«E ha preso la strada celere?»
«Sì.»
«Per tutto il tragitto da Washington a New York?»
«L’ho già fatto prima. Da quando hanno costruito il tunnel Baltimora-Philadelphia è abbastanza semplice.»
Così era, in effetti. Baley non aveva mai fatto il viaggio personalmente, ma sapeva che era possibile. Washington, Baltimora, Philadelphia e New York erano cresciute a tal punto, negli ultimi due secoli, che quasi si toccavano. Quell’ampia zona della costa orientale era denominata Le Quattro Città, e molti erano favorevoli all’unificazione amministrativa e alla creazione di una super-Città. Personalmente Baley non era d’accordo. New York era già troppo grande per essere governata bene; una Città ancora più vasta, con oltre cinquanta milioni d’abitanti, sarebbe collassata sotto il suo stesso peso.
«Il guaio è» disse il dottor Gerribel «che ho perso tempo a un incrocio nel settore di Chester, a Philadelphia. Inoltre ho avuto qualche difficoltà a farmi assegnare una stanza mobile, e così eccomi in ritardo.»
«Non si preoccupi, dottore, quello che dice è interessante. A proposito di antipatia per il vuoto, le piacerebbe fare una passeggiata oltre i confini della Città?»
«Per quale ragione?» Gerrigel sembrava sorpreso e personalmente preoccupato.
«È solo una domanda retorica, ma voglio sapere che effetto le fa una prospettiva del genere.»
«Mi dà una sensazione sgradevole.»
«Supponga di dover lasciare la Città e di dover attraversare la campagna di notte per quasi un chilometro.»
«Non sarebbe facile convincermi.»
«Anche in un caso di vitale necessità?»
«Se si trattasse di salvare la mia vita o quella della mia famiglia potrei tentare, ma…» Sembrava imbarazzato. «Posso sapere il perché di queste domande, signor Baley?»
«Glielo dirò. È stato commesso un grave delitto, un omicidio fuori del comune. Non sono autorizzato a fornirle i particolari, ma esiste una teoria secondo cui l’assassino, per commettere il crimine, avrebbe fatto ciò di cui stavamo parlando: attraversare la campagna di notte, solo. Mi chiedevo che tipo di uomo sarebbe capace di una cosa del genere.»
Il dottor Gerrigel rabbrividì. «Non uno che io conosca. E non io. Ma suppongo che fra milioni di persone qualche spericolato lo troverà.»
«Tuttavia non direbbe che un’azione del genere sia tipicamente umana, vero?»
«No, assolutamente no.»
«In realtà se esiste un’altra spiegazione del delitto, una qualsiasi spiegazione concepibile, credo che dovrebbe esser presa in considerazione.»
Il dottor Gerrigel sembrava più a disagio che mai, con la schiena dritta e le mani intrecciate in grembo. «E lei ha una teoria alternativa?»
«Sì. Penso che un robot, per esempio, non avrebbe difficoltà ad attraversare l’aperta campagna.»
Il dottor Gerrigel si alzò. «Ma caro signore!»
«Cosa c’è?»
«Vuol dire che l’autore del delitto sarebbe un robot?»
«Perché no.»
«Che avrebbe assassinato un essere umano?»
«Sì, dottore. Per favore, si sieda.»
Il robotista obbedì, poi disse: «Signor Baley, qui ci troviamo di fronte a due azioni ben distinte: attraversare la campagna e commettere un omicidio. Un essere umano potrebbe essere capace della seconda ma avrebbe difficoltà a compiere la prima; un robot sarebbe capace della prima ma troverebbe impossibile attuare la seconda. Mi sembra che lei voglia sostituire una teoria improbabile con una impossibile».
«Dottore, "impossibile" è una parola forte.»
«Ha mai sentito la Prima Legge della Robotica, signor Baley?»
«Sicuro, posso recitarla: "Un robot non può recare danno a un essere umano o permettere che, per il suo mancato intervento, un essere umano riceva danno".» Baley puntò un dito sul robotista e continuò: «Che cosa impedirebbe di costruire un robot sprovvisto della Prima Legge? Cosa c’è di tanto sacro in quelle parole?».
Il dottor Gerrigel sembrava stupito, folgorato: «Oh, signor Baley…».
