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Baley non ci teneva a prender parte, ma si chiedeva se gli uomini del passato avessero mai lottato per la "lira" (qualunque cosa fosse) come quelli del presente lottavano per non perdere il diritto alla tavoletta di pollo domenicale. (Pollo autentico, carne appartenuta a un volatile che una volta era stato vivo).

E poi pensò: non è di me che m’importa. È di Jessie e Ben.

La voce del dottor Fastolfe interruppe quei pensieri: «Signor Baley, mi sente?».

Baley aprì e chiuse gli occhi. «Sì.» Per quanto tempo era rimasto assente come un idiota?

«Perché non si siede, signore? Ora che ci siamo occupati della sua salute, sarà interessato a vedere i filmati che abbiamo girato sulla scena del delitto e di quello che è avvenuto poi.»

«No, grazie. Ho da fare in Città.»

«Ma il caso del dottor Sarton ha la precedenza…»

«Non per me. Immagino che mi abbiano già sollevato dall’incarico.» E improvvisamente si sentì fremere: «Maledizione, se potevate provare che R. Daneel era un robot, perché non lo avete fatto subito? Perché mi avete permesso di andare avanti nella farsa?».

«Mio caro signor Baley, ero molto interessato alle sue deduzioni. Quanto a una sua sospensione dall’incarico, ho i miei dubbi. Prima che il questore chiudesse il collegamento gli ho chiesto con insistenza che lei venisse lasciato al suo posto. Credo che mi ascolterà.»

Baley sedette, non del tutto volontariamente. Poi chiese: «Perché?».

Il dottor Fastolfe incrociò le gambe e sospirò. «Signor Baley, nella mia esperienza ho incontrato due tipi di cittadini: i dimostranti e i politici. Il suo questore ci è utile, ma è un politico. Ci dice quello che vogliamo sentire. Ci manovra, se afferra quel che voglio dire. Ora arriva lei e ci accusa sfrontatamente di tremendi crimini, cercando di dimostrare il suo punto di vista. È una cosa che mi piace. Uno sviluppo promettente.»

«Quanto promettente?» chiese Baley, ironico.

«Abbastanza. Lei è una persona con cui posso parlare apertamente. Questa notte, signor Baley, R. Daneel mi ha fatto rapporto con una trasmittente subeterica schermata. Le cose che mi ha detto di lei mi hanno interessato profondamente. Per esempio, mi ha parlato dei librofilm che si trovano nel suo appartamento.»

«E allora?»

«Molti trattano di argomenti storici e archeologici. A quanto pare lei si interessa di problemi sociali e conosce l’evoluzione della civiltà umana.»

«Anche un poliziotto può passare il tempo libero guardando i librofilm.»

«Appunto. Mi congratulo per i suoi gusti, mi aiuterà in quello che sto cercando di fare. Innanzi tutto voglio parlarle, o tentare di parlarle, della riservatezza di noi abitanti dei Mondi Esterni. Viviamo a Spacetown, non entriamo nella Città, non ci mescoliamo a voi cittadini e accettiamo di incontrarvi solo su basi molto rigide e limitate. Respiriamo l’aria aperta, ma con i filtri nel naso. In questo momento anch’io li porto, e porto i guanti, e sono fermamente deciso a non avvicinarmi a lei più del necessario. Perché tutto questo?»

Baley rispose: «Non ha senso tirare a indovinare». Che parli lui, adesso.

«Eppure molti dei suoi concittadini non fanno altro che indovinare, fantasticare. Immaginano che il nostro comportamento derivi dal fatto che non vogliamo abbassarci a trattare con voi, che temiamo di avvilire il nostro rango permettendo alla vostra ombra di sfiorarci. Non è così, e la vera risposta è abbastanza ovvia. La breve visita medica cui è stato sottoposto, la doccia e così via non fanno parte di un rituale. Sono dettate dalla necessità.»

«Difendervi dalle malattie?»

«Dalle malattie, giusto. Caro signor Baley, i terrestri che colonizzarono i Mondi Esterni si trovarono in presenza di ambienti dove i virus e batteri della Terra non esistevano. Gli esploratori vi portarono i loro, si capisce, ma portarono anche i più moderni ritrovati in campo medico e microbiologico. In altre parole dovettero affrontare una comunità molto piccola di microorganismi, per di più in assenza di ospiti intermedi. Non c’erano zanzare che diffondessero la malaria, non c’erano lumache che permettessero l’attecchire della schistosomiasi. Gli agenti patogeni vennero eliminati e i batteri simbiotici poterono svilupparsi tranquillamente. Poco a poco i Mondi Esterni si liberarono dalle malattie. Naturalmente, con il passare del tempo le restrizioni poste all’immigrazione terrestre si fecero sempre più severe, perché i Mondi non erano in grado di affrontare un’eventuale reintroduzione delle malattie.»

