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Poiché la Luna è un astro privo d’atmosfera, una nave torcia può scendere sulla sua superficie. Ma la Tom Paine, essendo una nave torcia, era progettata per rimanere sempre nello spazio, attraccando solo alle stazioni spaziali orbitanti. Per scendere sulla Luna dovette entrare in un’armatura. Avrei voluto essere sveglio per vedere la manovra, perché dicono che sia come infilare un ago… ma quando il filo è grosso e l’ago minuscolo. Dak era uno di quei cinque o sei piloti che riuscivano a farlo.

Ma non potei nemmeno vedere la Tommie nella sua armatura; tutto ciò che vidi fu l’interno del tubo pressurizzato per passeggeri collegato al portello stagno, oltre all’espresso viaggiatori per New Batavia. Quegli espressi vanno così veloci che, sotto la gravità ridotta della Luna, ci si trova di nuovo in caduta libera a metà del viaggio.

Per prima cosa ci recammo negli appartamenti assegnati al capo dell’opposizione di Sua Maestà l’imperatore, residenza ufficiale di Bonforte fino a quando (e se) fosse tornato al potere dopo le prossime elezioni. La residenza era talmente sontuosa che mi chiesi come potesse essere l’altra, ovvero quella del Primo Ministro. Suppongo che New Batavia sia la più imponente capitale mai esistita; è un vero peccato che non la si possa vedere dall’esterno; anche se questo piccolo inconveniente è largamente compensato dal fatto che è l’unica città del Sistema Solare inattaccabile dalle bombe all’idrogeno. O piuttosto dovrei dire "virtualmente inattaccabile", perché ci sono alcune piccole costruzioni che si affacciano sulla superficie del satellite e che quindi potrebbero venir distrutte. La residenza di Bonforte comprendeva un salone a picco su una parete rocciosa, con una balconata panoramica (naturalmente protetta da una cupola) dalla quale l’occhio poteva spaziare sulle stelle e sulla madreterra. Le camere da letto e gli uffici erano scavati nella roccia viva, trecento metri più in basso, e vi si arrivava mediante un ascensore interno.

Non ebbi il tempo di visitare i miei appartamenti perché mi abbigliarono subito per l’udienza. Bonforte non aveva camerieri personali neppure su terrasporca, ma Rog insistette per "darmi una mano" (in realtà fu un impiccio e nient’altro) mentre mi forniva i particolari dell’ultimissimo minuto. Il costume di quella recita era il solito vecchio abito di Corte, quello che è in uso da secoli. Consisteva in un paio d’informi pantaloni a tubo neri, d’una strana giubbetta a coda di rondine, nera anch’essa, e di una camicia fatta di tre pezzi: un davanti rigido, bianco, un colletto a punte che sembravano ali, e una cravatta bianca a farfalla. La camicia di Bonforte era in un pezzo solo perché (credo) egli non si voleva servire di un costumista. In realtà dovrebbe venir montata pezzo a pezzo, e la cravatta dovrebbe avere un nodo abbastanza brutto da far capire che è stata annodata a mano… ma sarebbe troppo pretendere che un uomo s’intenda tanto di politica quanto di storia del costume.

Era un vestito brutto e tetro, ma faceva ottimamente da sfondo alla sciarpa di stoffa a colori vivaci dell’Ordine di Guglielmina, che portavo a tracolla. Mi guardai in uno specchio da parete e rimasi piuttosto soddisfatto della mia immagine; quella singola macchia di colore che spiccava sul bianco e sul nero faceva un bell’effetto. L’abito tradizionale da cerimonia sarà brutto, ma possiede davvero un aspetto dignitoso, qualcosa come la fredda nobiltà d’un maître d’hôtel. Mi sembrava di essere perfettamente in grado d’impersonare la parte di chi si affida al grazioso volere del sovrano.

Rog Clifton mi dette il rotolo di pergamena sul quale, come richiesto dal cerimoniale, era vergato l’elenco dei membri del gabinetto che avrei dovuto formare, e mi nascose nella tasca interna della giubbetta una copia della vera lista, quella dattilografata. L’originale era stato recapitato a mano da Jimmie Washington al Segretario di Stato dell’imperatore, appena sbarcati sulla Luna. In teoria, lo scopo dell’udienza era duplice: l’imperatore avrebbe dovuto comunicarmi il suo grazioso desiderio che formassi il governo, mentre io gli avrei dovuto sottoporre umilmente i miei consigli. In teoria, poi, l’elenco dei ministri da me proposti avrebbe dovuto rimanere segreto fin quando il sovrano non avesse dato la sua gentile approvazione.

