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— Ci pensi lei a rendere efficace la recitazione! Delle parole mi occupo io.

— Vedo che lei non capisce, Bill. A me non interessa che il discorso sia o non sia efficace politicamente; il mio compito è quello di recitare una parte, ricreando un personaggio. Non potrò farlo bene se dovrò mettere sulle labbra del personaggio certe parole che lui non si sognerebbe mai di usare; suonerebbero false e artificiose come una scimmia che si esprimesse con citazioni di greco classico. Se invece mi si darà da leggere un discorso scritto con parole che lui stesso userebbe, la mia recitazione otterrà automaticamente la massima efficacia. Bonforte è un grande oratore.

— Senta, Smythe. Lei non è qui per scrivere discorsi. Lei è stato assunto per…

— Piantala, Bill! — tagliò corto Dak. — E nomina un po’ meno "Smythe", cerca di ricordartelo. Be’, Rog, che ne dici?

— Se non ho capito male, Capo — disse Clifton — le sue obiezioni si riferiscono solo a certe parole non adatte, vero?

— Be’, in genere sì. Suggerirei poi di smussare un po’ quell’attacco personale a Quiroga, e anche l’insinuazione relativa ai finanziatori dietro le quinte. Non mi pare che Bonforte sarebbe così violento.

— Sono stato io a mettere quelle frasi — disse Rog, con aria colpevole. — Lui concede sempre a tutti il beneficio del dubbio. — Rimase in silenzio per un istante. — Faccia pure tutte le correzioni che le sembrano necessarie. Lo registreremo e lo vedremo poi in proiezione. Ad ogni buon conto, c’è sempre la possibilità di fare dei tagli… o anche di sospendere tutto il discorso "a causa di difficoltà tecniche". — Fece un sorriso. — Faremo così, Bill.

— Accidenti, ma è una ridicola…

— Calma, Bill. È così che occorre fare.

Corpsman se ne andò furibondo dalla cabina, e Clifton emise un lungo sospiro. — Bill non sopporta che gli altri gli diano ordini. Li accetta solo da Bonforte. Ma è un uomo molto capace… Capo, quando sarà pronto per il discorso? Lo mandiamo in onda alle quattro.

— Non posso dirlo. Ma sarò pronto per l’ora stabilita — lo rassicurai.

Penny mi accompagnò nella cabina ufficio. Dopo aver chiuso la porta, le dissi: — Non avrò bisogno di lei per un’oretta, Penny. Ma mi farebbe il favore di chiedere alcune compresse per me? Può darsi che ne abbia bisogno.

— Sì. — S’avviò fluttuando verso la porta, ma poi si fermò per dirmi: — Capo?

— Sì, Penny?

— Volevo solo dirle di non dare retta alle parole di Bill sul fatto che è lui a scrivere i suoi discorsi!

— Le assicuro che non ci ho creduto neppure io. I suoi discorsi li ho sentiti… e ho letto questo.

— Oh, Bill gli passa effettivamente delle minute, un mucchio di volte. E così pure Rog. Anch’io ogni tanto gli do dei suggerimenti. Lui accetta aiuti da tutti, quando gli pare che possano servirgli. Ma quando scrive un discorso, quel discorso è suo, parola per parola.

— Lo credo. E vorrei che avesse scritto anche questo, in anticipo.

— Sarà sufficiente che lei faccia del suo meglio.

Seguii la sua esortazione. Incominciai con piccole sostituzioni di parole, mettendo dei sinonimi d’uso corrente al posto delle parole più lunghe e più difficili da pronunciare. Poi incominciai ad appassionarmi al lavoro, fui preso da una sorta di sacra esaltazione dionisiaca. Feci scempio delle minute, con gli occhi che mi brillavano e con il volto arrossato. È molto divertente per un attore mettersi a pasticciare con il copione: non è una cosa che gli capiti spesso…

Come pubblico impiegai la sola Penny, e mi assicurai presso Dak che i comunicatori con il resto dell’astronave fossero chiusi, anche se ho il sospetto che quel gaglioffo mi abbia imbrogliato e abbia preso parte anche lui all’ascolto. Nel giro di tre minuti Penny aveva le lacrime agli occhi; alla fine (ventotto minuti e mezzo, appena in tempo per avvertire le reti di trasmissione di lasciarci libero il canale) era completamente esausta. Non mi concessi alcuna deviazione dalla schietta dottrina espansionista, nella formulazione ortodossa fornita dal suo profeta ufficiale, l’Onorevolissimo John Joseph Bonforte; semplicemente ricostruii da capo a piedi il messaggio e il discorso, servendomi abbondantemente di frasi contenute in orazioni precedenti.