«Lei non è mai stato malato, dottor Fastolfe?»

«Non ho mai avuto un malanno derivante dall’attività di parassiti. Naturalmente, signor Baley, anche noi siamo esposti ai mali da degenerazione, come l’arteriosclerosi, ma io, per esempio, non ho mai preso un raffreddore. Se lo prendessi ora, probabilmente morirei. Nel mio corpo non esistono difese. Questo è il problema di noi che viviamo a Spacetown; corriamo un rischio ben preciso e lo sappiamo. La terra pullula di malattie contro cui non abbiamo difese naturali. Lei stesso porta con sé i germi di quasi ogni malattia conosciuta. Non se ne rende conto, ovviamente, perché li tiene sotto controllo grazie agli anticorpi che il suo organismo ha sviluppato negli anni; ma io non ho anticorpi. Si meraviglia che non mi avvicini di più? Mi creda, signor Baley, la mia apparente schizzinosità è autodifesa.»

Baley replicò: «Se le cose stanno così, perché non lo fate sapere a tutta la Terra? Voglio dire, se non è altezzosità da parte vostra ma solo difesa contro un pericolo fisico».

Lo Spaziale scosse la testa. «Siamo pochi, signor Baley, e siamo impopolari. Siamo stranieri. Riusciamo a mantenere la nostra sicurezza grazie all’alone di prestigio che ci circonda, come se fossimo esseri superiori, ma è un prestigio traballante. Non possiamo perdere la faccia ammettendo che abbiamo paura di avvicinare i terrestri; solo quando ci sarà maggior comprensione tra noi e voi potremo dire la verità.»

«Visto come stanno le cose, credo che per il momento i rapporti fra la Terra e Spacetown non miglioreranno. È la vostra "superiorità" quella che odiamo… O meglio, odiano.»

«È un dilemma. Non creda che non ce ne rendiamo conto.»

«Il questore lo sa?»

«Non gliel’abbiamo spiegato a chiare lettere, come ora ho fatto con lei, ma ha gli elementi per farsi un quadro. È un uomo piuttosto intelligente.»

«Se si fosse fatto un quadro, come dice lei, mi avrebbe informato» disse Baley, pensoso.

Il dottor Fastolfe alzò le sopracciglia. «E se l’avesse informata lei non avrebbe pensato che R. Daneel fosse un uomo, giusto?»

Baley si strinse nelle spalle, mettendo da parte la questione.

Il dottor Fastolfe continuò: «Ha ragione, amico mio. A parte le difficoltà psicologiche — il terribile effetto del rumore e della folla — resta il fatto che entrare nella Città, per noi, equivale a una condanna a morte. Ecco perché il dottor Sarton aveva cominciato a costruire robot umanoidi. Dovevano sostituire gli uomini, entrare nella Città al posto nostro.»

«Sì, R. Daneel me l’ha spiegato.»

«E lei disapprova?»

«Senta» disse Baley «dato che stiamo parlando in libertà, mi permetta di farle una semplice domanda. Perché voi Spaziali venite sulla Terra? Perché non ci lasciate soli?»

Il dottor Fastolfe era sorpreso. «Siete soddisfatti della vita sulla Terra?»

«Tiriamo avanti.»

«Sì, ma per quanto? La popolazione aumenta continuamente; le calorie a disposizione soddisfano le esigenze della vostra gente grazie a sforzi sempre più strenui. La Terra è in un vicolo cieco, amico.»

«Tiriamo avanti» ripeté Baley, cocciuto.

«A malapena. Una Città come New York è costretta a fare sforzi colossali per assicurare la fornitura d’acqua e l’eliminazione dei rifiuti. Le centrali atomiche, che forniscono l’energia, funzionano con scorie di uranio che è sempre più difficile ottenere anche dagli altri pianeti del sistema, mentre la domanda sale costantemente. La vita delle Città dipende dall’arrivo della polpa di legno che alimenta le vasche dei lieviti, e dei minerali che servono agli impianti idroponici. L’aria dev’essere cambiata costantemente. È un equilibrio che presto non sarà più tale, e ogni anno si aggiunge qualche nuova complicazione. Che ne sarebbe di New York se lo spaventoso flusso di materiali in accesso o in uscita fosse interrotto anche per una sola ora?»

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