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«Non è mai successo.»

«Questo non significa che non succederà. Nelle età antiche i centri abitati erano autosufficienti e vivevano dei prodotti della campagna circostante. Solo un disastro immediato, come un’inondazione, una pestilenza o un raccolto insufficiente potevano danneggiarli. Quando i centri crebbero e la tecnologia migliorò, si cominciò a far fronte ai disastri locali importando le materie dai centri lontani, ma al prezzo di rendere strettamente interdipendenti zone sempre più vaste. Nell’età che noi chiamiamo medievale le città dell’uomo, che sorgevano all’aria aperta, erano in grado di resistere anche a gravi calamità per almeno una settimana, perché il cibo e le materie prime erano disponibili in grandi quantità e quindi venivano immagazzinati; inoltre, esistevano risorse locali di vario tipo. Quando New York si trasformò in una Città moderna, tuttavia, questo rapporto cambiò: il massimo che sarebbe riuscita a sopravvivere, basandosi solo sulle proprie forze, era un giorno. Adesso, forse, è un’ora. Un disastro che diecimila anni fa avrebbe potuto creare qualche disagio, e che mille anni fa avrebbe sfiorato il punto critico, oggi riuscirebbe senz’altro fatale».

Baley si mosse a disagio. «Ho già sentito tutto questo. I medievalisti vogliono la fine delle Città. Vogliono che torniamo alla terra e all’agricoltura naturale. Sono pazzi, non possiamo. Siamo in troppi, e poi non ha senso andare indietro, perché nella storia si può solo procedere in avanti. Naturalmente, se l’emigrazione sui Mondi Esterni non fosse limitata…»

«Sa che deve esserlo.»

«Allora che ci resta da fare? Vi siete allacciati a una linea scarica.»

«E se colonizzaste nuovi mondi? Nella galassia ci sono cento miliardi di stelle. Si calcola che i pianeti abitabili o che possono essere abitabili siano cento milioni.»

«Ridicolo.»

«Perché?» chiese il dottor Fastolfe, infervorandosi. «Perché giudica ridicolo il mio suggerimento? Nel passato i terrestri hanno colonizzato i pianeti. Più di trenta dei cinquanta Mondi Esterni, compreso il mio nativo Aurora, sono stati colonizzati direttamente da terrestri. Oggi l’impresa non è più possibile?»

«Be’…»

«Non ha la risposta. Mi lasci dire che se non è più possibile è a causa del mostruoso sviluppo delle Città. Prima delle Città la vita umana non era specializzata al punto da rendere impensabile il suo trasferimento in un altro ambiente. È stato fatto trenta volte. Ma ora i terrestri si sono rintanati e imbozzolati nei loro abissi d’acciaio, e ne dipendono a tal punto che è come se si fossero messi volontariamente in prigione. Lei, signor Baley, non crede possibile che un cittadino possa attraversare la campagna per venire a Spacetown. Avventurarsi nello spazio per raggiungere un mondo nuovo deve sembrarle doppiamente impossibile. La cultura delle Città vi sta rovinando.»

Baley si arrabbiò: «E con questo? Non vedo in che modo vi riguardi. È un problema nostro e lo risolveremo, e se non ne saremo capaci andremo all’inferno».

«Meglio andare all’inferno a modo vostro che in paradiso accettando i consigli di un altro, eh? So come deve sentirsi. Non è piacevole ascoltare la predica di uno straniero. Eppure vorrei che il suo popolo fosse in grado di predicare a noi, perché anche noi abbiamo un problema. Analogo al vostro.»

Baley fece un sorriso cattivo: «Sovrappopolazione?».

«Ho detto analogo, non identico. Il nostro limite è la sottopopolazione. Quanti anni mi dà?»

Il terrestre rifletté un momento e poi deliberatamente gli aumentò gli anni: «Una sessantina, direi».

«La risposta è centosessanta.»

«Cosa?»

«Centosessantatré, per essere esatti, ma devo ancora compierli. Non c’è trucco, mi riferisco all’anno standard terrestre. Se sono fortunato, se mi prendo cura di me, e soprattutto, se non contraggo nessuna malattia sulla Terra, posso arrivare al doppio di quest’età. Su Aurora si sa di uomini che hanno vissuto trecentocinquant’anni. E la durata media della vita è in aumento.»