Cosa strana… mi accorsi che ero disposto a crederne ogni parola, mentre lo pronunciavo.

Vi assicuro, amici: che discorso!

Dopo averlo registrato, lo riascoltammo in proiezione, completo di immagine stereovisiva di me stesso. C’era anche Jimmie Washington, e la sua presenza servì a far rimanere tranquillo Bill Corpsman. Terminata la trasmissione dissi: — Che gliene pare, Rog? Occorre tagliarne qualche parte?

Rog si tolse il sigaro di bocca e disse: — No. Se vuole un consiglio, Capo, lo lasci così com’è.

Corpsman se ne andò furibondo una seconda volta, ma il dottor Washington mi si avvicinò con le lacrime agli occhi… le lacrime sono un grosso guaio, in caduta libera; non si sa dove metterle. — Onorevole Bonforte, è una meraviglia!

— Grazie, Jimmie.

Quanto a Penny, non aveva assolutamente parole.

Dopo l’esibizione mi ritirai. Le recite impegnative mi lasciano spossato. Dormii per otto ore filate, e fui svegliato dalla campanella d’allarme dell’astronave. Mi ero legato alla cuccetta (odio andarmene in giro galleggiando nell’aria mentre dormo in caduta libera) così non ebbi neppure bisogno di spostarmi per proteggermi dall’accelerazione. Ma non mi risultava che fosse prevista una partenza, e perciò chiamai la cabina di controllo tra il primo e il secondo avviso. — Capitano Broadbent?

— Un attimo, signore — sentii rispondere da Epstein.

Poi giunse la voce di Dak: — Sì, Capo? Stiamo partendo come previsto… Come da suo ordine.

— Eh? Ah, già, certo.

— Credo che il signor Clifton stia venendo proprio ora nella sua cabina.

— Va bene, capitano. — Mi stesi sulla cuccetta e attesi.

Poco dopo, appena incominciato ad accelerare a 1 g, entrò in cabina Rog Clifton. Aveva un’espressione preoccupata sul volto e non riuscii a capirne il motivo. Era un misto di trionfo, di preoccupazione, e di confusione. — Che c’è, Rog?

— Capo, ci hanno dato il via prima del tempo. Il governo Quiroga ha rassegnato le dimissioni!

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Avevo ancora il cervello annebbiato dal sonno; scossi la testa per cercare di schiarirmi le idee. — Cosa c’è da agitarsi tanto, Rog? È quanto cercavate di ottenere, no?

— Sì, certo, naturalmente. Ma… — e non proseguì.

— "Ma" cosa? Non riesco a capire. È da anni che lavorate a far progetti per costringere alle dimissioni Quiroga. Adesso che ci siete riusciti… mi sembrate quelle donne che quando arrivano all’altare non sono più sicure di avere ancora voglia di sposarsi. È la classica scena dei fumetti: i cattivi sono scappati e adesso i buoni arrivano a prenderne il posto. No?

— Oh… vedo che lei non ha esperienza della politica.

— Lo sa benissimo che non ne ho. Mi hanno "trombato" la prima volta, da bambino, quando ero giovane esploratore e volevo farmi eleggere caposquadra. Quella delusione me ne ha tolto la voglia per sempre.

— Be’, sa, l’essenziale è far le cose al momento giusto…

— Così mi diceva anche mio padre. Dunque, Rog, se non ho capito male, voi preferireste, avendo la possibilità di far andare le cose a modo vostro, che Quiroga fosse ancora al potere? Mi ha detto lei che "vi hanno dato il via prima del tempo".

— Pressappoco. Mi lasci spiegare. La nostra intenzione era di chiedere un voto di fiducia e poi vincere, per così indire nuove elezioni generali… però aspettando l’occasione favorevole, cioè quando stimassimo di poter vincere le elezioni.

— Ah, e adesso non siete sicuri di vincere? Pensate che Quiroga riotterrà il mandato per altri cinque anni o, se non lui, un altro del Partito dell’umanità?

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