In realtà la scelta era già stata fatta e vagliata. Rog e Bill avevano trascorso quasi tutto il tempo, durante il viaggio, a decidere i membri del gabinetto dei ministri e ad assicurarsi che i prescelti avrebbero accettato, usando il codice "servizio di Stato" per i messaggi trasmessi via radio. Io mi ero già studiato i Farley dei ministri di futura nomina e delle persone che avrebbero potuto eventualmente sostituirli. La lista era segreta nel senso che i servizi stampa l’avrebbero ricevuta solo dopo la mia visita all’imperatore.

M’infilai la pergamena sotto il braccio e presi con me la verga marziana. Rog assunse un’espressione stupefatta. — Santo Cielo! Non vorrà mica portare quella roba alla presenza dell’imperatore!

— E perché no?

— Ma… è un’arma.

— È un’arma cerimoniale. Rog, tutti quei duchi e quei baronetti pieni di spocchia porteranno lo spadino da cerimonia. Io porterò la verga marziana.

— È diverso — tentò di spiegare Rog, scuotendo la testa. — Loro hanno l’obbligo di farlo. Non conosce l’antica legge medievale su cui si basa il particolare? Gli spadini da cerimonia sono il simbolo del loro dovere d’onore verso il signore feudale: accorrere a lui per difenderlo con le armi, di persona. Ma lei non è né un duca né un baronetto; lei è un borghese qualunque. Tradizionalmente i borghesi si recano davanti al re disarmati.

— No, Rog. Oh… farò come lei mi dice, però perderemo una bellissima occasione per tirare acqua al nostro mulino. Sarebbe teatralmente perfetto. Sarebbe giusto.

— Temo proprio di non seguirla.

— Be’, mi stia a sentire. Crede che su Marte si verrà a sapere che oggi, andando dall’imperatore, portavo la verga? Voglio dire, all’interno dei nidi?

— Eh? Credo di sì. Sì.

— Naturalmente. Penso che ogni nido abbia un ricevitore stereovisivo. Ricordo di averne notati molti nel Nido di Kkkah. I marziani seguono le notizie dell’Impero con la stessa attenzione con cui le seguiamo noi. Non crede?

— Sì. Almeno gli anziani.

— Se porterò la verga, dunque, lo sapranno; e lo sapranno anche se non la porterò. Ai marziani importa moltissimo questo particolare; è una cosa strettamente legata al loro concetto di "correttezza". Nessun marziano adulto dimentica mai di portare la verga quando esce dal nido, e la porta anche nel nido, in occasione delle cerimonie. L’imperatore ha già avuto occasione di ricevere dei marziani nel passato, e tutti avevano sempre la loro verga, no? Sono pronto a scommetterci la testa.

— Sì, ma lei…

— Lei dimentica che io sono un marziano.

Rog mi guardò sbigottito.

— Io non sono soltanto "John Joseph Bonforte" — continuai. — Io sono anche Kkkahjjjerrr del Nido di Kkkah. Se non porterò con me la verga commetterò una gravissima scorrettezza… e sinceramente non so cosa potrà succedere quando lo si verrà a sapere su Marte; non conosco abbastanza gli usi e i costumi marziani per poter dire quale sarà la loro reazione, tuttavia sarà certo spiacevole. Provi ora a guardare le cose dall’altro punto di vista. Quando io entrerò nella sala del trono portando la mia verga, io sarò un cittadino marziano che si reca da Sua Maestà per essere nominato Primo Ministro. Quale potrà essere l’effetto di tutto ciò sui nidi?

— Ammetto di non averci pensato fino in fondo — disse lentamente Rog.

— E nemmeno io, se non mi fosse toccato decidere se portare o no la verga. Ma lei non crede che Bonforte ci avesse già pensato, ancor prima di mettere in moto tutto il meccanismo culminato poi con l’adozione? Rog, abbiamo afferrato la tigre per la coda; adesso l’unica cosa da fare è salirle in groppa e cavalcarla. Non possiamo mollare la presa.

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