Baley dette un’occhiata a R. Daneel (che per tutta la conversazione era rimasto ad ascoltare stolidamente) e sembrò cercare in lui una conferma.

Poi disse: «Com’è possibile».

«In una società sottopopolata è conveniente concentrare gli studi sulla gerontologia e i processi di invecchiamento. In un mondo come il vostro una durata della vita più alta sarebbe disastrosa, perché non potreste permettervi il conseguente aumento demografico. Su Aurora abbiamo posto per i tricentenari, quindi l’aumento della vita diventa doppiamente prezioso.

«Se lei morisse ora perderebbe una quarantina d’anni di vita, forse meno. Se morissi io perderei centocinquant’anni, probabilmente di più. In una cultura come la nostra, dunque, la vita individuale è di estrema importanza. La natalità è bassa e l’incremento demografico rigidamente controllato. Ci preoccupiamo di mantenere un preciso equilibrio fra uomini e robot per garantire a tutti il più alto confort individuale.

I bambini vengono scrupolosamente esaminati per scoprire disfunzioni fisiche e mentali prima che sia loro permesso di crescere.»

Baley lo interruppe: «Vuol dire che li uccidete, se non…».

«Se non sono adatti, sì. Posso assicurarle che avviene in modo indolore. La cosa le sembra mostruosa, ma non più di quanto sembri mostruosa a noi la mancanza di controllo demografico sulla Terra.»

«Il controllo c’è, dottor Fastolfe. Ogni famiglia può avere un dato numero di bambini.»

Fastolfe sorrise, tollerante «Un dato numero di bambini qualsiasi, non bambini sani. E anche così ci sono le infrazioni e la vostra popolazione cresce.»

«Chi ha il diritto di giudicare se un bambino deve vivere?»

«È una questione complicata e non posso risponderle in quattro parole. Un giorno ne discuteremo in dettaglio.»

«Be’, ma allora dov’è il problema? Lei sembra soddisfatto della vostra società.»

«È stabile, questo è il guaio. È troppo stabile.»

Baley disse: «Non vi va bene niente. La nostra civiltà sarebbe sull’orlo del caos, la vostra sull’orlo della stagnazione».

«È una realtà, mi creda. Nessuno dei Mondi Esterni ha colonizzato un nuovo pianeta negli ultimi due secoli e mezzo, e non ci sono prospettive che lo faccia nel futuro. La nostra vita, lassù, è troppo lunga per essere messa a repentaglio e troppo comoda per essere scombussolata da progetti avventurosi.»

«Non so se questo sia vero, dottor Fastolfe. Prenda lei: è venuto sulla Terra, ha corso e corre dei rischi.»

«Sì, è così. Alcuni di noi, signor Baley, pensano che il futuro della razza umana valga la perdita di qualche singola vita. Anche di una vita molto lunga. Purtroppo siamo in pochissimi, e mi dispiace dirlo.»

«Va bene, vedo che ci avviciniamo al punto. In che modo Spacetown vi aiuta a risolvere il problema?»

«Noi cerchiamo di introdurre i robot sulla Terra perché vogliamo sbilanciare l’equilibrio economico delle Città.»

«E questo sarebbe il modo in cui volete darci una mano?» Le labbra di Baley fremevano. «Mi sta dicendo che cercherete di creare di proposito disoccupazione e declassamento?»

«Non per crudeltà o cinismo, mi creda. Un gruppo di diseredati, o declassati come lei li chiama, è quello che ci serve per formare un nuovo nucleo di coloni. La vostra antica America fu scoperta da navi piene di galeotti. Non vede che il sistema delle Città non può fare nulla per i diseredati? Essi non hanno niente da perdere, ma mondi da guadagnare se lasceranno la Terra.»

«Però il vostro piano non funziona.»

«No, non funziona.» Il dottor Fastolfe si era intristito. «C’è qualcosa che non va. Il risentimento dei terrestri nei confronti dei robot ci blocca. Eppure quegli stessi robot potrebbero accompagnare i coloni, semplificare i problemi d’adattamento ai nuovi mondi, rendere fattibile il processo di espansione.»

«E poi che succederebbe? Qualche Mondo Esterno in più.»

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