’autostrada come dai nastri mobili di superficie.

Un momento dopo, al suono della sirena della polizia, uscirono dal tunnel e curvarono gradualmente in uno dei corridoi per veicoli a motore della Città.

Tali corridoi, che ospitavano vere e proprie superstrade, erano considerati importanti vestigia del passato e tenuti in perfetto ordine. A parte le autopattuglie della polizia, i camion dei pompieri e quelli della manutenzione comunale, non esistevano più autoveicoli, e quindi la gente si serviva delle superstrade con completa fiducia, attraversandole a piedi in lungo e in largo. Davanti alla sirena di Baley e alla velocità sostenuta dell’autopattuglia molti si scostarono scandalizzati.

Baley tirò un sospiro di sollievo quando furono tra la folla e il rumore; ma fu un breve intervallo. Dopo meno di duecento metri imboccarono i corridoi ovattati che conducevano all’ingresso di Spacetown.

Li aspettavano. Le guardie, naturalmente, conoscevano R. Daneel di vista, e sebbene fossero umane gli fecero un cenno di saluto che non conteneva la minima prosopopea.

Una si avvicinò a Baley e salutò con rigida e perfetta cortesia militare. Era un giovanotto alto e serio, anche se non il prototipo dello Spaziale (che invece Daneel incarnava perfettamente).

Disse: «Prego, signore, la sua identificazione».

Il documento venne ispezionato rapidamente ma esaurientemente. Baley notò che la guardia portava guanti color carne e filtri quasi invisibili nelle narici.

Finita l’ispezione, salutò di nuovo e restituì la carta d’identificazione. Poi aggiunse: «C’è un piccolo Personale per uomini a pochi passi. Saremmo lieti se volesse fare una doccia».

Baley stava per dire che era inutile, ma R. Daneel gli tirò gentilmente la manica. La guardia, intanto, era tornata al suo posto.

R. Daneel disse: «È abituale, collega Elijah, che gli abitanti della Città facciano la doccia prima di entrare a Spacetown. Ti dico questo perché so che non hai nessuna intenzione di fare una gaffe per mancanza d’informazioni. Ti consiglio di provvedere qui a tutti i bisogni personali, perché a Spacetown non ci sono comodità di questo tipo».

«Non ci sono comodità!» sbottò Baley. «Ma è impossibile.»

«Volevo dire, naturalmente, che non sono a disposizione degli abitanti della Città.»

Baley era sbalordito, ma la sua faccia tradiva anche una certa ostilità.

R. Daneel aggiunse: «Mi dispiace, collega, ma è una questione di costumi».

Baley entrò nel Personale senza una parola. Sentì, più che vederlo, R. Daneel dietro di lui.

Pensò: "Mi controlla? Si assicura che mi tolga di dosso la polvere della Città?".

Per un feroce momento esultò al pensiero della sorpresa che stava per fare a Spacetown e gli sembrò del tutto trascurabile che equivaleva a puntarsi un disintegratore al petto.

Il Personale era piccolo, ma ben fornito e pulitissimo, addirittura asettico. Nell’aria c’era un odore acuto, su cui Baley s’interrogò brevemente.

Ozono! Stavano inondando il posto di raggi ultravioletti.

Una piccola insegna lampeggiò diverse volte, poi rimase accesa. Diceva: "I visitatori sono pregati di togliersi gli indumenti, scarpe incluse, e di porli nel contenitore sottostante".

Baley obbedì, poi slacciò il fulminatore e lo riaffibbiò intorno alla vita nuda. Era più scomodo e più pesante.

Il contenitore si chiuse e i vestiti sparirono. L’insegna si spense, ma un’altra si accese un attimo dopo.

Diceva: "I visitatori sono pregati di soddisfare i propri bisogni personali e quindi di dirigersi alla doccia indicata dalla freccia".

Baley si sentiva come il pezzo di una macchina messo insieme da raggi d’energia su una catena di montaggio.

Appena entrato nel cubicolo della doccia Baley avvolse la fondina nella protezione impermeabile. Sapeva, per lunga esperienza, che anche in quelle condizioni era in grado di estrarre e sparare in meno di cinque secondi.

Non c’erano ganci o sporgenze a cui potesse appendere il fulminatore, non c’erano manopole e nemmeno un rubinetto visibile. Mise la fondina in un angolo, ma non troppo vicino all’entrata del cubicolo.

Lampeggiò un’altra insegna: "Il visitatore è pregato di alzare le braccia davanti a sé e di tenere i piedi nel circolo centrale, servendosi degli appositi poggiapiedi".

Mentre Baley metteva i piedi nelle piccole depressioni fatte per loro, l’insegna si spense. Uno spruzzo caldo e pungente lo investì dal soffitto, dal pavimento e dalle quattro pareti: sentiva l’acqua sgorgare anche sotto le piante dei piedi. Durò un minuto buono, mentre la sua pelle si arrossava per l’effetto combinato del calore e della pressione, e i suoi polmoni cercavano aria nell’umidità soffocante. Seguì un altro minuto di spruzzi freschi e a bassa pressione, poi uno di aria calda che lo lasciò asciutto e rinfrescato.

Raccolse cintura e fondina e si accorse che erano asciutti anche quelli. Se li allacciò e uscì dal cubicolo in tempo per vedere R. Daneel che emergeva da una seconda doccia, lì vicino. Ma certo! Pur non essendo un abitante della Città, R. Daneel aveva accumulato la sua polvere.

Baley distolse gli occhi automaticamente dal corpo dell’automa; poi, al pensiero che i tabù della Città non valevano certamente per R. Daneel, si costrinse a guardare di nuovo. Le labbra gli si piegarono in un leggero sorriso: la somiglianza di R. Daneel con gli esseri umani non si limitava alla faccia e alle mani, ma era stata estesa con incredibile accuratezza a tutto il resto del corpo.

Baley continuò a spostarsi in linea retta, come aveva fatto fin dal suo ingresso nel Personale; e, sul fondo, trovò i suoi vestiti che lo aspettavano, ripiegati con cura. Sprigionavano un odore di caldo e pulito.

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