«Qual è la risposta?»
«Se lei conosce anche un poco la robotica, signor Baley, saprà che la costruzione di un cervello positronico è un’impresa formidabile sia dal punto di vista matematico che elettronico.»
«Ne ho un’idea» rispose Baley. Ricordava di essere stato, una volta, in una fabbrica di robot e di aver visitato la biblioteca dei librofilm, ognuno dei quali conteneva l’analisi di un singolo tipo di cervello positronico. Ci voleva più di un’ora per vedere uno di quei film, alla velocità standard; e nonostante la loro lunghezza, i simboli di cui si servivano erano altamente condensati. Se ne usciva con l’impressione che non esistessero due cervelli positronici uguali, anche quando venivano costruiti secondo le regole più rigide. Baley aveva appreso che era una conseguenza del Principio d’Indeterminazione di Heisenberg. Ogni film, quindi, doveva essere fornito di appendici che riguardavano tutte le possibili varianti.
Era un lavoro incredibile, Baley non lo negava.
Il dottor Gerrigel riprese: «Deve capire che progettare un nuovo cervello positronico, anche uno che presenti solo minime innovazioni, non è lavoro che si possa fare in una notte. Di solito ci vuole l’intero reparto ricerche di una fabbrica di medie proporzioni, e fino a un anno di tempo. Ma nemmeno quest’enorme mole di lavoro basterebbe, se non si fondasse su una teoria dei circuiti-base collaudata e ormai standardizzata, che costituisce il fondamento di tutte le future elaborazioni. Questa teoria-base comprende le Tre Leggi della Robotica: la prima che lei ha citato, la seconda per cui "Un robot deve obbedire agli ordini degli esseri umani tranne quando tali ordini sono in conflitto con la Prima Legge", e la terza che dice: "Un robot ha il dovere di proteggere la sua esistenza, a patto che tale difesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge". Capisce, ora?».
R. Daneel, che a quanto pareva aveva seguito attentamente la conversazione, prese la parola: «Se mi scusi, Elijah, tenterò di vedere se ho capito ciò che ci ha spiegato il dottor Gerrigel. Quello che lei suggerisce, signore, è che il tentativo di costruire un robot il cui cervello positronico non rispetti le Tre Leggi richiederebbe l’impostazione di una nuova teoria di base, e che questo, a sua volta, richiederebbe anni.»
Il robotista sembrava soddisfatto: «È proprio ciò che ho voluto dire, signor…»
Baley esitò un momento, poi presentò R. Daneel nel modo più conveniente: «Il mio collega Daneel Olivaw, dottor Gerrigel».
«Buongiorno a lei, signor Olivaw» disse il dottor Gerrigel, stringendogli la mano. Poi continuò: «È mia opinione che ci vorrebbero cinquant’anni per sviluppare la teoria-base di un cervello positronico non-Asenio, cioè contrario alle Tre Leggi, e per portarla in pari con le acquisizioni della moderna robotica».
«E non è mai stato tentato?» chiese Baley. «Voglio dire, dottore, si costruiscono robot da migliaia d’anni. In tutto questo tempo nessuno ha trovato mezzo secolo da risparmiare?»
«Penso di sì» disse il robotista. «Ma nessuno l’ha giudicato un lavoro conveniente.»
«Mi pare difficile crederlo. La curiosità umana si è sempre spinta in tutte le direzioni.»
«Non in quella del robot non-Asenio. La nostra razza, signor Baley, ha un forte complesso di Frankenstein.»
«Un che?»
«È il titolo di un romanzo medievale in cui si narra di un automa che si ribella al suo creatore. Non l’ho mai letto, ma questo non ha importanza. I robot senza la Prima Legge non si costruiscono, tutto qui.»
«E non esiste nessuno studio in quella direzione?»
«A mia conoscenza, no.» Gerrigel sorrise compiaciuto: «E la mia conoscenza è piuttosto estesa, in materia».
«Un robot dotato della Prima Legge non potrebbe uccidere un uomo?»
«Assolutamente escluso, a meno che l’uccisione non derivi da un incidente o non serva a salvare la vita di due o più esseri umani. Ma anche in questi casi il potenziale positronico scatenerebbe un conflitto che distruggerebbe il cervello.»